•Capitolo 57•

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/Jackson\

Apro piano le palpebre.
Sento una pozza di acqua putrida, sotto di me.
I capelli e il volto bagnati.
Un filo di luce penetra dal soffitto ceduto, dando noia alle mie iridi che non riescono a focalizzare bene.
Ma purtroppo ricordo tutto.
Mi tocco la ferita, che pulsa, e appena mi porto le dita con un dolore che mi storce i tratti del volto, vedo i polpastrelli sporchi di sangue scarlatto e caldo.
Non riesco a muovermi, ma devo allungare la mano per chiamare l'unica persona che può aiutarmi.
Non marcirò qui. Non ho rinunciato per morire.

Riesco ad afferrare il cellulare, e sblocco il suo numero.

Lo squillo vivace mi giunge come un trapano, ma lo tengo in vivavoce, finché non risponde.

-Che cazzo vuoi, pezzo di merda?-

Me lo aspettavo questo suo attacco freddo, compreso epiteto. Ma almeno ha ancora il mio numero salvato.

-Ad...Adam...Ho bi...bisog...bisogno di, aiu...to-

Le corde vocali e la voce non vogliono collaborare. Una fitta più potente mi prende, facendomi gemere di un dolore che comunque non eguaglia la perdita di una parte di te.
Un singhiozzo mi scuote e mi accorgo di star piangendo.

-Jackson. Oddio, dove sei?-

Riconosco il mio amico. Contro il mondo il suo tono preoccupato mi scalda l'anima, mentre sorrido con le labbra impastate dal pianto.

-Detroit. Un...un magazzino, non so edificio...dir...diroccato.-

Con dolore riesco a pronunciare una frase comprensibile, e le dita si muovono docili per inoltrargli la posizione.
Sento silenzio dall'altra parte. I nostri respiri affannati. La mia voglia di muovermi e invece strisciare come un bruco.

-Arrivo. Non ti muovere.-

Vorrei fare sarcasmo, dicendogli "Dove cazzo vado, conciato così." Invece lo raggiunge solo la mia gratitudine e mi accascio nuovamente al suolo freddo e umido.

Non so quanto tempo trascorre, quando finalmente sento l'eco della sua voce, esplodere lungo le pareti.

«Jackson.» Grida in apprensione il mio nome, mentre cerco la forza di rispondere.

«Qui, Ad...Adam sono, qui.» Il mio tono é flebile, avvolto da una coltre di nubi, e la salivazione azzerata.
Sento freddo. Un freddo tremendo dentro le ossa. La pelle ghiacciata come un'imminente ipotermia.

Mi sento debole, e l'unica cosa che vedo dopo sono le sue all star con le borchie, venirmi incontro con foga.
Getta le ginocchia a terra ripetendo in una litania allarmata il mio nome.
I suoi palmi scivolano sulla mia schiena inerme.

«Fr...fred...do.» Balbetto limaccioso, e si china di più con disperazione.

«Che ci fai qui? Cazzo, Jackson...oh mío dio.» Capisco che se n'é accorto dal suo urlo agghiacciante.
Alzo appena le iridi appannate dalla stanchezza, e lo osservo sfilarsi la felpa e subito dopo la maglia per strapparla a metà, rimettendosi la felpa.

«Adam.» Sprimaccio il suo nome, con affanno e il battito cardiaco sempre più basso.

«Zitto. Mi racconterai tutto, lo giuro su Dio. Ma ora devo fermare l'emorragia e portarti via.» M'intima con tono assertivo. So che lo sta facendo perché mi vuole bene, seppur sia deluso da ciò che ho fatto a sua sorella, ma il raccontargli tutto equivarrebbe a tradire anche il segreto di Sky, e non so proprio se posso.

Mi gira la fascia attorno alla schiena e sulla vita, fermandolo con un nodo che stringe, ed emetto un rantolo digrignato.
«Scusa, Bro', era l'unico modo.» Risentire il nostro nominativo, mi da speranza che mi perdonerà, e riesco a rivelargli un sorriso, dove mi ricambia prima di aiutarmi e rimettermi in piedi con difficoltà.
Mi sento un peso morto. Sicuramente dentro lo sono, ma devo cercare di farmi forza per non pesare addosso a lui, non solo il mio corpo ma anche le colpe che mi porto appresso nel bagaglio.

Zoppico con difficoltà, e la schiena ricurva, fino alla sua macchina dove apre lo sportello, e finalmente mi abbandono contro il sedile morbido.
La testa affonda e cerco di mantenere le palpebre sollevate, che pesano come due piombi.

Le ruote stridono sul terriccio, notandolo immettersi nella strada.
Non mi guarda mai, ma tiene lo sguardo fisso, bucando anche i semafori rossi.
Miro il suo cipiglio che incornicia il volto privo di barba, e posso sentire l'ingranaggi girare nel suo cervello.
Vuole risposte, ma sa che se adesso mi facesse delle domande, saprei solo emettere sillabe sconnesse.

Sterza il volante, con un movimento brusco, per fermare la macchina senza neanche parcheggiarla nel posto apposito.
Lo vedo correre nella mia direzione, passandomi un braccio attorno alle spalle, e farmi sgusciare fuori dalla macchina.

«A...Adam.» Vorrei dirgli grazie. Le sue premure verso la testa marcia, che sono stata, probabilmente non le merito affatto.

«Zitto. Non affaticarti.» Ribatte perentorio, senza fissarmi ma mantenendo gli occhi nocciola, fissi sulla porta del pronto soccorso.

La ferita pulsa. Il corpo sembra una tanica, pronta ad appiccare fuoco nelle viscere.
Sento le stille di sudore freddo, imperlarmi la fronte e i capelli madidi.
La pezza schiacciata sul fianco, pregna di sangue.

«Aiuto. Il mio amico è ferito.» Vengo spinto dolcemente, verso la reception, dove Adam strepita e si sgola, per reclamare attenzione.

Noto con le palpebre che stanno per cedere, una signora venirci incontro, sventolando una mano in avanti verso destra, per chiamare un altro.

«Ragazzo, come stai? Come te la sei fatta?» Le domande mi piombano addosso, come una raffica di pioggia che arriva in uno scroscio petulante al mio udito.
Le stesse che riporge al mio amico, non avendo ricevuto da parte mia, le risposte.

«Mi ha chiamato, e l'ho trovato così.» Lo sento dire trafelato, prima di sentire il corpo elevarsi, e la schiena poggiarsi contro qualcosa di morbido.
Le rotelle filano veloci lungo un corridoio bianco e verde, che mi sconforta.
C'è freddo. Un freddo tremendo che fa accapponare la pelle.
Sollevo lo sguardo per notare due medici, spingere il lettino.

«Stia sveglio.» Mi avverte uno di loro, aggiustandosi la mascherina verde sul viso.

«Jackson, resta lucido. Io ti aspetto qui.» Il tono carezzevole di Adam, mi infonde coraggio tanto quanto l'incitamento di non perdere la testa.
Sventola una mano, per fermarsi sulla sedia posta in corridoio, ma l'ultima cosa che gli dico prima di sparire oltre una porta è:

«Non... non dire niente a, Sky.» Riesco a stirare tutta la frase, con voce gracchiata, ma più forte è la paura che lei venga a sapere tutto.
Saprò gestire la cosa. Saprò salvarla. Salvarci.
E per fortuna il ceno di assenso con la testa di Adam, e il suo tirarsi i capelli rossicci con le dita, mi fa intendere che rispetterà il mio volere.

•Death Silent•      1 Vol. Serie "Fight without rules" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora