02. Ospite indesiderato

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Mancavano cinque giorni all'arrivo in ufficio del "figlio di Charles", non ero riuscita a scoprire il suo vero nome

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Mancavano cinque giorni all'arrivo in ufficio del "figlio di Charles", non ero riuscita a scoprire il suo vero nome. Lo conoscevo solo con quel nomignolo che Isabelle Jefferson gli aveva attribuito. Ormai, non faceva altro che parlare di lui e delle sue capacità, aveva finito il college in anticipo con il massimo dei voti perché era molto intelligente. Diceva che, il ragazzo, le aveva pregato di non parlare con nessuno delle sue intenzioni.
- Ha detto che è una cosa di assoluta riservatezza, mi dispiace. Non vorrei farlo arrabbiare, quando è di cattivo umore è ingestibile. Vorrei dirtelo - mi aveva risposto, quando avevo provato a chiederle il motivo della sua visita in ufficio. Si vedeva quanto fosse difficile per lei stare in silenzio, amava spettegolare.
Mi ero immediatamente scusata, non volevo farmi i fatti di quel ragazzo ma ero curiosa di sapere cosa gli fosse capitato per rivolgere la parola ad un avvocato. Sapere che poteva capirmi meglio di chiunque altro, dato che a quanto avevo compreso, la fidanzata era andata via subito dopo il parto, lasciandolo solo, mi rendeva interessata nei suoi riguardi.

Raccolsi le miei cose pronta per andarmene. Isabelle, quel giorno mi aveva fatto andar via un'ora prima rispetto al mio orario di lavoro, poiché aveva un appuntamento con il padre e io non avevo nulla da fare. Non lavoravo tutta la giornata, solo fino alle quindici e trenta ed era raro tornare a casa prima. Appena uscii dall'edificio in cui lavoravo, il cellulare squilló.
"Ed" quando lessi quel nome, ebbi un brivido. Avere paura del proprio ragazzo era orribile. Lui aveva frequentato la mia stessa scuola superiore, avevamo parlato giusto qualche volta di compiti. Un giorno, mentre ero incinta, ci incontrammo in un supermercato. Sembrava il ragazzo perfetto: biondo e con gli occhi verdi, il fisico scolpito e un sorriso perfetto che faceva perdere un battito. Da allora, iniziò a chiamarmi ed aiutarmi in tutto. Ricordavo il suo sguardo sorpreso quando lo invitai a casa mia, l'aveva riconosciuta. A quanto mi aveva raccontato Ed, Caleb era andato via senza dire nulla a nessuno, neanche al suo migliore amico. Con il tempo legammo e mi sfogai con lui, raccontandogli i miei problemi e gli confessai che il padre era Caleb. Diventó rosso dalla rabbia quando gli dissi che non voleva prendersene cura, ricordavo ancora il senso di serenità che provai quando mi abbracció, sussurrandomi che ci sarebbe stato lui sia accanto a me e sia accanto a mia figlia.
Con il tempo ci avvicinammo e ad uscire insieme ufficialmente quando Julia fece un anno. Fu allora che si mostrò per quello che era veramente: un vero e proprio mostro.
Tutto cominciò quando continuavo a rifiutarmi di concedermi a lui, non ero pronta ma ad Ed non importava. Iniziò a picchiarmi a darmi della puttana perché mi ero concessa a Caleb, quindi, dovevo fare lo stesso con lui. Ogni volta continuavo a urlare e a chiedere aiuto o si fermarsi, ma era inutile, non poteva sentirmi nessuno e lui non ascoltava.

Da quel giorno usava ogni scusa per alzarmi le mani, per fortuna tutto questo accadeva lontano dagli occhi di Julia, chissà cosa avrebbe pensato di sua madre se avesse saputo.

Feci un respiro e risposi: - Ed - pronunciai il suo nome mettendoci enfasi e cercando di sembrare contenta, non sapevo se faceva finta di non notare o non lo notava proprio del mio distacco da lui ogni volta che parlavamo.

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