Tredici

429 19 8
                                    

Stefano

La prima volta che ho ricevuto una lettera di Emma era sera. Come adesso più o meno. Ricordo ogni cosa. Ricordo che ero sul letto, sdraiato e stanco dopo una giornata intera in palestra. Era un periodo in cui non pensavo a niente. Ballavo, ballavo tanto. Facevo di tutto per non fermarmi, per non pensare, ma quella sera non riuscivo proprio a sconnettere. Poi bussarono alla porta. Scattai in piedi, ricordo. Non lo aveva mai fatto nessuno da quando ero a New York e fui sorpreso nel trovarmi davanti il postino. I postini non arrivano di sera, o almeno così credevo. In poco tempo tra le mani ritrovai una busta rossa. Piccola, e ad essere sincero pensai subito fosse qualche mio parente, un po troppo nostalgico. Invece no. In quella busta, c'era lei, di nuovo. Dopo un anno cosa voleva? Io non sarei caduto di nuovo nella sua trappola. Mi aveva manipolato, fatto suo, e mollato per uno stupido capriccio. Volevo dimenticarla, e lei cosa osava fare? Scrivermi due paroline, in cui diceva di amarmi. Non ero un pupazzo, ero andato via accontentandola, e non avevo intenzione, di risponderle, essere preso in giro di nuovo, rientrando nella sua vita. Io non le appartenevo, non era più mia, e prendere le distanze ci aveva fatto solo bene. Posai la lettere sulla penisola in cucina, infilai una camicia bianca e scesi a prendere aria. L'aria di casa mi opprimeva. Nemmeno lì mi sentivo al sicuro.

Quella camicia bianca ce l'ho ancora oggi, e la indosso proprio adesso mentre sto entrando nella maestosa Galleria. Non esagero se dico che sto invadendo i suoi spazi, io lo so che sto entrando nella sua realtà e non dovrei. Sembra che io mi stia vendicando, ma in realtà lo faccio solo per me, per la danza, e per l'esperienza che devo vivere. E Milano, mi ha entusiasmato così tanto, per la sua grandezza, che ho dimenticato tutto. Ho dimenticato i miei complessi, quello che per tutto questo tempo mi ha fatto desistere dall'idea di partire. Ho solo pensato a ciò che mi avrebbe fatto davvero bene, mi sono dato una risposta e l'ho trovata nella danza. Non devo pensare a niente se voglio diventare qualcuno. Quando ho raccontato a mia madre di ciò che mi turbava mi ha subito detto: "Tesoro mio ma tu credi che i ballerini della Scala, abbiano tutti questi pensieri oppure credi che per diventare tali, hanno dovuto fare tanti sacrifici, e lottare per quello che fanno giorno dopo giorno?"
Come è saggia mia madre. Sa sempre che dire. Io voglio essere qualcuno, voglio lottare per il mio futuro, lo hanno fatto tutti, perché non posso farlo anche io? Devo essere più egoista, più stronzo, tenermi stretto solo ciò che so che resterà. L'unica cosa che mi spiace, di cui mi pento, è non aver pensato prima a tutto questo; sono stato debole, vigliacco. New York era la mia bolla di vetro, lì nessuno mi avrebbe incastrato, ferito. Adesso sono più forte. E ne è prova il fatto che io stia camminando da solo, per Milano. E stranamente mi sento diverso, mi sento libero, ma anche al sicuro, forse perché sto per incontrare qualcuno che mi ispira fiducia. Tra una settimana ci sarà lo spettacolo e ho deciso di invitare, due persone importanti per me, due anime belle, che non vedevo da tanto tempo, Marci ed Ele. Ho sbagliato, soprattutto con Elena, li ho cercati, a volte anche approfittandone, ed è meglio che rimedi, almeno con loro. La Galleria é davvero enorme, ma non ci vuole molto a riconoscerli. Sono seduti a un tavolino, tranquilli; Elena ha una chioma folta bruna, Marci è seduto  nella sua classica posizione, quella di uno sbruffone, e mi aspettano, lo vedo dai loro sguardi. Corro verso di loro, credo di non aver mai provato tutta questa felicità e ansia nell'attesa nello stesso momento e li abbraccio.  Sento le loro risate, lo schiaffetto di Marcello dietro il collo, il "bentornato" di Ele. Mi sento più leggero stando vicino a loro. Come se il peso dei miei pensieri, delle mie parole, si sia distribuito. E ora mi viene in mente anche la scuola elementare, quando spiegavano le frazioni. Avete presente, la torta, le fette? Forse adesso è proprio accaduto questo. Tutto si è distribuito, mi sento meglio, e non è l'alcool a rendermi così. Sto bene e devo essere grato alle persone che mi stanno affianco adesso. Sono passati su tante cose, sul mio sparire degli ultimi anni, sulle litigate, e adesso stiamo parlando come se ci trovassimo ancora in quella stanza di college. La serata procede con un calma e una tranquillità strane, e devo dire che tutto questo mi sorprende particolarmente. Elena mi racconta dei suoi tour, di quanto si stia divertendo in teatro, e sono felicissimo per lei; riesco a scusarmi ancora per quello che le ho fatto, finalmente da vicino, e lei mi abbraccia e mi sorride, dicendo che alla fine ciò che conta è dove ci troviamo adesso. Marcello mi sfotte, considera il mio un atto di coraggio, ma nessuno accenna a un granché, nessuno di noi vuole parlare di quello che è accaduto agli altri, preferiamo parlare di noi, anche se in cuor mio vorrei tanto sapere, cosa le è successo, cosa ha fatto, ma capisco anche che non sono fatti miei, e se da oggi voglio intraprendere un nuovo inizio, devo essere io stesso a comprendere che certi pensieri é meglio non farli proprio. E se fosse proprio il non sentirne parlare a complessarmi ancora di più? E se è solo di lei che mi interessa, e sapere cosa faccia possa finalmente mettermi l'anima in pace?
Così aspetto, aspetto che Ele vada via, per chiedere finalmente qualcosa a Marcello, che mi ha scrutato fin troppo stasera. La mia amica ci saluta e aspetto il momento giusto, quando Marci subito interviene.
"Dai chiedimelo."
Lo guardo interrogativo.
"Tu vuoi sapere dell'innominata dì la verità."
Scoppio a ridere, nervosamente. Ma perché non riesco mai a nascondere niente?
"Piuttosto mi uccido."
Quanto sono credibile, mamma mia.
"Ste."
"Marci."
"Emma sta bene, è tutto ok." Lo dice indifferente, come se nulla fosse, come se io e lei fossimo ancora amici. E a questa frase io reagisco male, mi innervosisco quasi, forse non era la risposta che mi aspettavo.
"Non mi interessa, non voglio parlarne, né vederla." Ma Marci adesso non mi consola, e forse questo è cambiato. Il mio migliore amico tre anni fa avrebbe fatto di tutto, per parlare di lei, difendendola, difendendomi, facendomi capire che era colpa di entrambi, ma convincendomi che lei è inscindibile da me. Invece stavolta non è così. Qualcosa è cambiato e io lo percepisco, lo sento.

Ma adesso voglio godermi questi istanti. Voglio ricominciare a vivere.



Ragazze! Stefano sarà stato sincero con i suoi amici, e in particolare con Marcello? E con se stesso è sincero? Come pensate ci sia finita quella lettera nel suo zaino? Cosa pensate succederà nel prossimo capitolo?
A prestissimo❤️

Come neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora