26. Before

117 9 0
                                        

Third narrator's POV

*Qualche giorno prima*

Non era mai stato in quella parte della città. Nonostante ci abitasse da qualche anno si era sempre addentrato verso l'interno e mai verso l'esterno.
Casa sua non era distante dalla costa. Quella di Jo lo era ancora di meno.
L'unico motivo per cui era finito lì era il caso. Aveva bisogno di stare da solo e per questo aveva continuato a camminare senza fermarsi.
Aveva un'espressione cupa e allo stesso tempo confusa. Guardava fisso davanti a sé senza alzare lo sguardo, nemmeno quando attraversava una strada o quando andava a sbattere contro qualcuno.
Per distrarsi un po' sbatteva un ramo che aveva raccolto precedentemente, sulle sbarre di ferro del ponte che stava attraversando. Più in là c'era una lattina di birra abbandonata a terra. Non appena si avvicinò le diede un calcio, buttandola dritto sulla strada. In quel momento passò un camion, schiacciandola e facendo uscire tutto il contenuto.
Il ragazzo guardò il camion allontanarsi e girandosi ricominciò a camminare.

Che cosa avrebbe pensato uno dei suoi compagni se l'avesse visto in quello stato? Con gli occhi rossi e lucidi, i capelli spettinati, vestito con una camicia con cravatta, dei pantaloni neri e scarpe eleganti, tutti con strappi.
Aveva delle ferite sulle braccia, tagli superficiali sulle mani.

Sentiva la necessità di parlare con qualcuno, di confidarsi. Ma con chi?
Jungkook? Lo avrebbe ascoltato, se solo non fosse stato impegnato a seguire Jin.
Jimin? In quel periodo era troppo strano. Si era rinchiuso in se stesso e non parlava molto con gli altri...
Forse Namjoon era scelta migliore.
O forse no.
Sorrise amaramente: l'ultima volta che lo aveva chiamato, lui non gli aveva risposto.
Per certi versi dava la colpa a lui per quello che aveva fatto: lui gli aveva chiesto aiuto in un momento di bisogno ma lui non aveva fatto nulla.
Al contrario, dall'altra parte, non riusciva proprio ad incolparlo.

Alla fine del ponte vide una cabina telefonica. Controllò nelle tasche e tirò fuori delle monetine.
Magari se avesse chiamato con un'altro numero, lui gli avrebbe risposto.
Mollò il ramo ed entrò.
Prese la cornetta e infilò la moneta.
Il telefono cominciò a squillare.
Una volta.
Due volte.
-Rispondi, ti prego- mormorò.
Sospirò, cominciando a disegnare con l'altra moneta dei cerchi vicino ai tasti.
Il telefono squillò altre sei volte e poi si interruppe.
Apparve un sorriso di speranza sulle labbra del ragazzo.
Sorriso che si spense non appena scattò la segreteria.
Si allentò la cravatta: gli sembrava di soffocare.
Non sapeva se parlare o se riattaccare.
Per la seconda volta non gli aveva risposto.
Decise di parlare.
-Ciao Namjoon, sono Taehyung...- disse, ma le parole si bloccarono in gola. Era come se solo in quel momento si fosse accorto di aver fatto qualcosa di sbagliato.
-Io...-tentò di dire.
Sorrise amaramente, mentre una lacrima gli scese sulla guancia. Gli sembrava stupido non riuscire a parlare.
-Aiutami, Namjoon. Non so con chi parlare e non riesco a tenermelo dentro. Sento di esplodere...- cominciò a singhiozzare. -Credo di aver fatto uno sbaglio, di aver fatto una cosa stupida... ma io credevo di fare la cosa giusta. Ti prego aiutami... non come l'ultima volta... ti prego, rispondimi... ho bisogno di qualcuno che mi dica qualcosa... anche che ho sbagliato...-.
Cominciò a schiacciare sempre di più la moneta sul metallo, cominciavano a vedersi i segni.
-Non ignorarmi... quando ti ho chiesto aiuto non mi hai riposto... ora che ho commesso l'errore, fai lo stesso-.
Quel sorriso amaro si trasformò in una smorfia di rabbia.
La moneta cominciò a produrre rumore.
-Perché non mi rispondi?!- urlò.
Sempre più rumore.
-Perché non mi aiuti?- bisbigliò.
E poi si bloccò, buttandola per terra.
Taehyung lasciò cadere la cornetta e uscì dalla cabina.
Seguendo la cornetta che stava pendolando e arrivando ai tasti, si poteva vedere che quelli che all'inizio erano cerchi, ora si erano uniti a formare un infinito.

***

Intanto, dall'altra parte della città, Namjoon era seduto immobile su una sedia sistemata in mezzo ad una stanza. La stanza in questione era il salotto di casa sua.
Qualcuno aveva tagliato tutti i fili: quelli della luce e quelli del telefono.
Stava guardando fisso davanti a lui.
C'era un cellulare che stava squillando.
Era il suo.
Avrebbe risposto.
Se solo il telefono non fosse stato sul tavolo davanti a lui.
E lui non fosse stato legato alla sedia.
Alla fine smise di suonare.

Eighth/BTS ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora