Stefano
È stata dura.
È stata dura tornare a New York per bloccare la mia vita lì. Sono partito da Milano con l'idea di aver lasciato qui, qualcosa in sospeso, qualcosa che non poteva avere fine con uno schiaffo.Aggiusto il collo della camicia e mi riguardo allo specchio.
Non credo di essere pronto.
Non so che mi sia preso. Forse avrei dovuto chiamarla e mettere fine a questa storia una volta per tutte, dopo essere venuto a conoscenza del suo numero di telefono. Invece no, ho solo assecondato lei e Francesca, che mi ha pregato, forse più di Elena, di parlarle, di provare a darle ascolto, anche se adesso non sembra più lei. Mi ha chiesto di fidarmi, se non di Emma, almeno di lei. E in effetti, io di Francesca mi fido. È proprio questo il problema; non dimentico che a convincermi a partire, tre anni fa, è stata lei. Usò le parole giuste, sembrava conoscermi da una vita, mi ha spronato verso una vita che non sentivo mia nemmeno un po. E in quella telefonata qualche giorno fa, è riuscita a strapparmi da li, dalla grande mela, cosi come mi ci aveva messo. Non avevo il coraggio di ammetterlo a me stesso, che sarei voluto partire, di nuovo, e sapevo che chiamare Francesca sarebbe stata la giusta soluzione. Ho ripreso quel pezzo di carta stracciato, su cui c' era il suo numero e ci ho parlato. Lei mi ha rassicurato, convinto che alla fine Emma mi avrebbe parlato, e mi ha convinto a rischiare. Ho immediatamente prenotato un volo, e dopo il messaggio ricevuto, ho lasciato in time out la città, che mi ha adottato.
Tornerò domani, tra una settimana o un mese, ma voglio provarci.
Lascio le chiavi alla reception, e cosciente del ritardo, corro verso la metropolitana.
A Manhattan basta un taxi, per spostarti in pochi minuti dall'altra parte della città.
Qua provaci a sventolare la mano per fermare un taxi.
Aspetta e spera.
Ho preso appuntamento con Emma tramite messaggio. Dopo averle risposto, lei mi ha comunicato che mi avrebbe inviato la posizione di un locale dall'altra parte del centro di Milano e che mi avrebbe aspettato alle 21.00.
Sono le 21 e 15.
Emma è puntuale.
E ci sono due fermate di metropolitana.
Durante la corsa, il mio stomaco si contorce sempre più. Devo ammettere di essere in ansia, forse perché non mi aspettavo volesse parlarmi. Continuo a credere che tutto sommato quello che sto facendo adesso sia giusto, ma ho paura. Temo di rimanere deluso, ho tante aspettative che potrebbero crollare da un momento a un altro, ma so che l'unica soluzione per mettermi l'anima in pace é questa: voglio sapere il perché, delle lettere, del suo silenzio, delle poche parole che ha rigettato nei miei confronti quando sono arrivato qui quasi un mese fa, e soprattutto il motivo dello schiaffo.
Freddo.
Pieno zeppo di dolore.
E il perché di quei suoi occhi lucidi quando lo ha fatto. Perché sono riuscita a vederla quella patina trasparente.
Voglio sapere chi è adesso.Arrivo davanti a quello che in realtà è un hotel, affannato, con un'abbondante mezz'ora di ritardo. Mi fermo qualche secondo all'entrata, osservando la grandezza e la maestosità di questo edificio. Mi faccio avanti e appena attraverso la porta girevole, mi ritrovo incantato. Non so dove posare lo sguardo, il soffitto é alto, e lo stile classico ed elegante, mi fa accennare un sorriso, quando percepisco che i suoi gusti non sono cambiati, se frequenta ancora posti così. Alla mia destra si trova la reception, ma a parte una coppia che sta facendo il check in, e un pensionato che legge un giornale, non c'è nessuno.
Mi avvicino al bancone in marmo al lato opposto e la intravedo seduta su uno sgabello, di spalle. Mi fermo un secondo, a un paio di passi da lei, dietro a un pilastro, che mi da una visuale angolare del bar.
Stavolta vorrei osservarla davvero.
I suoi capelli sono lievemente più chiari, più biondi, indossa un vestito nero, e sorseggia un liquido trasparente da una coppa da cocktail.
Sembra più matura.
Decido di avvicinarmi lentamente e di tentare di abbattere il muro, che ci separa da un po.
Mi accosto sullo sgabello a fianco a lei, e ordino un caffè lungo.
Preferisco rimanere lucido. Emma non dice una parola per un po, mentre io riesco a notare con la coda dell'occhio, il suo sguardo leggermente sfocato.
Il cameriere porge il mio caffè sul banco ed è in quel momento, che lei, come se stesse aspettando un fischio di inizio, mi rivolge la parola: "sei in ritardo".
Mi volto verso di lei, e rimango stupito, quando vedo un riga verticale di trucco nero, rigare e sporcare il suo volto roseo. Probabilmente se ne accorge anche lei, e ci passa una mano sopra, facendo scomparire la lacrima, ma sbiadire ancora di più la sua guancia. Un sorriso amaro sulle labbra, e mi sembra di riuscire a percepire il battito frequente dei nostri cuori, che sembrano volere uscire dal petto.
"Lo so" annuisco, incapace di dire altro.
Rimaniamo qualche altro istante in questo assordante silenzio, e provo a percepire i suoi pensieri, a cercare di capire cosa vorrebbe dirmi, mentre in sottofondo si sente solo il rumore di tazzine, fatto dal cameriere. Finito il suo cocktail, Emma sembra essere rinsavita da quell'apparente stato di trance, e dice qualcosa che per non so quale motivo, riesce a buttare giù tutti i pregiudizi, che avevo prima di venire qui.
"Io...mi dispiace...per lo schiaffo, dico. Non sono qui per giustificarmi, ma devi sapere che non volevo dartelo davvero, semplicemente, non mi aspettavo venissi, non mi aspettavo dicessi quelle cose..e.."
"Non fa nulla. Ho capito."
La fermo prima che possa andare oltre. In realtà ho capito poco del suo atteggiamento, ma devo fermarla prima che possa andare oltre. Voglio andarci piano stavolta, per capire tutto fino in fondo.
"Ti va di parlare?"aggiunge, timorosa. Sembriamo due estranei, sembra abbiamo buttato alle spalle qualsiasi cosa. Annuisco e accenno un sorriso, che a quanto pare le da la sicurezza tale per alzarsi e farmi da strada.Seguo Emma per sedici rampe di scale, pari ad otto piani, pieni di camere, fino a quando ci troviamo davanti una porta di ferro semi aperta. La convinzione di Emma anche nell'aprire tale parte mi fa comprendere che questo posto lei lo conosce benissimo, ma è quando spalanca quella porta, che percepisco una serenità e un tranquillità inaspettata, che so perfettamente mi aiuterà ad affrontare la serata.
Ehi! C'è qualcuno qui? Lo so, é passato quasi un mese. Ma capitemi...mi sono goduta la mia estate.
Adesso si ritorna, a studiare, a pensare e il mio cervello sfornerà idee(si spera).
La parte che avete letto, e il seguito che leggerete prestissimo sono tanto importanti per me, quindi mi auguro di sapere presto cosa ne pensate.
Che si diranno questi due pazzi?
Io sono qui e vi aspetto.