2. Hope

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Il giorno dopo mi svegliai immersa nella morbidezza del letto della mia stanza. Mi alzai di controvoglia e mi diressi al balcone.
Aprii la porta e inspirai profondamente, guardando di sotto e vedendo una moltitudine di persone muoversi in varie direzioni. Ero ad una tale altezza che sembravano formiche.
Davanti a me, a un centinaio di chilometri si ergeva il monte Fuji.
Era una giornata stupenda, il sole batteva e non c'era una nuvola.
Andai a fare un bagno veloce e decisi con cosa vestirmi.
Sapevo benissimo che avrei dovuto indossare le cose adatte.
Pantaloni neri e camicia. Alle scarpe col tacco non ci penso nemmeno.
Raccolsi i capelli in un chignon spettinato e optai per gli occhiali al posto delle lenti a contatto.
In quel momento il telefono dell'hotel cominciò a squillare.
-Ohayō, la sua auto la aspetta sotto-.
-Scendo subito-.

Questa volta ad aspettarmi c'era un taxi. Mi sentii in colpa per quello che avevo fatto a quel povero ragazzo. Molto probabilmente era per quello che non era venuto a prendermi lui.
Salii e partimmo subito.

***

Non mi ero mai ritrovata tante persone tutte sedute ad un unico tavolo a leggere il mio fascicolo.
Tutti perfettamente vestiti e con un'espressione che non lasciava trapelare nulla, stavano valutando la mia idoneità all'incarico.
Io intanto ero in piedi alla giusta distanza dal tavolo, immobile.
-Quanti incarichi ha svolto precisamente?- chiese uno di loro.
C'era scritto tutto sul fascicolo, ma chiedevano sempre per sicurezza, quasi non si fidassero di quello che c'era scritto.
-Cinquantaquattro- risposi.
-Sono relativamente pochi- osservò un altro.
-Sì, è vero, ma ho avuto un incarico che si è svolto per l'arco di tempo di due anni, non mi sono potuta occupare di nient'altro-.
Il tipo annuiva mentre controllava che sul fascicolo ci fosse scritta la stessa cosa.
Nessuno si fida di me qua dentro. Vedono quello che c'è scritto, ma fanno finta del contrario. Due di loro vorrebbero già mandarmi via, gli altri non sanno nemmeno a cosa stanno pensando.
C'è la possibilità che questa volta non ti assegnino l'incarico...
-Il suo primo incarico è avvenuto in Brasile, giusto?- chiese di nuovo.
-Sì-.
-E consisteva nello scortare il figlio di un certo politico, giusto?-.
-Sì-.
-E mi potrebbe dire quanti anni aveva?-.
-Sedici- risposi.
Cominciò a levarsi un brusio.
A quanto pare non siete abituati a questo tipo di notizie.
-Signore, non vorrà davvero assegnarle l'incarico?- chiese un'altro ancora.
-Non ho detto questo- fu zittito.
Il tipo lo guardò con uno sguardo come a dire "tu e io dopo dobbiamo parlare".
Inutile dire che lo intercettai subito.
Se non mi vogliono qui, allora perché mi hanno chiamato?
-Signorina, qui c'è scritto che lei ha alcuni problemi di tipo... mentale- esitò.
Alcuni di loro sollevarono la testa dal fascicolo e mi guardarono preoccupati.
-Nulla che possa impedirmi di compiere il lavoro come si deve-.
-Ma deve tenere conto che questo può causare problemi. Lei deve essere sempre vigile e lucida, non può permettersi di avere distrazioni-.
-Capisco perfettamente, ma le posso assicurare che questo mio problema non comprometterà l'incarico...-.
Sentii dei passi dietro di me, dei rumori alla porta.
Qualcuno sta ascoltando.
Non ci pensai due volte e presi la pistola, facendo segno agli altri di stare zitti. Mi posizionai davanti alla porta e aspettai il momento giusto per aprirla. Quando sentii un altro rumore la spalancai all'improvviso, facendo cadere l'individuo a terra.
Gli puntai la pistola alla testa.
-No ti prego non sparare! Signor Sato, le giuro che non stavo origliando- si scusò lui.
-Abbassi l'arma! Subito!- mi ordinò uno di loro, a quanto pare il signor Sato.
Obbedii e la rimisi a posto.
-Ma cosa crede di fare? Vuole minacciare i miei dipendenti?- urlò.
-Dovrei licenziarla!-.
-No, non lo faccia- si intromise la figura che non stava origliando.
Lo guardai.
Dovevano essere i giorni degli incontri quelli.
Un altro tipo, questa volta almeno aveva i capelli di un colore normale.
Più o meno della stessa età dell'altro.
Occhi scuri, guance rotonde, alto e in forma.
Ma era diverso in una cosa: mentre l'altro ispirava timidezza e tenerezza, lui soltanto a guardarlo mi infondeva gioia e speranza.
Lo vidi alzarsi e sorridermi come se non fosse successo nulla.
Quanto mi sto sentendo stupida...
-Non è successo nulla- aggiunse, sorridendo. -Anzi, forse è l'unica che si è accorta che mi ero appoggiato alla porta per riposarmi-.
Il signor Sato alzò le sopracciglia, stupito. Non era abituato a ricevere consigli da un dipendente.
-Direi che piuttosto che licenziarla, dovrebbe assumerla-.
Lo stavo ringraziando con il cervello.
Ma c'era tutto sommato qualcosa che non mi tornava.
Per una volta lasciai stare.
-Allora mi sento in dovere di ascoltare il consiglio del mio dipendente- ammise il signor Sato guardando gli altri colleghi.
Nessuno di loro fece una piega.
Il ragazzo sorrise soddisfatto e mi tese la mano.
Contraccambiai.
Aveva qualcosa in mano, qualcosa che lasciò nella mia non appena se ne andò.
Era un bigliettino.
Lo nascosi nella tasca per non farlo vedere.
In quel momento il signor Sato mi annunciò compiaciuto che il lavoro era mio.

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