Keith prese la Harley Devinson di Shiro per andare a scuola.
Quella maledetta moto era costata infiniti sacrifici da parte di entrambi, ma ne era davvero valsa la pena. Il moro aveva dovuto lavorare tre settimane intere al locale alla fine della strada per dare la sua metà.
'3 7 5 9' era la combinazione dell'armadietto. Era quella da sempre, non si era mai preso la briga di cambiarla. Tanto, alla fine, che importava? Era solo una scatoletta priva di significato.
A differenza degli altri, il suo armadietto era spoglio, senza decorazioni: c'erano attaccati dentro solo due scarabocchi fatti per noia in classe ed una foto di lui e Shiro al Luna-park, di quelle che si scattano nelle cabine fotografiche e che escono sempre malissimo. Era vecchia di cent'anni, quella foto.
Keith infilò a forza la borsa e prese il libro dell'ora successiva, biologia forse. Non lo ricordava neanche più. Prese anche una penna e una matita, con un foglio di carta stropicciato per cercare di prendere appunti.
Le ore passavano, la noia era la sua compagna.
"Kogane" qua, "Kogane" là; i professori non sembravano conoscere il suo nome. Con tutti, durante l'appello, usavano nome e cognome, ma con lui no: lui era solo Kogane.
Che brutto cognome, poi, Kogane. Chi mai avrebbe voluto avere lo stesso nome di un padre così egoista da-
"Keith!"
Il moro si girò di scatto.
Lance McLain, era davanti a lui. Ma la vera domanda era: perché Lance McLain era davanti a lui? Ora nel corridoio li guardavano tutti , e a Keith non piaceva affatto.
"Lance" fece lui.
Forse era stato un errore riportarlo a casa. Avrebbe dovuto infischiarsene, come avrebbe fatto normalmente con chiunque altro. Eppure, non so, era stato più forte di lui.
"Volevo ringraziarti ancora per ieri, solo questo" fece Lance, con un sorriso timido.
La gente sorrideva per troppo poco, pensava Keith, lo faceva come se fosse giusto essere perennemente felici. Come i pagliacci. Il moro odiava i pagliacci.Tutti continuavano a fissarli.
"Non c'è bisogno che tu mi ringrazi sempre: il messaggio bastava e avanzava" replicò lui.
Keith fece per andarsene (o magari fuggire), ma McLain lo trattenne ancora un po'.
Era uno scherzo, per caso?
Voleva prendersi un pugno sul naso, di certo. Altrimenti il moro non ne capiva davvero il motivo.
Lui non era simpatico, non era divertente, alle persone lui non piaceva."Senti, pranziamo insieme?" disse il cubano tutto d'un fiato.
"Sicuro" disse il moro di getto.
E finalmente Keith fu libero, più o meno. Libero dalle domande di Lance, ma non dagli sguardi degli altri studenti. Quelli lo facevano sentire come incatenato, non ci era abituato affatto.
Nessuno guardava mai lui, Kogane, che persino quando ad Educazione Fisica venivano scelte le squadre, i compagni che erano stati in classe con lui da sempre lo chiamavano con un vago: "Tu, sì tu". O che quando un prof lo interrogava veniva squadrato da capo a piedi con una chiara espressione da 'Ma chi diavolo è? È sempre stato qui?'.
Lui, proprio lui, che veniva interpellato da Lance McLain, popolarissimo alla Garrison, che mai mai mai aveva accennato ad un qualche minimo interesse per uno come lui.
Okay, era da ammettere che era una situazione strana che suscitava curiosità, ma era davvero così necessario guardarli come se quello fosse una specie di miracolo, o un alto tradimento all'imperatore, o uno scandalo tra celebrità con tanto di pagina dedicata su una rivista di gossip?
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"A Voltron Story"
Fiksi PenggemarErano tutti dei ragazzi normali. Lance McLain era il tipico ragazzo sportivo, non eccelleva nello studio ma amava la musica, sempre sorridente nonostante i dubbi e le insicurezze. Keith Kogane era stato adottato, ma se ne era fatto una ragione da te...