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CITTÀ DI VETRO - cap.6 "Sangue cattivo"

Alec si chiuse alle spalle la porta della stanzetta nel sottotetto e si girò a guardare Jace. I suoi occhi erano normalmente del colore del lago Lyn, di un azzurro chiaro e tranquillo, ma tendevano a cambiare coi suoi stati d'animo. In quel momento il colore era quello dell'East River durante un temporale. Anche la sua espressione era tempestosa. «Siediti» ordinò a Jace, indicandogli una seggiola bassa vicino all'abbaino. «Vado a prendere le bende.»
Jace ubbidì. La stanza che condivideva con Alec all'ultimo piano della casa dei Penhallow era piccola, con due lettini stretti appoggiati a due pareti. I loro vestiti erano appesi a una fila di ganci sul muro. C'era un'unica finestra, che lasciava entrare una luce fioca: si stava facendo buio e, di là dal vetro, il cielo era blu indaco.
Alec si inginocchiò, tirò fuori la sacca da sotto il suo letto e l'aprì. Vi frugò rumorosamente dentro, poi si rialzò con una scatola in mano. Jace la riconobbe: era la scatola del pronto soccorso che usavano quando le rune non erano utilizzabili. Conteneva antisettico, bende, forbici e garze.
«Non vuoi usare una runa di guarigione?» chiese Jace, più per curiosità che per altro.
«No. Puoi anche...» Alec s'interruppe e buttò la scatola sul letto con una muta imprecazione. Andò al piccolo lavandino a muro e si lavò le mani con tale forza che l'acqua schizzò via in una nuvola di goccioline. Jace lo guardava con distaccata curiosità. La mano ora gli bruciava e il dolore era sordo e feroce.
Alec recuperò la scatola, avvicinò una sedia a Jace e vi si lasciò cadere. «Dammi la mano.»
Jace tese la mano. Doveva ammettere che era messa piuttosto male: tutte e quattro le nocche erano spaccate a raggiera. Aveva sangue secco incollato alle dita, come un guanto marrone che si squamava.
Alec fece una smorfia. «Sei un idiota.»
«Grazie» rispose Jace. Rimase pazientemente a guardare Alec che, chino sulla sua mano con un paio di pinzette, cercava di stanare un frammento di vetro conficcato nella pelle. «Allora, perché no?»
«Perché no, cosa?»
«Perché non usi una runa di guarigione? Questa non è una ferita di demoni.»
«Perché...» Alec prese la bottiglia azzurra di antisettico. «Credo che possa farti bene sentire il dolore. Per una volta, puoi guarire da mondano: in modo lento e orribile. Magari impari qualcosa.» Versò il liquido pungente sui tagli. «Anche se ne dubito.»
«Potrei sempre farmela da solo, la runa di guarigione,lo sai.»
Alec iniziò a fasciargli la mano. «Solo se vuoi che riveli ai Penhallow che cos'è successo veramente alla loro finestra, invece di fargli credere che è stato un banale incidente.» Fissò la fasciatura con un nodo stretto e Jace fece una smorfia di dolore. «Sai, se avessi immaginato che ti saresti fatto questo non ti avrei detto niente.»
«Me l'avresti detto comunque.» Tace inclinò la testa. «Non pensavo che il mio attacco alla finestra panoramica ti turbasse tanto.»
«È solo che... » Finito il bendaggio, Alec guardò la mano di Jace, quella che ancora teneva tra le sue. Era una zampa bianca di bende e macchiata di sangue dove le dita di Alec l'avevano toccata. «Perché ti fai tutto questo? Non solo la finestra, ma anche il modo in cui hai parlato a Clary. Per cosa ti stai punendo? Non riesci a sfuggire ai tuoi sentimenti.»
La voce di Jace era piatta. «E quali sarebbero i miei sentimenti?»
«Lo vedo, come la guardi.» Gli occhi di Alec erano distanti, guardavano oltre Jace qualcosa che solo lui sembrava vedere. «E non puoi averla. Forse non avevi mai saputo com'è desiderare qualcosa che non si può avere.»
Jace lo fissò con lo sguardo fermo. «Che cosa c'è tra te e Magnus Bane?»
La testa di Alec si levò di scatto. «Io non... non c'è niente...»
«Non sono uno stupido. Dopo aver sentito Malachi, ti sei rivolto subito a Magnus, prima ancora di parlare con me o con Isabelle o con chiunque altro.»
«Perché era l'unico che poteva rispondere alla mia domanda, ecco perché. Non c'è niente tra noi» disse Alec. Poi, cogliendo l'espressione di Jace, precisò, con estrema riluttanza: «Non c'è più niente. Non c'è più niente tra noi, okay?»
«Spero che non sia per causa mia» disse Jace.
Alec sbiancò e si ritrasse, come per parare un colpo.
«In che senso?»
«So quello che credi di provare per me» disse Jace. «Tu invece non lo sai. Io ti piaccio, perché sono una sicurezza per te. Senza rischi. E tu non ti metterai mai in gioco in una vera relazione, perché puoi sempre usare me come una buona scusa.» Jace sapeva di essere crudele in quel momento, ma non gliene importava granché. Ferire le persone che amava era bello quasi come ferire se stesso, quando era di quell'umore.
«Capisco» ribatté Alec secco. «Prima Clary, poi la mano, adesso me. Va' al diavolo, Jace.»
«Non mi credi?» replicò Jace. «Bene. Forza. Baciami adesso.»
Alec lo guardò inorridito.
«Esattamente. Nonostante la mia sbalorditiva bellezza, in realtà io non ti piaccio in quel senso. E se stai sganciando Magnus, non è per colpa mia. È perché hai troppa paura di dire a qualcuno, a chiunque, che lo ami per davvero. L'amore ci rende bugiardi» concluso Jace. «L'ha detto la Regina del Popolo Fatato. Quindi non giudicarmi, se mento sui miei sentimenti. Lo fai anche tu.»

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