•Capitolo 5•

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/Jackson\

Sono passate due settimane da quando ci siamo trasferiti.
Alcuni scatoloni sono ancora accatastati nell'angolo del salotto che si collega al vano cucina da un arco a muro.
Il proprietario aveva lasciato già gran parte delle mobilia di buona fattura.
Ed è così strano avere una camera singola.
Avere solo un letto matrimoniale che ricopre questi metri quadri.
Un armadio solo per i miei indumenti.
Tre cassetti del comò solo per me.
Ancor più strano è lo spazio che ho diviso nell'armadio. Al lato sinistro sono ammucchiate tutte le grucce con i miei abiti, nel lato destro ho lasciato un vuoto, come lui lo ha lasciato nei nostri cuori.
Un cassetto è pieno. Il secondo a metà.
Il terzo vuoto.
Come la metà del letto.
Come il comodino nero sul lato sinistro.
Ho le tapparelle abbassate. La luce del giorno illuminerebbe di troppa euforia questa camera ancora spoglia.
Getto un'occhiata alla scrivania bianca, e un piccolo foro di luce che trapela, mette in mostra la foto mia e di Kyle.
Due sorrisi veri e così simili, che non serve realmente la luce del sole per abbagliare la camera.

Mia madre ha trovato lavoro come cameriera in un fast-food.
La paga è misera, ha turni duri, e per avere degli extra fa anche l'orario notturno, fino a chiusura.
Dal mio canto io ho trovato lavoro come carrozziere, per aiutarla e mantenermi un retta alla Lions University Of Jersey.
Non dico di essere un esperto di motori, ma quel poco che so, lo devo a Kyle.

I nuovi vicini sembrano cordiali. Ci hanno accolto ognuno con le loro specialità.
In realtà so che volevano curiosare e basta, portando una cazzo di Apple pie, che sembra cemento armato sotto i denti.
Fanculo signora Jhonson, la sua torta è una merda, si dia all'ippica.
L'ho pensato appena ci ha sorriso con i suoi denti storti e giallognoli, dove le zampe di gallina accentuavano la sua età andante.
Ma non gliel'ho detto. Ho mostrato il mio miglior sorriso da angelo, per dare una parvenza affabile.

Se ti mostri per quello che sei, tutti saranno pronti a puntarti il dito contro.
Mi basto io, che mi flagello.
Non ho bisogno di nessuno.
Io creo il dolore, io lo distruggo, io lo alimento.

Poi c'è il fattore Violet. Hanno già richiamato tre volte in una settimana, per il suo comportamento.
E dato che mia madre era a lavoro, ho lasciato l'officina scusandomi con Bern, per fiondarmi alla scuola elementare.
Oggi è il quarto giorno.
Solita telefonata.

-Ci scusiamo per arrecarle disturbo, ma la bambina non collabora. Si esclude da ogni attività sociale. Non si è neanche voluta presentare il primo giorno.
Capisco il nuovo ambiente, nuovi compagni, ma Violet non sembra intenzionata a socializzare. Non partecipa alle lezioni, e quando giriamo tra i banchi noi maestre, la troviamo sempre con dei pennarelli a disegnare figure strane, invece di ricopiare alla lavagna.-

Mi sorbisco tutta la litania di una delle maestre, con quel tono saccente e di puzza sotto al naso.
Cazzo maestra. Le ci vuole un cazzo, e una sana scopata, per alleviare la sua acidità.
Sorrido sornione alla mia battuta mentale, e ormai neanche l'ascolto più.
Ho messo il vivavoce solo per educazione, sul cellulare abbandonato sul piumone bianco.
Mi infilo una t-shirt a girocollo nera, e smuovo i riccioli ribelli tra le dita, per darmi un tono.
Inforco i miei Ray-Ban che nascondono le occhiaie violacee, afferrando il cellulare.

-Sarò lì tra cinque minuti.-

Informo con finto tono gentile, la maestra che risponde con un balbettio. Forse cinguetta.
Lo fa anche mentre la sbattono, maestra?!

Scendo le scale, e come sempre quando vedo le chiavi del pick-up il mio cuore precipita sotto uno strapiombo.
Una forza di gravità che eleva il mio cuore e lo riduce in brandelli microscopici.
So bene che nessuno me lo riporterà indietro.
Che non posso vivere in un passato.

•Death Silent•      1 Vol. Serie "Fight without rules" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora