「02. Uℓтιмα Sιηƒσηια」

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9 giugno, 2018

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9 giugno, 2018

Premetti il pulsante dell'ascensore con tutta la forza contenuta nel mio indice. Lo premetti più volte, giusto per assicurarmi che avesse recepito il messaggio. Il numero rosso in cima segnava che stava arrivando dal quarto piano. Picchiettai rumorosamente un piede contro il suolo, cercando di distendere i nervi che mi stavano attanagliando lo stomaco. Quell'attesa era snervante.

Avevo il cuore che batteva a mille. Cosa avrei fatto se fosse stato davvero lui? Cosa avrei fatto se alzando quel lenzuolo avrei visto... No. Non riuscivo nemmeno a pensarci. Premetti la testa contro la parete, il dito ancora pigiato sul pulsante dell'ascensore.

Un ding e le porte si spalancarono. Sollevai gli occhi e mi persi in due pozze marroni, profonde quanto l'oceano stesso. Un ragazzo piuttosto alto, dai capelli castani e leggermente lunghi dietro il collo, mi fissava come se avesse voluto trafiggermi da parte a parte. Alcuni ciuffi gli ricadevano davanti agli occhi, rendendo il suo aspetto ancora più inquietante.

Leggevo dolore nei suoi occhi, una sofferenza che non avrei potuto spiegare a parole. Abbassai lo sguardo e mi accorsi che aveva entrambi gli avanbracci fasciati dalle garze. Il suo viso squadrato era pulito, ma teneva la bocca leggermente obliqua, gli occhi fissi nei miei. Trovai impressionante che non avesse ancora sbattuto le ciglia. Come un predatore che puntava la sua preda.

Il nostro scambio di sguardi durò qualche secondo, finché l'infermiera che lo stava accompagnando non fece vagare lo sguardo da me a lui.

«La conosci?» gli chiese.

Il moro scosse la testa, pronunciando un semplice e profondo «No.» Poi aggiunse, sempre tenendomi gli occhi addosso, «E di certo non voglio conoscerla.» La sua voce roca mi fece venire i brividi. Mi sorpassò, sfiorandomi la spalla con un braccio. L'infermiera lo seguì subito dopo e chinò leggermente il capo verso di me, scusandosi per i modi bruschi del suo paziente.

Non mi voltai per vedere dove fossero diretti. Di certo avevo cose più importanti a cui pensare. In quel momento non ero interessata alla maleducazione di uno stupido ragazzino, anche se doveva avere circa la mia età.

M'infilai nell'ascensore e premetti il pulsante con su il numero -1. Le porte si chiusero e vidi la luce affievolirsi. Mi allacciai le braccia intorno al corpo mentre sentivo l'ascensore che cominciava a muoversi verso il basso. Il buio e il rumore della discesa mi fecero diventare ancora più ansiosa. La cabina tremò leggermente prima di arrestarsi all'ultimo piano e spalancare le porte.

Mi trovai davanti ad un lunghissimo corridoio bianco. La luce era così intensa che dovetti chiudere leggermente gli occhi per farli riabituare. Feci un passo, poi un altro e un altro ancora finché non vidi la targhetta "obitorio" in cima ad una delle porte. Allungai la mano, poggiandola sulla maniglia. E mi bloccai.

Non ne avevo il coraggio. Stavo letteralmente tremando. E non per il freddo tipico degli obitori.

Mi tirai indietro come se mi fossi appena scottata, continuando a fissare la superficie di legno immacolata. Dall'altra parte di quella porta, potevano esserci le risposte che aspettavo da un intero anno. O almeno una parte di loro. Sollevai di nuovo lo sguardo, ma la mia mano non aveva la minima intenzione di abbassare quella maniglia. Mi voltai, frustrata, e mi accovacciai a terra tenendomi le ginocchia.

ᴄᴀɴ ʏᴏᴜ sᴇᴇ ᴍᴇ || ᴍɪɴ ʏᴏᴏɴɢɪDove le storie prendono vita. Scoprilo ora