Capitolo 21

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Ian

È uguale a me.
Anche in quelle piccole cose che solo io posso notare su me stesso.
Come guardarsi allo specchio.
Distolgo lo sguardo che sembra soffrire per la visione.
Avrei potuto immaginare tutto, ma non questo.
-Il pranzo è pronto- annuncia lo stesso cameriere di poco prima; mi chiedo se ci sia solo lui a custodire tutta la casa, ma è a dir poco impossibile.
Probabilmente si occupa solo di questo piano e il resto del personale è così occupato che non si fa vedere.
Pensavo che sarebbe stata una buona idea venire qui, mi chiedo se rimanere il covo di matti sarebbe stata una trovata migliore.
Il ragazzo, mio fratello, il mio gemello continua a guardarci, almeno non sono l'unico rimasto sorpreso dalla situazione.
-Conviene andare, vi accompagno in sala da pranzo-
Il suo tono mi irrita, la sua gentilezza è così finta, così da me.
Una persona che credo di non essere più.
-Scusaci, se non ti dispiace, dovrei parlare un attimo con Ian- sento Alexa tirarmi verso di sè mentre cerca di non sembrare scortese nei suoi riguardi.
Peccato che a me non importi.
Lui rimane un po' sorpreso, come se non avesse messo in conto una risposta del genere.
Non ha nemmeno immaginato che le cose potessero andare diversamente dai suoi piani, no, in questo non mi somiglia.
- la Base era un labirinto, direi che possiamo trovare la sala da soli- taglio corto perdendo la pazienza.
Lui accenna un sorriso di scuse e sparisce da una porta alla nostra destra.

-Puoi evitare di guardarlo male per più di un secondo?- Alexa solleva il sopracciglio, continua a stringermi la mano quasi per evidenziare il rimprovero.
-Non dovrebbe essere così gentile, non ci conosciamo nemmeno- ribatto, il fatto che lui riesca ad influenzare così tanto il mio umore mi irrita ancora di più.
-si chiama educazione, anche tu l'avevi prima di incontrarlo- quelle che dovrebbero essere frecciatine, finiscono sempre per farmi ridere.
-mi aspettavo fossero normali- aggiungo con una nota amara.
I vestiti di mia madre, il taxi, pensavo fosse solo abitudini comuni della gente qui sopra, non pensavo che mi avrebbero condotto ad una vita che non sarei riuscito ad immaginare.
-Sono tuoi parenti, come fanno ad essere normali?-
-Sai che intendo..-
Lei si avvicina lentamente per poi circondare il mio collo con le braccia.
-Io penso che ti farà bene stare per un po' qui- sussurra quasi come se non volesse ammetterlo nemmeno lei.
-Io non faccio parte di questo mondo-
Mi sento fuori posto da quando siamo entrati in questa casa.
-Non facevamo parte nemmeno del mondo di Celine e Chloe- sottolinea lasciandosi sfuggire una smorfia; non sono l'unico a trovarla una ferita ancora aperta.
Siamo costretti ad andare avanti nonostante quello che è successo, il tempo ci spinge con insistenza, impedendoci di soffermarci troppo a lungo su un ricordo.
Alla Base rimanevo giorni e giorni chiuso in camera, immerso in determinati ricordi.
Sento sempre il bisogno di riviverli.
-Non voglio una nuova famiglia-
Ripenso ad Adam e fa così male che devo serrare gli occhi; non desidero un altro fratello al suo posto.
Sento i miei pensieri scivolarmi addosso appena Alexa mi bacia, in maniera dolce, intensa.
Apprezzo il fatto che cerchi di rassicurarmi, a modo suo, a modo nostro.
Con una mano riesco ad afferrarle la mascella, costringendola ad aggrapparsi alle mie labbra.
Si spinge più vicina a me, schiacciandosi contro il mio petto.
Non riesco più a smettere, è tutto così familiare rispetto a questo ambiente nuovo e freddo.
Ho bisogno di passare del tempo da solo con lei, un momento di tranquillità, senza che nessuno dei due sia sul punto di rischiare la vita.
E da come la vedo rispondere ai miei gesti, sembra pensarla allo stesso modo.

Due colpi di tosse.
Bastano questi per farci separare.
Il solito cameriere si sistema la giacca e ci guarda senza riuscire a nascondere un sorriso.
Per il momento è la persona che reputo più simpatica in questa casa.
-Vi aspettano per il pranzo- sottolinea aprendo la porta alle sue spalle, in un chiaro invito a seguirlo.
Durante il tragitto leggo nello sguardo di Alexa un leggero imbarazzo, che poi si palesa quando mi afferra per il braccio sussurrandomi:
-Potevi controllarti- e mi molla una gomitata sul fianco.
-Ti ricordo che sei stata tu ad iniziare-
Il fatto che il cameriere ci abbia visti mi lascia indifferente; erano solo dei baci, certo, non sarà conforme al galateo, ma non è nemmeno qualcosa di scandaloso.
In realtà a nessuno di noi due importa, è solo una scusa per battibeccare; Alexa sta cercando di distrarmi e se la cava abbastanza bene.
Attraversiamo diversi salotti, spesso alternati da stanze quasi vuote, prima di arrivare in sala.
Finalmente riesco a scorgere altri membri del personale, sembrano occupati con il tavolo.
Mi avvicino per osservare le loro azioni, non sembrano star apparecchiando.
In un istante, il lungo tavolo che occupava la stanza si rimpicciolisce, inghiottendo se stesso, fino a diventare più simile di quelli della mensa, ma solo per le dimensioni.
È in legno, con le gambe accuratamente intarsiate da una mano esperta, alcuni decori sono messi in rilievo, altri appena accennati.
La stanza non è da meno.
Interamente formata da quadri, spesso anche sovrapposti, ricoprono ogni centimetro della parete.
La maggior parte rappresentano paesaggi, luoghi che non sono sicuro esistano veramente.
-Sono bellissimi- sussurra Alexa poggiando la guancia sulla mia spalla.
Annuisco, credo di aver trovato il mio equilibrio. Mi piace quello che ho davanti, anche se non sono simmetrici, sono accatastati in modo che non sembri un problema.
Sono tutti diversi, ma al tempo stesso affini.
Uno in particolare attira la mia attenzione, i suoi colori sono opachi, una scelta un po' insolita rispetto al resto dei dipinti.
Raffigura un ragazzo inginocchiato sulla riva di un fiume, accarezza l'acqua che mostra il suo riflesso.
L'immagine tra le onde è il suo gemello.
Alzo involontariamente gli occhi al cielo e mi volto verso la tavola ormai apparecchiata.
Più il destino, o qualsiasi cosa giochi con la mia vita, cerca di avvicinarmi a lui, più io farò di tutto per allontanarmi.

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