Due

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Emma

Tre anni dopo

Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Ho passato un anno orribile. Ho continuato a scrivere testi e sono andata da una psicologa. Ho dovuto. Ho vissuto un trauma forte e il fatto che Stefano non fosse con me e non sapesse niente è stato ancora più grave. Me lo ha detto anche lei. Alternavo sedute in cui riuscivo a raccontare i miei sentimenti  per filo e per segno ad altre in cui non proferivo parola; piangevo e basta. Mi mancava mia figlia, ma anche Stefano. Erano due vuoti incolmabili e ero certa di non poterli colmare mai più. Mi ha consigliato di uscire di casa, parlare non solo con Francesca e utilizzare il canto per cacciare tutto fuori.
Sono stati mesi infernali. Non sono riuscita a guardarmi allo specchio per mesi perché avevo paura di guardare il taglio che porto con me. Avevo paura di guardare la cicatrice e ricordarmi di Chiara. Mia figlia.
L'avrei chiamata così. Ma non ce l'ha fatta. E queste parole rimbombavano nella mia testa. Mi sono chiusa in me stessa  per un anno intero perché non riuscivo a credere che qualcuno sulla terra potesse capirmi. Ad un certo punto nemmeno Francesca poteva ascoltarmi. Nonostante la vedessi accanto a me, restava lontana chilometri e chilometri perché non aveva subito quello che avevo subito io. Non ho festeggiato il Natale-una delle mie feste preferite- e nemmeno il mio compleanno. Ho litigato spesso con i miei, e lo stesso ho fatto con i miei amici.
E sapete perché?
Insistevano terribilmente. Sul fatto che dovessi andare a New York o come minimo riallacciare i rapporti con Stefano. E soprattutto dirgli tutto. Ma io negavo. Ho sempre negato, anche Stefano sarebbe stato inutile. In estate stavo vicino al mare in silenzio, in inverno mi chiudevo in casa con una tutina tra le braccia a guardare la neve fioccare. Stavo lì ore e ore. La neve era l'unica cosa che mi riallacciava a quel giorno. Al 12 dicembre. Poi non ricordavo più nulla: non ricordavo dei momenti vissuti in clinica, dei mie sfoghi, del primo tocco sulla pancia vuota, zero. La psicologa mi diceva che era tutto frutto di un trauma. Il mio cervello aveva rimosso tutto. E anche adesso ricordo solo la neve. Come se avessi perso la memoria, ma solo in riferimento a quelle ore.
Poi cosa è successo? Perché ora vi sto raccontando tutto questo?
L'anno scorso, a Gennaio, dopo aver passato le "feste" nella mia casa a Milano con Francesca, ho deciso di fare un giro in centro. Mi ero armata di forza e coraggio: prima o poi ce l'avrei fatta a scontrarmi con tutta quella mandria di gente che avvolge Milano nel periodo dei saldi. Ricordo benissimo quel giorno. Entrai in un negozio di scarpe, ovviamente affollato. Scelsi-forse anche per uno stupido scherzo del destino- un paio di scarpe rosa, e le misurai. Continuavo a guardarmi allo specchio, ma qualcosa non mi convinceva. Ad un certo punto una bambina mi si è avvicinata. Poteva avere cinque anni e non trovava più la sua mamma. Non so perché si avvicinò proprio a me, forse le ispiravo fiducia: si era persa e quella sola immagine della scomparsa mi fece ritrovare l'istinto che avevo perso del tutto. Le diedi la manina e l'aiutai. La mamma era alla cassa a pagare, la piccola le aveva lasciato la mano e l'aveva persa di vista. Mi sconvolse l'immagine dell'abbraccio e mi commossi, quando si ritrovarono. Mi invitò a casa sua, per ringraziarmi, davanti a una cioccolata calda. E al suo racconto mi si illuminarono gli occhi. Aveva sofferto come me, quanto me, eppure ora stava bene. Arianna -così si chiama- e Sara,  la sua bambina mi hanno raccontato la loro storia. A diciannove anni lei è rimasta incinta del suo primo ragazzo per un semplice errore. Appena glielo lo disse, lui si allontanò da lei. Il suo futuro, la sua vita, la sua azienda erano più importanti. Lei non l'ha sentito più, è sparito. Si è allontanata da tutto e tutti, rifacendosi una vita a Milano da sola. Poi alla dodicesima settimana di gravidanza perse il bambino. Per la prima volta dopo tempo mi sono ritrovata nelle parole di qualcuno. Mi ha raccontato di aver sofferto tanto, ma di essere tornata dai suoi genitori con le lacrime agli occhi, e di aver trovato rifugio nelle braccia di chi le voleva davvero bene, nonostante tutto. Ha conosciuto persone che avevano subito quello che aveva subito lei, e grazie a loro è riuscita ad uscire da questo orrendo tunnel.

Mi sono aperta con una sconosciuta, raccontandole il mio ultimo anno, senza Chiara, senza Stefano. E sapete cosa mi ha detto?
"Alla fine si esce sempre da quel tunnel. C'è sempre un rimedio al dolore."
Ora ha 26 anni, e una figlia di 5 anni bellissima, nata dalla relazione con Luca. Luca che le è stato vicino dal primo momento in cui l'ha incontrata, dimostrandole di essere la persona adatta a lei.
Sono una splendida famiglia, la dimostrazione che si può soffrire nel modo peggiore al mondo, ma che poi alla fine le cose arrivano. Davanti ad Arianna, ho pianto. Forse come non mai. Le ho raccontato le mie paure, quanto fossi terrorizzata al pensiero di distogliere per un momento lo sguardo da quel giorno. Non volevo dimenticare la mia bambina, era questa la mia paura.
Mi disse che dovevo essere forte, non sopravvivere, ma vivere per qualcuno che non c'è più. Non esserci non vuol dire, non restare. Anche un bambino mai nato, rimane nel cuore della propria mamma e non va più via. Arianna ora, assieme a Sara è una delle persone più importanti della mia vita. Quel giorno tornai a casa con il sorriso e Francesca quando le raccontai tutto si stupì. Fu felice per me, sapeva che sarebbe stato difficile, ma di sicuro non tutto era perso. Da quel momento tendo ad aprirmi di più con gli altri, scrivo più testi, provo ad immaginare mia figlia, vado spesso a trovarla al cimitero, dove è sepolta con gli altri bambini mai nati e a volte le parlo.
Non ho nulla di lei, solo le tante ecografie. Una delle ultime, in cui la mia bimba è particolarmente formata, la porto sempre con me.
Mi guardo allo specchio, e mi accarezzo la cicatrice, toccando il suo nome. "Chiara" è tatuato proprio lì. Nel punto in cui me l'hanno strappata via.

Adesso, so chi sono. Sono Emma, ho quasi 21 anni, ho perso la mia bimba, ma non sono sola. Ho Franci, la mia mamma, il mio papà, mio fratello, Sara, Arianna e i miei amici del liceo. Quasi tutti. Elena lavora in una scuola di ballo e viaggia tanto, Elisa ed Andrea convivono a Roma e quando è possibile mi vengono a trovare e Marcello studia cinematografia a Milano e standomi molto vicino, lo sento spesso.
Chi resta? Resta Stefano.
Di cui continuo a non sapere nulla. Ma un passo avanti l'ho fatto. Ogni tanto gli mando delle lettere. Scrivere mi riesce abbastanza bene, e conoscere il suo indirizzo in questo mi aiuta. Non gli ho raccontato cosa mi è successo, a volte gli chiedo semplicemente come sta e gli descrivo ciò che provo: è diventata la mia valvola di sfogo, nonostante io non abbia mai ricevuto risposta. Forse tre anni fa gli ho fatto così tanto male che non mi perdonerà mai o semplicemente, vuole soffrire in silenzio. Non lo so. So che però mi manca. Davvero tanto.

Innanzitutto Buon Natale, Santo Stefano e Buon tutto a tutti! ❤️
Da qui inizia davvero la storia! Cosa pensate delle lettere e di Emma?
Fatemi sapere e grazie ancora per le bellissime parole sul primo capitolo! ❤️

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