•Capitolo 26•

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~•Sky•~

Giro tra gli invitati, come una brava padrona di casa. Offro tartine mentre loro dispensano le più finte condoglianze che le mie orecchie abbiano mai accolto.
Stirano pieghe di labbra all'ingiù come se fossero dispiaciuti seriamente, e Hollywood li aspetta, se non ingrasseranno di dieci quintali, rimpinzandosi con le pietanze che arraffano.
Sono comunque anche io brava a sprimacciare finti "grazie" verso di loro.
Gente che neanche conosco. Alcune facce conosciute. Scommetto tutti promotori dei pompini di mia madre.

Giro lo sguardo per osservare Adam seduto sul divano, mentre tiene in mano un flûte di champagne ancora pieno, e lo sguardo fisso sulle scarpe di vernice nere.
Vorrei andarlo a consolare. Noto le profondi occhiaie che accusano il suo viso, e il bulbo rosso da quante lacrime ha versato.
La schiena ricurva, come se stesse sostenendo un peso troppo grande da sopportare.
E lo so bene, fratellino.
Ci sono passata prima io.

«Tartine?» Mi giro verso un altro commensale, dove sento un respiro solleticarmi la nuca. Una sensazione strana serpeggia la mia pelle, rendendomi debole e instabile su i tacchi, lo stomaco si attorciglia.
Ma spero di sbagliarmi, e il mio tono fintamente cordiale, viene rimpiazzato con uno strozzo, a fine domanda, nel girarmi verso di lui.

Lo trovo troppo vicino al mio corpo rigido.
Troppo demoniaco nel suo completo nero, mentre si gusta sul palato un sorso di vino rosso.
Le dita squadrate che reggono il calice, dove il vino all'interno oscilla, come onde che scuotono me.
«Sono apposto. Volevo solo...» Non gli lascio terminare con tono afflitto e la sua nota roca che da sempre mi lascia stramazzante al suolo, frasi di condoglianze, che attacco.

«Che sei venuto a fare? Precisamente Jackson, con quale diritto?» La mia faccia é tutto un programma su quanto sia restia ad averlo lì, come la mia voce spessa e acidula, che fuoriesce come un graffio.

Lo noto abbassare un secondo le sue iridi, dove la foresta brucia meno, e diviene losca e buia.
La fronte si corruga in un'espressione sofferta, dove le sopracciglia si abbassano, quasi a combaciare.
«Hai ragione, non ne ho. Ma non trovo neanche un motivo per cui non dovrei esserci, in un giorno così, per due persone importanti.» Lascia andare con un soffio sofferente, quell'ultima parola, che cade come piombo sul mio cuore, e arroventa il mio corpo.
Leggo sincerità. Mi arriva in pieno il suo tormento, e poso il vassoio sul tavolo di legno, nel rischio di rovesciare tutte le tartine disposte sopra.
Tremo come una foglia nel vento gelido, e fuori le temperature sono elevate.
La bile mi chiude la trachea, e ho paura di non riuscire più a respirare, sotto il suo sguardo dolce e ferito che si posa sul mio sperso e impaurito.

«Te lo trovo subito uno...» Ribatto gelida, riassumendo la giusta posizione guerriera, che per un attimo aveva abbandonato lo scudo difensore.
Odio i centimetri che ci separano, e mi avvicino come una lince, verso il suo corpo caldo e forte, che potrebbe racchiudere il mio solo con un braccio.
Sento il suo respiro avanzare, i miei battiti accelerano, e purtroppo non ho un freno per diminuire l'andatura.
Avverto la punta del suo naso, cercare il mio profumo e riempirsi l'olfatto, per lasciare un gemito nel sentire le mie labbra sfiorargli sensualmente il lobo che scotta.
Vorrei stringerlo tra i denti e strapparglielo, per poi farmi punire da quel corpo tonico.
E invece mi piace che resti così mansueto e docile, mentre ripeto le mie parole preferite, come una filastrocca tagliente.

«Tu per me...non sei niente.» Il senso di potenza mi scuote e pervade il mio corpo, mentre senza dargli adito di replicare, gli volto le spalle per venire fermata da un'altra testa di cazzo venuta a scroccare cibo.

«Condoglianze. Margot era una donna fantastica.» Osservo l'uomo dai capelli brizzolati e gli occhi faggio che ricordano vagamente quelli di un mio vecchio compagno di classe.
Oh certo che lo era. Certo, direttore di banca.

•Death Silent•      1 Vol. Serie "Fight without rules" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora