Diciassette

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Stefano


Io non ci ho mai creduto nel destino. Le cose non accadono per destino. Le anime non sono destinate ad incontrarsi, ad amarsi. Destino, è un modo romantico, elegante, per dire fortuna. O sfortuna. Quando ero un ragazzino forse di crederci mi andava pure, ma è solo una palla. Un modo per consolare le persone, quando succede qualcosa di brutto.
Era destino che doveva andare così.
Mi chiedo: se il destino gioca sempre a nostro favore, se le cose nella nostra vita devono andare sempre bene, perché le persone muoiono, perché c'è chi muore di fame, perché la nostra vita non è perfetta, perché non facciamo altro che soffrire?
Non esiste il destino. Quella cazzo di lettera é arrivata nel mio zaino, perché nel disordine di casa mia, per errore ci è finita anche lei.
E smettiamola di credere che sia destino.
Perché se in quella discoteca mi sono ritrovato davanti la mia ex, l'ultima persona che avrei voluto vedere in questa città, la colpa è solo di due amici coglioni.
Non è il destino.

Batto nervosamente il piede sul marciapiede, estraggo una Camel dal pacchetto di sigarette e la accendo, mentre osservo attentamente ogni particolare della vetrina di fronte a me. Qua fuori c'è casino. E non pensate alla vostra idea di casino, qua fuori ci saranno si e no una decina di persone. Il problema è che io sento solo le voci di Marcello, Elena, Andre ed Elisa che litigano su qualcosa che non riesco ancora a decifrare. Sento che parlano di me, parlano di Emma, si danno la colpa per qualcosa. Qualcuno di loro non doveva essere lì, forse era Emma, forse Marcello, ma sinceramente non mi interessa. Aspiro il fumo e mi concentro sul momento che ho vissuto mezz'ora fa.
Io non pensavo fosse ridotta così.
Certo era ubriaca, ma l'impatto che ho avuto quando l'ho vista è stato diverso. Quando l'ho vista, invece di stare muto come un pesce, avrei dovuto salutarla o comunque fare qualcosa. Invece non ho fatto nulla. L'ho analizzata, l'ho cercata, ho cercato di capire dove fossero gli occhi di cui mi sono innamorato. Non li ho trovati.
Non sono stato capace di leggere dentro di lei. E di questo mi sento in colpa. Sono stati i minuti più lunghi di sempre. Ricordo che ad un certo punto Marcello, l'ha vista e con Andrea l'hanno portata fuori. Ho sentito dei lamenti, delle lacrime,  e sono arrivato troppo tardi, perché lei ormai era già nel taxi, accompagnata da Francesca e una ragazza riccia che non conosco.
Qui fuori sono rimasti solo i miei amici. Ma stranamente nessuno si è preoccupato di cosa provassi, hanno iniziato a scannarsi, si aspettavano che litigassimo, e ci aggredissimo probabilmente. Ma non ne saremmo mai stati capaci. Ci siamo voluti troppo bene per diventare così. Per aggredirci, per odiarci.
Finisco la sigaretta e Marcello mi raggiunge: "Ste andiamocene, mi sono rotto." Lui invece non la pensa come me, almeno non stasera. Mi giro e noto che le ragazze se ne sono andate, con Andrea presumo.
"Ma che è successo?"chiedo, facendo il finto tonto.
"Niente, non è successo niente."





"Pronto?"
"Mamma?"
"Tesoro mio come stai?"
Deglutisco e aspetto che il groppo in gola svanisca. Mi mancano così tanto.
"Bene ma, bene."
"Sono contenta Ste, com'è Milano? Hai visto i ragazzi? E la lezione?"
Sorrido pensando a quanto sia premurosa e quante cose sa.
"Si si è tutto ok"mento, non ne sono così sicuro. "A voi come va?"
"A noi bene Ste stai tranquillo. Ti sento un po giù amore, sicuro che stai bene?"
Rigiro il cucchiaino nel caffè, e provo a parlarle. Aspettavo me lo dicesse lei, aspettavo me lo chiedesse lei, e ha capito.
"Mamma tu te lo ricordi quando ho iniziato a ballare? Ricordi che quando mi prendevano in giro, mi chiudevo nella mia stanza e avevo solo bisogno di te?"
La sento sospirare, la mia voce lievemente si spezza, sento di aver raggiunto il limite.
"Si" la sento sospirare "Hai bisogno di me?"
"Mamma che si fa quando non si riesce a parlare? Come si fa a leggere negli occhi di qualcuno? Come si fa a parlare a qualcuno a cui si vorrebbe dire di tutto?"
"È successo qualcosa con Emma." Lei mi capisce sempre, sa tutto di ogni mio singolo movimento, dei miei sentimenti. E così le racconto della giornata di ieri: di Marcello, della lettera, della discoteca e lei non fa altro che rispondermi così: "forse era destino; forse dovevi incontrarla e renderti conto a mamma. Renderti incontro che non potrai mai essere arrabbiato con lei, forse anche lei ci è stata male. Pensaci, metti da parte l'egoismo. Inizia a fare ciò che ti senti capito? Vai oltre la tua rabbia, oltre il rancore."
"Grazie ma."
"Ci sarò sempre."
Vorrei dirle che il destino non esiste, che non credo tanto alle sue parole, ma in un modo o in un altro ne avevo bisogno.
Stamattina, dopo lo stage con Bolle, non sapevo chi chiamare. Pensavo di aver perso del tutto la parola, mi sono sentito solo. John non c'era, non ho voluto chiamare nessuno dei ragazzi perché non mi sembrava affatto il caso. Tra l'altro Marcello non è stato né esaustivo né convincente; mi ha detto che ha discusso con Ele senza fare praticamente cenno a nulla. Ha detto che devo pensare a me, che non devo più ascoltare le cazzate di Elena. E sono rimasto sorpreso; sembrano tutti disinteressati, arrabbiati. L'unico interessato a capire sembro io. E per capire avevo bisogno di qualcuno.
Ho chiamato la mia mamma. La donna che c'è sempre, che resterebbe ad ascoltarti ore e ore. Soprattutto dopo ieri sera e dopo la mia nottata. Non ho mai analizzato così bene un soffitto in tutta la mia vita. Ho cercato di trovare una macchia, un po di umidità, in quel bianco che avevo davanti agli occhi, invece non ho trovato praticamente nulla. Ho buttato un'intera nottata, pensando solo esclusivamente alla serata che ho passato.
Finisco il mio caffè e pago. Passeggio e penso che da quando sto a Milano ogni sentimento, ogni minimo respiro mi sembra duplicato, ingigantito. Non è grande come New York, eppure non mi sono mai sentito così schiacciato e sollevato allo stesso tempo. Se penso alla danza, ai sacrifici, dovrei solo ringraziare i miei per essere qui; sono felice, oggi sarei stato capace di ascoltare Roberto Bolle per altre dieci ore. La danza, il mio lavoro, il teatro mi aiutano a cacciare via tutto.
Ma se penso a ieri sera...prenderei il primo volo adesso. Io non avrei dovuto essere lì. Non me la sarei dovuta ritrovare davanti. Non avrei dovuto ascoltare Marcello. Non l'ho decifrata, sembrava mi ritrovassi davanti a un muro. O un soffitto.
Emma  è il mio bianco. Ho cercato di trovare qualcosa di negativo. Ho cercato di trovare qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che mi convincesse a restare, qualcosa che mi facesse scappare. Ma non ho trovato nulla.



Salve!
Stefano è un po tanto confuso, e all'orizzonte c'è un caos assurdo.
Buona lettura!

Come neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora