•Capitolo 3•

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/Jackson\

«E questi...» Mia madre si sospende un attimo, per trasportare uno scatolone, accatastandolo in mezzo agli altri già impacchettati,
« É l'ultimo » Annuncia fiera, spolverandosi entrambi i palmi tra loro.

So che in realtà la sua é solo una facciata. Lo sta facendo sopratutto per Violet. É cosí piccina.
La mia piccola lucciola si stava spegnendo lentamente di quella luce, e avevo paura che non sarebbe più tornata a brillare.
Sembra che sia caduta in una sorta di mutismo serrato, da quando Kyle non é più qui ad irradiarci con il suo sorriso l'anima e il cuore.
Quello mio é stato frantumato e scoppiato quella stessa notte.

Mi ricordo ancora, nitidamente pure se in quel momento sembravo caduto, in uno stato catatonico, la notte più desolata della mia misera vita.
Le ambulanze che strillavano petulanti. Scendevano dai furgoni a gran carriera, soccorrendo i feriti.
Mi avevano tirato fuori dalla macchina, avvolto in una coperta di lana come un bruco nel bozzolo, e incitato a sedermi nel retro del furgone.
Ma le mie iridi vitree rimanevano piantate lì. Sulla macchina schiacciata come una lattina. Un lettino, il corpo di Kyle rilegato in un sacchetto con la cerniera lampo gialla canarino.
"É morto" Ripetevano. Loro non provavano dolore, per noi. Avevano visto tante vittime così.
Ma il pianto di mia madre arrivava sordo al mio udito. Gridava disperata, tirandosi i capelli tra le dita.
"Mio figlio." Urlava di un dolore lancinante. Che ti spezza. Ti annienta. Ti rende folle.
Inseguiva il corpo coperto di Kyle, sul lettino, cercando di afferrare le sbarre e tenerlo a sé.
Mentre io guardavo la scena come uno spettatore.
Uno spettro.
Non esistevo lì.
Mi vedevo al di fuori, perché non ero partecipe.
Non riuscivo neanche a piangere.
A sentire il cuore battere.
Forse ero morto anche io, e sicuramente il mio organo pulsante lo era. Si era carbonizzato.
Mi passavano bicchieri d'acqua che non vedevo e non prendevo.
Sotto shock.
Mi porgevano pillole, e goccioline.
Mia madre che mi abbracciava, piangendo come una bambina per un figlio perso.
Per un marito morto.
Perché sí! Quella notte, nello stesso incidente che coinvolse tre macchine, morì anche mio padre nell'impatto, causato da lui stesso.
Soffocato dall'airbag che invece di salvarlo lo aveva portato a morte sicura.
E non ero triste per lui. Non me ne fregava niente. Nulla. Assolutamente.
Ero anestetizzato dal dolore per la morte della mia metà. Del mio eroe.
E sapevo che ora toccava a me tirare avanti il timone. Far finta di essere forte, ma dentro fragile come cristallo.
Fingere sempre.
Perché é più facile, di mostrare la realtà.
Perché se ti mostri il mondo ti annienta. Si beffeggia di te. Incurante del tuo dolore.
Il dolore che avverti li diverte.
Perché sono sadici.
E io sono solo un dannato masochista.

Strizzo le palpebre fortemente, tanto da causarmi dolore alle tempie che pulsano, per tornare nella realtà di merda che mi sommerge.
Fisso le pareti spoglie, prima piene di ritratti di famiglia felici.
I metri quadri prima invasi da mobili antichi e alcuni moderni, ora completamente vuoti.
Tutto bianco. Tutto sgombro.

Noto Violet con le gambe ad indiana a terra, tenere in mano una bambolina di pezza, dalle lunghe trecce giallo grano, che fa zampettare sulle gambe flosce, aprendo le piccole labbra senza emettere alcun suono.

Dove sei principessa mia?
In che ala del castello ti sei confinata?
Qui non esiste nessuna Ursula che ti ha rubato la voce e tappata in un vaso di vetro.

Ma io la saluto sempre, e lei non risponde.
Fantasmi di noi stessi.
Vediamo ciò che vogliamo, senza guardare sul serio.

Rimango in mezzo a quel bianco che mi acceca le iridi stanche, sentendo la mano esile di mia madre poggiarsi sulla mia spalla ampia.
« Il furgone é qui fuori. É tutto pronto.» Annuncia dolcemente, come se comprendesse le colpe che mi sto infliggendo, lasciando penzolare le chiavi del Pick-up, oltre la mia spalla.

Le guardo con la coda dell'occhio, ricordandomi lo stesso modello che guidava Kyle, e deglutisco un fiotto di saliva, che mi stringe la gola in una morsa di acciaio inox.
Vorrei rassicurarla, per farmi vedere forte.
Invece l'unica cosa che posso fare, é aprire il palmo della mia mano, e le sue dita si distanziano per lasciar cadere le chiavi sulla mia mano, che tintinnano.
Unico suono che spezza questo silenzio.
Forse Violet ha capito tutto dalla vita.
Sentire ma fingere di essere sordi.
Ascoltare ma senza replicare.

Ed è così che comincia la nostra nuova vita.
Con gli scatoloni che chiudo nel bagagliaio.
Con il furgone che carica i mobili avvolti nel celofán.
Con i vicini che spiano da dietro le tende dei vetri, la famiglia Thomson levare le loro di tende.
Con il rumore della porta che si chiude dietro di noi, lasciando tutto alle spalle.
Con il silenzio in macchina, infettato dai rumori di fuori. Dal vento che sferza sui nostri volti straziati. Tra i capelli.
Il sole che punge i pori della pelle.
Io che dentro ricordo le canzoni del concerto di
Bon Jovi e l'allegria che ci accomunava.

-Woah, we're half way there...Woah, livin' on a prayer, take my hand, we'll make it I swear.
Woah, livin' on a prayer. Livin' on a prayer. -

Già, ce la faremo. Ma non avremo più la tua mano Kyle.
E ringrazio questi occhiali a lenti scure, per non mostrare le iridi velate di tristezza.
Le perle salate che vogliono scendere e ricaccio dentro il bulbo che si arrossa e appanna.

Ed é così, che arriviamo nel New Jersey, con tanto di cartello -Welcome to New Jersey-.
Benvenuti nel mondo falso.

«Ricominceremo da qui. Più forti di prima. Staremo bene, vedrete.» Le parole di mia madre, che finge contentezza, rivolgendoci un caloroso sorriso, può incantare Violet, ma non me.

Vorrei dirle "Smettila di sparare stronzate, per fingere che non sia successo niente. Per fingere che vada tutto maledettamente, schifosamente, bastardamente, fottutamente bene."

E invece spengo solo il Pick-up che si rilassa sotto i nostri culi, e guardo oltre il vetro dello sportello la nuova casa immacolata.
Merdosamente gialla.
Spregevolmente curata da un'aiuola del cazzo.
E nuovi vicini che ci spiano da dietro i vetri ad arco delle loro belle casette, trepidanti di conoscere la famiglia Thomson che appende di nuovo le tende.

•Death Silent•      1 Vol. Serie "Fight without rules" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora