• Prologo

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"A te che ti fissi su tutto, anche quando sembri non pensare a niente.
A te che sei paranoica da morire, anche se non lo ammetteresti mai.
A te che ti piaci la mattina appena sveglia, con i capelli arruffati ed il pigiama più grande di una taglia.
A te che guardi distrattamente fuori da un finestrino di un treno in corsa, sentendoti quasi in un film.
A te che leggi tra le righe di un cuore, cogliendone la bontà.
A te che apprezzi la gentilezza e cerchi di metterla in pratica.
A te che ami il mondo e pratichi il coraggio senza rinunciare alla tua preziosa fragilità.
A te dedico il tramonto.
A te auguro il coraggio, le giornate di sole, l'ebrezza di un abbraccio, il mare, l'amore.
Ti auguro di ritrovarti sempre, ti auguro te."

L'unico modo per far rimanere gli occhi aperti era far un giro sulla sedia girevole sulla quale era seduto.
Di tanto in tanto era costretto a far scendere i suoi anfibi neri dal tavolo per poggiarli a terra e darsi una spinta.
Non voleva finire nella stessa situazione del suo compagno dai capelli rossi, seduto dall'altra parte del tavolo, che dormiva sulla sua sedia da ormai mezz'ora.
L'odore nauseante di smalto per unghie gli faceva arricciare il naso.
La ragazza era intenta a laccarsi di rosso le sue unghie, ma sapeva già che una volta messo lo smalto lo avrebbe tolto perché si sarebbe rovinato a breve.
Il ticchettio del cacciavite nel piccolo pezzo di motore era l'unico suono che spezzava il silenzio nella stanza, causato da un altro ragazzo, piegato sul tavolo mentre si impegnava a sistemare qualche marchingegno al suo interno.
Poi, all'improvviso il trillo del telefono fisso, posto sul davanzale della grande finestra, rigorosamente coperta da una grande stoffa grigia.
Tutti smisero per un momento di muoversi: non era solito il loro vecchio apparecchio suonare.
I suoi occhi chiari si puntarono su tutti i visi dei suoi compagni, anche del rosso, che aveva aperto gli occhi ed era subito scattato in guardia.
Si alzò, cautamente, dopo che tutti decisero di non proferire parola.
Ogni volta si ritrovava davanti alla stessa situazione: "Se fosse una trappola?"
Prese un lungo respiro, poi
« Irama Plume? »
Le sue sopracciglia, poco marcate, si avvicinarono in uno scatto veloce.
L'accento italiano lo riportò ad una figura di cui aveva già sentito parlare.
« Sono Moraldi. »
Sbarrò gli occhi, "È per forza lui."
« Non era in prigione? »
Nessun saluto, solo una dritta frase che fece incuriosire ancor di più i suoi compagni.
« Si, ma ho i miei punti di aggrappo migliori. »
« Cosa le serve? »
« Ho sempre pensato che fossi un bravo ragazzo, o meglio, si fa per dire.
Con "bravo" intendo abile nel tuo lavoro, chiamiamolo così. »
Ci fu una pausa, in cui poteva ascoltare il ronzio nella cornetta del telefono.
« E con questo? »
« Voglio chiederti un favore. »
« Cosa ci guadagno? »
L'uomo ridacchiò, facendo iniziare a far tendere i nervi al ragazzo.
« Prima ti riferisco l'incarico, poi ti dirò la somma. »
« Continui. » Sospirò, guardando poi gli altri tre ragazzi, che lo guardavano accigliati, come se si stessero sforzando di capire ciò di cui stava parlando con la persona dall'altro capo del telefono, ancora da loro sconosciuta.
« Tra due giorni mia figlia si trasferirà a Chicago. »
« Non erano morti i suoi figli? »
« Tutti tranne lei. Purtroppo non ha seguito le mie orme, come d'altro canto gli altri due. Come sai, il mio patrimonio famigliare è importantissimo ed è in mano a mia figlia. »
« Cosa vuole che faccia? »
« Devi farla diventare membro dei Ghosters, Irama. Deve seguire le mie orme, così che quando uscirò da questo posto avrò una compagna di affari, capisci cosa intendo. »
Il ragazzo si lasciò andare ad una risata isterica, poi dovette dire
« Non faccio entrare a far parte del gruppo persone che non hanno il nostro sangue. Potrà anche essere sua figlia, ma come posso prendere come nuova recluta una sconosciuta?
Mi dispiace, ma non poss- »
Il discorso del ragazzo venne interrotto, ponendo anche fine alla sua calma, già ostacolata pochi istanti prima quando l'uomo italiano gli aveva fatto la sua proposta.
« Se lo farai, ti farò ricevere cinque milioni di euro e venti automobili pronte per essere modificate e vendute a tuo piacimento. »
Quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Gli sarebbero serviti quei soldi, per affari personali e della sua famiglia, composta dai tre ragazzi che lo videro assumere un'espressione sconvolta.
« Come posso sapere che sarà così? »
Non poteva accettare subito come avrebbe fatto un bambino di cinque anni davanti all'offerta di un bel gelato: doveva farsi vedere autoritario, da capo qual era.
« Fidati di me, Fanti. Prendi mia figlia, oppure invece di quel bel regalino ti farò arrivare dove alloggiate pattuglie di sbirri pronti a mettervi al fresco. »
Strinse i pugni dopo aver sentito il modo in cui lo aveva chiamato.
Tutti guardarono il profilo del ragazzo, che era in tensione come i nervi e le vene che potevano vedersi lungo la sua mano tatuata.
« Mi sta minacciando, signor Moraldi? »
« Ti sto facendo un ultimatum: o prendi mia figlia ed il bottino, oppure le vostre natiche dovranno toccare la superficie fredda del letto della prigione. »
Sospirò, mandando gli occhi al cielo.
« Va bene. »
Moraldi non sembrò stupito dalla risposta del capo, e la cosa fece innervosire ancora di più il ragazzo, dato che capí che lui sapesse già come avrebbe risposto alla fine.
« Oh, ricordati che mia figlia è scaltra e intelligente, anche se non sembra.
Attento a ciò che fai e ciò che farà lei.
Io verrò a sapere se avrai svolto il compito assegnato. Rammenta bene che lei non deve scoprire nulla. »
« Come fa a sapere che lo farò? »
« Ricordi i miei buoni appoggi?
Buona fortuna, Plume. »
Poi il silenzio.
Si guardò le scarpe e sospirò: "Che un'altra avventura abbia inizio."
Si voltò verso i suoi compagni, pronto a raccontargli ciò che avrebbero affrontato per l'ennesima volta, insieme.

Criminals  { Irama Plume }Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora