"Ehy brother"...

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Erano arrivati tardi. Erano arrivati tardi davanti a quella porta in legno. E l'avevano varcata troppo tardi. Quando questa si spostò con un cigolio che ammetteva le reali e precarie condizioni di quella catapecchia non fu un bello spettacolo quello che videro. Di loro non c'era traccia, nessun indizio ma lui era lì.
Tutta l'aria che Àmbar aveva nei polmoni fuoriscì alla velocità della luce, lasciandola senza fiato.
Era lì, steso scompostamente sul pavimento. Di un pallore spettrale e in un bagno di sangue. Non si pensa a quanto sangue veramente scorra nelle vene di un semplice bambino di cinque anni magro e minuto. Non lo si pensa finché questo non è sparso e non impregna il legno del pavimento. Finché non fuoriesce tutto, finché non lascia il corpo e con esso anche la vita lo abbandona. E in verità tutto questo non ha neanche importanza finché non ti scontri con la realtà.
Michael stava lì, con il petto dilaniato da profondi tagli provocati da artigli troppo grandi e troppo forti per un corpicino esile come il suo.
I suoi capelli erano neri e apparivano, come solito, scompigliati ma erano fradici di sangue. Insieme agli occhi scurissimi come quelli della sorella, effettivamente erano due gocce d'acqua, erano l'unica cosa di un colore differente dal bianco e dal rosso. La maglietta era imbevuta del sangue, i pantaloni anche. La sola cosa senza era il corpo privo di vita da cui era uscito.
Non sembrava tuttavia morto tra atroci sofferenze, sembrava quasi sereno. Gli angoli della bocca erano leggermente alzati, forse fu questo a spingere la sorella maggiore ad avvicinarsi. O forse fu il non capacitarsi di una cosa del genere, il bisogno, come quello di non farlo, di vedere più da vicino.

Àmbar fece qualche passo avanti e poi crollò a terra, sopraffatta dal dolore. Raggiunse il bambino camminando a carponi e quando lo raggiunse rimase a fissarlo con occhi disperati, inginocchiata alla sua destra.
Scott si avvicinò e stava per parlare ma la ragazza lo anticipò con un tono freddo, che non ammetteva repliche.
"Non dire niente. Non dovete dire niente. Assolutamente niente."

I ragazzi sentirono presto il bisogno di lasciare ad Àmbar la sua intimità e il suo spazio.
Isaac e Stiles, con Mason e Corey si sedettero appena fuori la porta e aspettarono che fosse Àmbar ad uscire. Liam abbracciava una Hayden in lacrime, come loro Scott e Malia a qualche metro di distanza. Lydia era affianco a Stiles, accocolata contro il suo petto. Qualcuno avrebbe dovuto avvertire Deaton, Derek e Peter che li stavano aspettando alla clinica ma era tutti sconvolti, e anche stravolti. Stravolti dal dolore, in piccola parte loro ma maggiormente di Àmbar. Non sapevano esattamente se fossero le sue molteplici nature ma emanava ondate di disperazione e dolore strazianti. E tutti le percepivano, non solo le persone con poteri sovrannaturali.

Àmbar che in quel momento stava dentro, sul pavimento sudicio di una vecchia baita in mezzo ad un bosco popolato da creature sovrannaturali e non.
La stessa Àmbar che con un dolore straziante al petto stava cercando di comprendere, di razionalizzare la morte del fratellino. Cercava con tutta sé stessa di assimilare la crudele informazione che i propri occhi stavano inviando al cervello. Ma l'immagine del corpo di Michael senza vita steso a terra colpiva insistentemente il cuore e non il cervello. La consapevolezza che invece che prendersela con lei; i loro, suoi, nemici avevano preferito puntare a qualcuno come Michael la dilaniava come nulla aveva mai fatto. Avvertiva quasi gli stessi tagli che avevano ucciso lui cercare di fare la stessa cosa con lei.
E mentre il cervello non riusciva a scrollarsi da quel senso di leggerezza che l'aveva avvolto appena aperta la porta il cuore aveva metabolizzato bene, anzi benissimo, che il fratello, il solare bambino di cinque anni che lei amava oltre ogni altra cosa, non c'era più. Non sarebbe mai più arrivato saltellando da lei quando sarebbe andata all'asilo a prenderlo; lei non sarebbe più andata all'asilo a prenderlo. Non avrebbero più dormito insieme nella stanza che condividevano solo loro due da quando non c'erano i genitori; non avrebbe condiviso la camera più con nessuno. Non avrebbe avuto niente da fare i pomeriggi dopo la scuola e dopo il lavoro. Non avrebbe avuto più nessuno che aspettava pazientemente seduto al tavolo del fast food in cui passava alternativamente le serate in settimana. Non avrebbe più avuto qualcuno che disegnasse qualsiasi cosa per poi regalare i fogli alla sorella, con un sorriso orgoglioso e gli occhi luccicanti, sorriso che si allargava ulteriormente quando lei lo prendeva per mano e lo appendeva insieme agli altri in qualunque spazio disponibile in camera sua. Non avrebbe più visto quel sorriso allegro, quegli occhi così intelligenti e non avrebbe più sentito la sua voce. La stessa voce che la svegliava quando si era addormentata sul pavimento della cucina dopo aver litigato con il fratello più grande, la voce che tutte le sere rispondeva al suo "Buonanotte" con un "Notte notte, sorellona" carico di affetto, la voce che la chiamava "Abbar" perché non riusciva a dire ancora bene il suo nome, la voce che la svegliava nel cuore della notte spaventata dal maggiore che rientrava ubriaco e faceva chiasso e la voce che poi la ringraziava quando si stava per addormentare dopo che lei lo aveva calmato con una favola e delle carezze sulla testa.
Michael non avrebbe più aperto gli occhi e non avrebbe più parlato.

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