45- Il Campione

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La cicatrici non sono fallimenti, ma promemoria.

Shiro se lo ripeteva ogni volta che si guardava allo specchio, ma non sembrava cambiare niente. Quella frase non lo rendeva mica più forte. Lo diceva lo sfregio sul naso, quello sul petto, quello sul fianco, quelli sulla schiena e sulle braccia.

E promemoria per cosa poi? Che lui era sopravvissuto? Che fossi morto, si diceva, che fossi stato ammazzato prima di finire così in basso.

Ma questo non cambiava nulla.


"Non potete più permettervi di stare con le mani in mano" disse Kolivan, sedendosi sulla sua stessa panchina.

"Lo so" rispose il giapponese, continuando a guardare lo stagno delle anatre dei Giardinetti.

"Voglio aiutarti, Takashi; ho fatto una promessa ad Alfor, non posso ritirarmi. Dimmi cosa posso fare e sarà fatto" disse. Era diventato più gentile nei suoi confronti, questo Shiro lo aveva notato. Probabilmente non era vera gentilezza; qualcos'altro: pietà, cordialità, comprensione da leader a leader.

"Lascia che Voltron sia al servizio della Lame fino a quando... non lo so. Fino a quando non accadrà qualcosa di diverso. Un segno di buon augurio" rispose sospirando.

Le Lame era tutto ciò di cui aveva bisogno per avere un appoggio mentale. Voleva bene ai Ribelli, Matt era il suo amore, ma a lui serviva qualcuno a cui dare la colpa in caso di cattive notizie. Non avrebbe sopportato un'altro rimpianto.

"È una richiesta giusta"

Il capo delle Lame gli mise una delle sue grandi mani foderate dai guanti sulle spalle. Gli occhi ebbero quello sfarfallio oro tipico dei Galra.

"Lo so che è difficile, ma devi farti forza. Le cose non miglioreranno e tu sei il loro leader, un punto di riferimento. So cosa significa avere tutta la tensione addosso e la consapevolezza di mandare in missione dei ragazzini, ma siamo in tempi difficili. Non è colpa tua. Qualsiasi cosa accadrà"

Quel discorso gli alleggerì la mente, solo per un secondo. 

Shiro non aveva bisogno di parole, ma di fatti. Doveva sapere che le cose si sarebbero sistemate, l'illusione di una lenta camminata verso la libertà.

Questo Kolivan lo aveva capito.

"Una nostra squadra deve andare ad evacquare un centro di sperimentazione Galra. Lo ha indicato il figlio dell'Imperatore; a quanto pare è davvero intenzionato a collaborare.
Che ne dici di andare con uno dei tuoi ragazzi? Per tastare un po' il terreno"

Annuì.

Il marmoriano si alzò e si mise le mani in tasca. Il vento gli scompigliò I capelli.

"Prima delle missioni importanti mandiamo i nostri a fare una visita dai nostri medici. È alle dieci. Non mancare"

Shiro sarebbe andato, o si sarebbe maledetto per tutto ciò che rimaneva della sua vita. Aveva bisogno di uno scopo in quei giorni oscuri.

L'unico cambio di piani? Nessuno dei ragazzi sarebbe venuto con lui.


"Ho sentito che ci sarà una missione e che siamo stati invitati. Posso venire?" chiese Pidge, mezz'ora prima delle dieci.

Lo chiedeva come si chiede il permesso per guardare un film o mangiare un dolce. Magari fosse stato così facile.

"Nessuno verrà. Tu meno di tutti"

Sapeva che avrebbe ricevuto una simile risposta, ma era ben pronta.

"Ah, ora fai il cavaliere. Che fine ha fatto il discorso di poche settimane fa? Quello che diceva che non potevamo sottrarci alle missioni? Ora vale solo per voi ragazzi? Ed io che sono l'unica femmina, piccola, dolce ed indifesa, non conto più nulla?"

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