Nel cuore di chi resta - parte II

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Elizabeth era già sveglia quando i primi raggi di sole iniziarono a riverberare sui tetti di Parigi imbiancati di neve, uno spettacolo quasi surreale che ancora riusciva a stupirla. Tuttavia, quella mattina per qualche motivo non riusciva davvero a godersi la pace che regnava a quell'ora, quando quasi tutta la città era ancora avvolta nel silenzio. Aveva lavorato fino a notte inoltrata ma aveva dormito sì e no tre ore in tutto, dopodiché chiudere occhio le era stato pressoché impossibile. Le capitava sempre più spesso a dire la verità, di non riuscire a dormire la notte: passava le ore a pensare a quella vita lontana da casa e da metà della sua famiglia, una metà fondamentale, di cui sentiva ogni giorno e sempre di più la mancanza. Le vacanze di Natale erano state nient'altro che una parentesi felice, un'illusione destinata a svanire nel nulla non appena suo marito ed Arya erano ripartiti per l'Inghilterra: ricordava quella sera, l'ultima che aveva passato con Edward, aveva pianto come una bambina stringendolo convulsamente, come se il suo abbraccio potesse impedirgli di partire.

Strinse le dita attorno alla tazza di caffè ancora fumante, mentre con la coda dell'occhio osservava il telefono sistemato su un mobile del corridoio. Era ancora presto, ma avrebbe voluto chiamarlo, sentire la sua voce, raccontargli delle sue giornate tutte uguali, parlargli di quanto diventasse sempre più difficile lasciare Sophie con la tata la sera per andare a suonare in qualche locale dove a nessuno importava della sua musica, e finì così per ripensare con nostalgia a quando per la prima, e forse unica volta aveva davvero suonato per qualcuno durante una di quelle serate sempre uguali. A quando aveva suonato per Edward, e lui era rimasto ad ascoltarla senza toglierle gli occhi di dosso tutta la sera. Elizabeth sorrise, rigirandosi la tazza tra le mani, mentre quei dolci ricordi tornavano pian piano a riporsi nel luogo segreto della sua mente in cui lei li custodiva gelosamente.

Fu allora che il trillo del campanello interruppe, inaspettato, il pacifico silenzio che la circondava. Non avrebbe saputo dire perché, ma Elizabeth esitò prima di alzarsi e andare a controllare chi fosse, e non solo perché raramente le capitava di ricevere visite alle cinque e un quarto di mattina. No, c'era anche dell'altro, un'inspiegabile presentimento, come se dentro di sé sapesse di non essere pronta per ciò che l'attendeva oltre la porta. Ma il campanello suonò di nuovo, un trillo breve come il primo, che però lasciò intuire ad Elizabeth che non c'era altra cosa da fare se non affrontare l'inevitabile.

Si alzò quindi e abbandonando la tazza di caffè sul tavolo raggiunse in pochi passi la porta, ancora scalza e in pigiama, ed infine l'aprì: di fronte a lei si ritrovò un uomo che non aveva mai visto, ma riconobbe immediatamente la sua divisa, perché era la stessa che portava anche suo marito. All'inizio non capì, o forse non volle capire, perché quell'uomo fosse lì, a suonare alla sua porta alle cinque di mattina. L'uomo si presentò come un auror del Ministero della Magia inglese, ma poi le parole gli morirono sulle labbra e quell'istante di silenzio ad Elizabeth sembrò dilatarsi fino a diventare lungo tanto quanto una vita intera, e una parte di lei avrebbe voluto, dopotutto, che quel silenzio non terminasse mai. Ma l'auror si riprese da quell'attimo di esitazione e, con lo sguardo addolorato, pronunciò le fatidiche parole che suonarono ad Elizabeth come la terrificante realizzazione della paura più grande che l'aveva perseguitata ogni giorno durante quei mesi di lontananza da Edward: 

-mi dispiace, signora Ellis-Miller, ma sono qui per comunicarle che suo marito è venuto a mancare questa notte-

Elizabeth si ritrovò a piangere senza nemmeno essersene davvero resa conto, mentre quell'uomo sconosciuto l'abbracciava, un gesto inopportuno forse, ma di cui gli fu immensamente grata: non c'era niente che potesse dire che l'avrebbe fatta stare meglio, nemmeno quell'abbraccio sarebbe stato in grado di raccogliere e ricomporre i frammenti in cui si era spezzato il suo cuore, ma poter affogare il suo dolore contro il petto di quell'uomo fu meglio che non ritrovarsi ad affrontare la realtà sola con sé stessa.

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