Prologo

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Il vapore si librava in nuvolette sinuose dal suo tè ancora caldo mentre Arya ascoltava la conversazione delle streghe sedute al tavolo accanto al suo, chiacchieravano in modo quasi concitato delle ultime tendenze in fatto di moda e a quanto sembrava mantelli e cappelli variopinti sarebbero stati l'accessorio essenziale per l'autunno imminente.

Poco più in là, due uomini discutevano invece dei fatti di cronaca che avevano ancora una volta sconvolto il mondo magico mentre uno dei due indicava ripetutamente la foto in prima pagina sulla gazzetta del profeta. Anche Arya aveva davanti a sé una copia del quotidiano ma si sforzava di non guardarlo concentrandosi sulla moda autunnale e intanto sorseggiava il suo tè cercando di confondersi tra le altre persone, come se lei non sapesse nulla di tutta quella storia, come se per lei il pericoloso prigioniero evaso qualche giorno prima da Azkaban non fosse altro che un criminale pazzo e spietato.

Si costrinse a tornare alla realtà buttando un occhio all'orologio che portava al polso e dopo aver riposto la tazzina di fine porcellana vuota sul piattino, infilò la sua copia della gazzetta del profeta nella borsa e si ributtò nella folla che quella mattina popolava Diagon Alley. Sprofondò le mani nelle tasche del suo trench e cominciò a camminare convincendosi che nessuno stava facendo caso alla sua presenza, che nessuno sapeva chi lei fosse, anche se probabilmente era davvero così, la gente aveva dimenticato, nessuno ricordava o forse sapeva davvero cosa era successo quel 31 ottobre di dodici anni prima, anche se in effetti, nemmeno lei sapeva veramente cos'era accaduto in quella maledetta notte. Sapeva solo che due dei suoi migliori amici erano stati traditi ed erano morti, che il piccolo Harry si era salvato ma che, nonostante le sue continue richieste, non le era permesso di vederlo e infine che due auror avevano bussato alla sua porta la mattina dopo la tragica notte e senza nemmeno darle il tempo di rendersi conto di cosa stesse succedendo le avevano consegnato un mucchio di vestiti, un paio di foto e una catenina sottile in cui era infilata una fede nuziale dorata

"ci dispiace signora Black, suo marito è stato portato ad Azkaban questa notte, se avesse bisogno di..."

non ricordava nient'altro di ciò che l'auror le disse quella mattina, ricordava solo di aver chiuso la porta di casa in faccia a quei due uomini e di essersi smaterializzata in uno dei quartieri più defilati di Londra. A grandi passi si era diretta verso l'unico ingresso familiare e aveva cominciato a battere con il pugno serrato sulla porta, l'avrebbe buttata giù a calci se fosse stato necessario. Quando Remus Lupin finalmente le aprì il suo viso era ormai rigato di calde lacrime che sembravano non finire mai

"Remus lui... dobbiamo andare al ministero, ci deve essere un errore, Sirius non... non può..."

Arya ricordava perfettamente l'espressione rassegnata di Remus e capì che non l'avrebbe aiutata, che nessuno l'avrebbe aiutata. Ricordava di essersi allontanata senza nemmeno guardarlo negli occhi quando lui le aveva poggiato una mano sul braccio, come se quel gesto potesse fare la differenza. Era tornata a casa, aveva raccolto in una borsa solo poche cose essenziali e dopo essersi messa al collo la fede di Sirius se n'era andata.

Fino a quella mattina.

Aveva ricevuto una lettera e una copia della gazzetta del profeta solo un paio di giorni prima, quando un gufo niente meno che di Hogwarts aveva bussato al vetro della sua finestra. Arya era rimasta per un tempo indefinito a fissare la foto in prima pagina rendendosi conto che quell'uomo, quello a cui quattordici anni prima aveva promesso amore eterno, probabilmente non esisteva più.

Senza nemmeno leggere l'articolo in cui si facevano supposizioni sulla fuga di Sirius Black da Azkaban mise da parte il giornale e si concentrò sulla lettera, che dovette rileggere un paio di volte per assicurarsi che non fosse uno scherzo, ma la firma autentica di Albus Percival Wulfric Brian Silente non lasciava dubbi a riguardo. "pensavo dovessi saperlo", le aveva scritto il preside di Hogwarts, assieme all'invito a recarsi a scuola per "scambiare due chiacchiere". Dopo vari ripensamenti scrisse due brevi righe per confermare che il primo di settembre non sarebbe mancata all'appuntamento e ringraziando garbatamente per l'invito si firmò come "Arya Ellis-Miller".

Aveva smesso di portare la fede nuziale al dito e di firmarsi come "Arya Black" dopo essersi resa conto che ogni strega, mago o bambino che incontrasse finiva per squadrarla da capo a piedi con quello sguardo spaventato e disgustato al tempo stesso. Ma come biasimarli, fino a prova contraria lei era la moglie di un traditore e seguace del signore oscuro. Ci volle del tempo, ma dopo un po' la gente aveva smesso di far caso a lei e Arya aveva ricominciato pian piano a vivere tornando a fare il suo lavoro di medimago.

Quando però si ritrovava sola la notte, nel buio della sua nuova casa, si metteva il vecchio maglione di Grifondoro di Sirius, si stringeva nella morbida stoffa convincendosi che anche dopo tutto quel tempo avesse ancora il suo profumo, e si addormentava sfiorando la fede di suo marito, sulla quale erano incise con un elaborato carattere e un altisonante latino, parole che Arya continua a ripetersi, sempre, ogni giorno, giurandosi che non le avrebbe dimenticate mai:

"Per sempre tuo, per sempre mia"

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