•Capitolo 10•

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/Jackson\

Mi aveva sbattuto sul serio la porta in faccia, trafiggendomi con quelle iridi cielo, che sembravano due spade lucenti, pronte ad infilzarmi e lasciarmi morire dissanguato su quel cazzo di tappeto raffigurante dei gatti sorridenti.
Forse me l'ero meritato.
Cristo! Neanche sapevo che Caroline fosse la coinquilina di Sky la chierichetta.
E cazzo devo un secondo smentirmi. Perché con quella sottoveste corta che evidenziava le linee del corpo sinuoso, e i capezzoli turgidi, non aveva neanche un grammo di suor castità.

Le ho risposto male e ne sono coscio.
Ho visto le sue guance e il collo diafano, imporporarsi.
Quelle efelidi graziose che costellavano il suo viso, dove gli occhi brillavano di cose indicibili.
Speravo che nella sua testolina vagassero immagini sporche, di come l'avrei potuta prendere e fottere su quella parete dipinta.
Quelle labbra carnose che lasciavano uscire battutine sprezzanti, solo per farmi girare i coglioni come pale eoliche.
Ho notato i suoi capezzoli svettare gloriosi, e puntare verso di me, come a dirmi: cibati tutta la notte.
E cazzo! Non avrei saputo resistere.
Gridava sesso dentro e fuori stasera.
Perciò me ne sono uscito con una frase da testa di cazzo con patentino e licenza a pieni voti.

Non mi sarei mai perdonato di scopare la sorella di Adam e poi subirla tutti i giorni accanto a Violet.
Sia chiaro, che non mi arrapava come molte ragazze.
Forse era il gusto di sapere che era una finta monaca di clausura.
E che senza gli abiti da Morticia fake, era notevolmente piacevole.

Ma fanculo, il cazzo in tiro lo avevo nei jeans, e neanche poco. Avevo avvertito la cappella pulsare e dolere sulla patta del tessuto grezzo.
In conclusione mi ero meritato la porta sbattuta in pieno viso.
Meglio farle credere che ero più stronzo di ciò che ero realmente.
Avrebbe dissipato ogni pensiero sporco su di me.
Li faceva? Non lo sapevo.
Volevo che li facesse? Assolutamente, Si!
Me ne dovrebbe fregare? Assolutamente, No!

Posso dire di averla evitata per tre settimane.
Mamma mi aveva detto i suoi orari, di quando andava a trovare Violet, e io in quegli orari mi trattenevo in officina. Mi destreggiavo tra il lavoro e il college.
Ogni tanto controllavo il cofano di qualche Macchina, mentre cambiavo le candele, gettavo uno sguardo ai libri e studiavo.
Arrivavo di corsa in officina, mi cambiavo gli abiti, e indossavo la tuta blu che Bern mi ha raccomandato seriamente di indossare.
Rientro a casa la sera, il tempo di un panino, se mamma non c'è cucino a Violet, e vado a lavoro.

Sto facendo sacrifici, per cosa?
Non so chi voglio essere.
A cosa voglio ambire.
Chi voglio diventare un giorno.
So solo che spingo il mulino, per mandare avanti il tutto.

Ogni tanto sento mamma nella notte, quando rientro verso le tre, piangere silenziosa nella sua camera.
Non posso rassicurarla, perché il dolore che sento nel petto, aumenterebbe a dismisura.
Cosa farei?
Potrei entrare in camera, e avvolgerla in un abbraccio protettivo, ma so che la mia maschera si scioglierebbe come cera colata, e tremerei nelle paure.
Nelle incertezze.
Nell'immenso dolore lancinante, che non mi fa dormire più.

Perché sono colpevole.
Io sono il marcio della società.
Un tipo da evitare.
Losco.
Misterioso.
Enigmatico.
Silenzioso.
Ti uccido, e neanche me ne rendo conto.
Tu muori per mano mia, e non respiri più.

Preferisco quindi, spegnere la mia parte da ragazzo sensibile, chiudermi nella mia camera solitaria, inghiottire le pasticche che tengo nel comodino, e aspettare che un nuovo giorno mi sommerga di altra merda.

Ho preparato un piatto di pasta al formaggio a Violet, e aspettato che rientrasse mia madre da lavoro.
Il volto rugoso e stanco, sembra invecchiata di quarant'anni.
Getta la borsa sul divano, e scosta la sedia dal tavolo, mettendosi a contare le mazzette di soldi dalla busta, che sono mance.
La noto sbuffare, e afferrare il barattolo di vetro, per infilarli arrotolati dentro.

•Death Silent•      1 Vol. Serie "Fight without rules" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora