•Capitolo 4•

13.6K 548 105
                                    



~•Sky•~

Da bambina, credevo che tutto fosse molto più semplice.
Mio padre veniva ogni sera a rimboccarmi le coperte raffiguranti le principesse della Walt Disney.
Io gli chiedevo sempre se un giorno avrei trovato anche io un cavaliere impavido, che mi venisse a salvare.
E lui come i migliori dei padri, mi raccontava la favola di una ragazzina dai boccoli rossi come le ciliegie.

Cherry era una ragazza bellissima, dagli occhi rubati al cielo azzurro, dove le nuvole nel paese di rubilandia non facevano mai capolino.
Propinava sorrisi a tutti gli abitanti, che ne rimanevano estasiati. Eccetto la strega rubiconda.
Lei era gelosa della bellezza di Cherry. Lei aveva i capelli di fuoco, e i suoi occhi bruciavano tutto ciò che incontrava.
Era la promessa sposa del principe di Rubilandia.
Azul si chiamava. Era sempre vestito di azzurro, quale principe era.
E mentre Cherry raccoglieva delle ciliegie per sua madre malata, il principe la vide nel suo vestitino rosso come i capelli, e se ne innamorò subito.
Rubiconda fu presa da una collera feroce, e fece mandare dei briganti, a rapire Cherry.
Il principe era disperato, lui l'amava e in una notte in cui rassicurò Rubiconda che si sarebbero sposati l'indomani, il principe le diede da bere una pozione magica, preparata dalla maga Morinda.
Azul nel silenzio della notte buia e fredda, di quell'inverno nevoso, cavalcò fino alla torre dove era stata rinchiusa la sua amata.
Sfoderò la sua spada lucente, dando un colpetto al suo fedele cavallo bianco, e uccise tutti i briganti, salendo per salvare Cherry.
Rubiconda fu diseredata dal paese di Rubilandia e Azul sposò Cherry, vivendo per sempre felici e contenti.

Ma la felicità dura quanto un battito di ciglia. Tu chiudi le palpebre e il secondo dopo che le riapri, tutto cambia.
Il mio principe si ammalò di cuore, e la felicità fu strappata.
Il suo bacio della buonanotte non era più lì a scacciare i mostri cattivi, che nel buio serpeggiavano sul muro come figure oscure e raccapriccianti.
Non era più lì a cullare il pianto di mio fratello, mentre nostra madre si ubriacava e tornava a casa a tarda notte, sempre sfatta e delirante.

E fu lì che capì che questa bambina, sarebbe dovuta crescere troppo in fretta.
Avrebbe dovuto abbattere i castelli fatati.
Avrebbe dovuto uccidere da sola i suoi mostri.
Costruirsi una corazza come una guerriera impavida.
Perché i principi non esistono. Non vengono a salvarti in groppa al loro destriero, strappandoti da una vita di sofferenze.
E così Cherry si trasformò in Azul nella mia testa. Era lei che uccideva i briganti con il suo fascino che li stregava.
Era lei che avvelenò Rubiconda, e andò a caccia del suo principe.
Ma lei era senza cuore, era spietata, assetata.
Non era più la dolce fanciulla impaurita e indifesa.
Lei era una donna forte e sicura di sé.
Una di quelle che prendevano e non ridavano indietro niente.

•~•~•~•~•~•~•~•~•~•

Ogni notte lo stesso sogno viene a tormentarmi.
Ogni notte mi sveglio sudata. Il lenzuolo madido.
Il cuore che mi fracassa la gabbia toracica, balzando nella gola che non deglutisce i fiotti di saliva accumulati.
Le narici che sembrano tappate.

Ogni conto si deve saldare prima o poi.
Speravo di saldarlo il più tardi possibile.
So bene che non si può fuggire per sempre, ad un destino che ti rincorre, ormai già scritto, proprio come quella fiaba.
Non esistono lieti fine, solo morali delle favole, per indurti a capire, ciò che poi comunque non ti ricorderai di afferrare.

Apro la portafinestra bianca, della mia camera.
Un dolce refolo di vento, smuove i miei capelli rossi, che mi solleticano l'incavo del collo.
É ancora notte, il mondo falso dorme.
Mia madre ha ripreso a bere e consolarsi con gli stessi uomini con la sindrome di cessi e dannati.
Adam é partito per il New Jersey.
Una borsa di studio alla Lions University Of Jersey.
Sono fiera di lui. Fiera che non veda questa merda che ci sommerge.

La luna piena spicca nel cielo terso e tetro, fissandomi con mille occhi, che sono crateri.
Sorride malinconica, ad un mondo che sulla superficie sembra splendido, ma dentro contiene tanta sporcizia.
La camicia da notte bianco perla, risplende nel bagliore, mentre riscaldo un piccolo pezzo dal panetto, mischiandolo al tabacco, ungendo di saliva la cartina, per rollarla perfettamente tra le dita.
Sento l'accendino illuminarmi le iridi, e far sfrigolare nel silenzio plateale, la cartina che si accende e mi concede di aspirare una boccata.
Infiamma la gola, la brucia, ma appena la aspiri da un senso di benessere, che scioglie ogni tensione.
Sotto questa luna posso mostrarmi per ciò che sono divenuta realmente. Lei non giudica, perché lei vive nel buio.
Mentre il sole fa troppa luce, e ti mostra i difetti che conosci ma non vuoi vedere.

Siamo esseri difettati dal mondo che ci circonda.
Si dice che chi nasca tondo non può morire quadrato.
Io sono nata tonda, mi sono trasformata in un quadrato, dove ogni lato non é mai quello vero.

Quando la cartina termina tra le mie dita fredde, sento la testa più leggera.
I pensieri se li é portati via insieme alla nube di fumo sporcata dal tanfo d'erba.

Rientro in camera e apro l'armadio.
Prendo la valigia, e ogni abito sulla gruccia appeso perfettamente, lo getto dentro alla rinfusa.
Ripiego la mia vecchia vita, per accettare l'offerta di quella nuova.
Mi hanno offerto un nuovo posto nel New Jersey, in un istituto, per bambini affetti da problemi.
Ormai non c'è più niente che mi lega a questo posto.
Per mia madre resto una sporca bugiarda, lei solo una sporca per me.
E lo sporco si accumula e porta solo altra sozzeria.

Svuoto i mobili del piccolo bagno, mettendo tutto nel beauty rosa.
Nessuna foto da portarmi dietro.
Guardo quella incorniciata di me e mio fratello, e il dolore che mi provoca il ricordo mi ferisce.
Mi dilania.

"Voltati piccola Sky."
"Sei il mio cielo."
"Sei così bella."

Il suono graffiato della sua voce, mi perfora i timpani. No, non ora. Non adesso ti prego.
Non ho tempo per fumare di nuovo, sta per sorgere il sole.
Lui mi giudicherebbe troppo.
No!

Le lacrime iniziano a rigare le mie guance, confondendosi con il rimmel che mi sporca le ciglia.
Lavo il viso con le mani a coppa, talmente con foga da arrossarlo.
Le mie pupille sono dilatate, si stanno risucchiando l'azzurro delle iridi.
«Chi sei davvero, Sky?» Mi pongo flebile la domanda, senza ricevere mai risposta.

Non so chi sono, e forse non lo saprò mai.
Magari non m'interessa trovare la risposta al mio quesito esistenziale.
Magari neanche la voglio cercare, per sapere che sono sbagliata su ogni fronte, da ogni lato in cui mi si guardi, io non ho niente di buono.

Le dita si aggrappano al lavandino di marmo freddo, e chino la testa scuotendola più volte.

«Non piangere. Non mostrarti debole.» Le parole sussurrate di quando ero piccola, sono ancora la mia ninna nanna. Placano un cuore che non sa più dove sbattere.

Rialzo lentamente il mio volto, e cerco di darmi una ripulita, legando i capelli in una coda di cavallo.
Il maglioncino di micro fibra azzurro pastello, copre la rotondità dei miei seni, racchiusi in un reggiseno di pizzo e frange, che solleticano il costato.
Il jeans mom fit, non aderisce sulle mie forme.
I mocassini neri con due nappine, mi danno la giusta aria scialba, che contorno da un paio di occhiali da riposo.
Non ho bisogno di lenti. Ho una vista che in confronto Clark Kent impallidirebbe, ma devo e voglio mostrarmi diversa.

Do un ultimo sguardo alla mia immagine riflessa, e ciò che vedo non é più la ragazza di poco prima, che fumava erba fuori dal suo balcone.
Questa é una nuova Sky, che richiude la sua valigia, la trasporta lungo le scale di legno che scricchiolano sotto la suola.
Sento un nuovo uomo russare, dall'uscio socchiuso della porta di mia madre.
Le bottiglie di scotch, whisky, e birra che riempiono il tavolino di cristallo, lasciando chiazze e impronte.
Il tanga rosso di mia madre, gettato sulla spalliera del divano bianco di pelle.
E il volto di mio padre incorniciato, che sorride.
Chissà se sorride di amarezza come la luna, a questa vista.
Non potrò mai chiederglielo, perciò gli mando un bacio volante, per salutarlo, mentre guardo con disprezzo il ritratto del mostro.
Il museo dei volti, non più una casa.

Guarda mamma, c'è un ultimo spazio vuoto su questo muro. Una cornice che aspetta di essere riempita, magari dall'uomo che ti ha fottuta e ora russa.
Potrei salutarti, ma non abbiamo niente da dirci.
La tua rubrica non ha bisogno del mio numero di telefono, e ad Adam ci penserò io.

Nessun addio tra queste poche righe. Nessun saluto.
Nessun cuore. Spietata. Bastarda.

•Death Silent•      1 Vol. Serie "Fight without rules" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora