Capitolo ventotto

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I giorni passavano lenti e Liv, volata nuovamente verso lo stato della California, se ne era tornata a casa sua, sola tra le mura di quella accogliente ma al tempo stesso fredda villa che per tempo era stata casa sua. Durante quei giorni di pausa non aveva fatto altro che rimuginare su quanto vissuto nell'ultimo mese.

Quella passione sfrenata che l'aveva travolta, incendiata e consumata fin da subito e fin dentro le ossa, non le aveva lasciato altro che il classico retrogusto amaro dell'epilogo, tipico della fine di una storia: l'estinguersi della fiamma della lussuria alimentata attraverso emozioni troppo carnali per essere considerate un buon combustibile a lento rilascio di energia.

E la fiamma che aveva alimentato la natura della loro storia era stata più simile a una scintilla in un rovo ormai secco che a una piccola vampa viva ardente, bisognosa di cure e attenzioni per rimanere costante nel tempo.

Slash aveva lasciato il Canada il giorno precedente alla partenza delle due band e con lui se ne era andata anche Perla. Si erano incontrati di sfuggita, qualche ora prima della partenza della coppia, ma non vi era stato nulla più di uno sguardo e lei sapeva che non si sarebbero rivisti prima del trenta luglio, data del prossimo spettacolo che si sarebbe tenuto proprio lì, in California.

Liv aveva deciso di non sostare da Mia, non aveva bisogno di altri paroloni o discorsi su quanto fosse stata avventata la sua scelta di intraprendere questa conoscenza di letto con il chitarrista. Quel poco che le aveva detto, quel pomeriggio, le era bastato; così optò per rimanere quattro giorni in quello che era stato il suo quartiere per quasi due anni, dedicandosi completamente a sé stessa.

Nonostante la villa fosse rimasta chiusa per mesi, al suo arrivo Liv notò che era stata curata per tutto quel tempo, come se avesse dovuto rimetterci piede da un momento all'altro. Trovarla pulita fu una vera manna dal cielo.

Appena lasciate le sue valigie telefonò alla domestica e la ringraziò per essersi occupata della residenza durante tutto quel tempo, poi si lasciò andare, in intimo, a un bagno nella grande piscina esterna.


Ordinò cibo d'asporto e attese che gli venisse recapitato nel giro di un'oretta mentre era svaccata sul divano di pelle bianco, a farle compagnia uno dei programmi di cucina più in voga degli ultimi anni. Il trillo del cellulare la ridestò da uno stato di comatoso dormiveglia. Si allungò sui cuscini e raggiunse con il palmo sinistro il telefono che continuava a suonare, instancabile. Non riconobbe il numero, ma rispose ugualmente con un punta di curiosità.

- Sì?-

- Hey. Sono io, Slash.-

Liv si accigliò e staccò per un momento l'orecchio dal cellulare per tornare a guardare il numero impresso sul display.

- Slash? Come hai avuto il mio numero?- chiese e si voltò di spalle come a sincerarsi di essere sola. La stanza silenziosa era immersa nella naturale luce del tramonto Losangelino, lasciando in ombra gran parte della sala.

- Cazzo... porca puttana...- lo sentì vomitare una serie di volgarità prima di zittirsi.

- Cosa succede? Dove sei?- chiese lei preoccupata. Aveva un tono di voce diverso, strano, quasi alieno ma non volle indagare. Non erano affari suoi, alla fine.

- Niente... lasciami il tuo indirizzo di casa- le chiese a bruciapelo e Liv strizzò gli occhi, corrugando la fronte davanti a quella richiesta assurda. Scosse la testa e incrociò le gambe sopra al cuscino del divano.

- No che non te lo do, il mio indirizzo. Lasciami stare, Slash. Hai bisogno di  risolvere i tuoi casini con tua moglie, come io ho bisogno di riordinare i miei-

Liv chiuse la comunicazione e lasciò il telefono in modalità silenzioso accanto al lei, tra la spalliera e la seduta. Maledetto chitarrista, pensò un attimo prima che il campanello della porta suonasse, distogliendola dalla serie di immagini che il cervello iniziava a spiegare.


Sweet child of mineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora