Trenta

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Emma


Pensavo di riuscire a staccare per un po' la spina, nella grande mela, ma evidentemente mi sbagliavo. È vero, sono riuscita a riposarmi stanotte, a dormire senza incubi, ma mi aspettavo un risveglio decisamente meno traumatico.

Dei rumori forti mi hanno fatta svegliare. Ovviamente ogni tentativo di riaddormentarmi è invano. Decido di aprire gli occhi, tenerli chiusi non mi aiuterà, ormai i pensieri hanno già occupato la mia mente, e ogni sogno è stato infranto. Mi appoggio alla spalliera e mi ritrovo sul letto sola.

Non come ieri sera.

C'era lui a farmi dormire. É grazie a lui, se almeno per stanotte sono riuscita a calmarmi.

Adesso ritorna tutto. I sensi di colpa, la paura di essere abbandonata, di ritrovarmi da sola. Lo so che non dovrei, lo so. Mi ha parlato, si é preso cura di me, non ha voluto rinfacciarmi nulla, ma perché? Io mi odio ancora.

Un altro rumore.

La mia sensibilità, a causa dello spavento mi fa scattare in piedi. Mi precipito in cucina e lo ritrovo accovacciato a terra a torso nudo circondato da scatoloni. Sorrido, mi è preso un colpo.

Lui lo percepisce e alza lo sguardo verso di me, alzandosi. Si precipita, sembra aspettarmi, e mi prende le mani. Gliele stringo.

"Buongiorno" mi bacia la fronte.

"Ciao" abbozzo un piccolo sorriso.

"Vieni, facciamo colazione. Ti aspettavo."

Mi siedo su una delle sedie della penisola e caccia qualsiasi cosa: "mi avevano parlato della colazione americana, ma non avrei mai pensato, di trovare tutto questo ben di dio."

"Beh sono anche le undici" dice addentando un pancake.

Oh, ho dormito davvero tanto. Cerco di non mostrare più di tanto il mio stupore e continuo silenziosamente a mangiare. Ma lo sento il suo sguardo. Sento come cerca di scrutarmi, di capire, e infatti poco dopo butta fuori: "come stai?"

Vorrei dirgli che va tutto bene, ma non riesco a mentire, a fingere come se niente fosse: "cerco di tenere duro" sposta lo sguardo sulla sua fetta di pane; lo so che non voleva sentirsi dire questo. "Mi dispiace, non hai idea di quanto mi dispiaccia" lo ripeto, nella speranza, che prima o poi riesca a perdonarmi.

"Non essere ripetitiva, non è colpa tua"sospira, deglutisce e a me sembra stia per cacciare parole davvero forti: "tu non puoi impazzire, ti rendi conto? Sono passati tre anni e per quanto io non sappia cosa sia successo davvero, come tu sia stata davvero, per quanto io non mi capacito di come abbia retto il dolore tutta sola, io non riesco a incolparti, perché non è colpa tua. E da ieri sei così..triste che non riesco proprio a vedere in te una persona cattiva. Sei la donna più forte che ho incontrato nella mia vita."

Questa volta mette le dita sotto il mio mento e mi studia: "Stanotte non ho chiuso occhio sai? Ti ho accarezzata, ho aspettato dormissi, ti calmassi, e ho pensato a tutto quello che mi hai detto ieri. E hai fatto la migliore terapia di sempre per te stessa e per me: hai parlato di una bambina mai nata, Em. Mi hai raccontato di nostra figlia, e io quel batuffolo l'ho immaginato davvero. Ho immaginato di esserti accanto, ho idealizzato mia figlia, solo con un'ecografia tra le mani. Perciò non è colpa tua, è il destino che sconvolge e ha sconvolto la nostra vita."

Lo guardo, digerisco le sue parole, lui sfrega il pollice sul dorso della mia mano.

"Ho bisogno di stare un po' da sola"cerco di non piangere, non dopo delle parole così piene di dolore, ma così dolci.

Come neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora