Eau de ferite

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CITTÀ DI VETRO - cap.7 "Dove non osano gli angeli"

Da un sogno di sangue e sole, Simon si svegliò all'improvviso al suono di una voce che chiamava il suo nome.
«Simon.» La voce era un sussurro sibilante. «Simon, alzati.»
Simon era già in piedi (qualche volta si sorprendeva ancora per la rapidità con cui riusciva a muoversi). Girò su se stesso nel buio della cella. «Samuel?» sussurrò, fissando nell'ombra. «Samuel, sei tu?»
«Girati, Simon.» Ora la voce, vagamente familiare,aveva una nota d'irritazione. «Vieni alla finestra.» Simon la riconobbe immediatamente. Guardò tra le inferriate e vide Jace inginocchiato sull'erba, con una pietra di stregaluce in mano. Era accigliato. «Be'? Credevi che fosse un incubo?»
«Forse lo credo ancora.» C'era un ronzio nelle sue orecchie. Se avesse avuto un cuore che batteva, avrebbe pensato che fosse il sangue che gli scorreva nelle vene, ma era qualcos'altro, qualcosa di più incorporeo e più intimo del sangue.
La stregaluce disegnava un motivo irregolare di luci e ombre sulla faccia pallida di Jace. «Quindi, è qui che ti hanno messo. Non credevo che le usassero ancora, queste celle.» Lanciò un'occhiata di lato. «All'inizio ho beccato la finestra sbagliata. Ho fatto prendere un colpo al tuo amico nella cella accanto. Affascinante, con quella barba e quegli stracci. Mi ricorda un po' i barboni di casa nostra.»
Simon capì che cos'era il ronzio nelle orecchie: rabbia. In un angolo remoto della mente era consapevole di avere i denti digrignati, le punte dei canini che gli graffiavano il labbro inferiore. «Mi fa piacere che trovi tutto questo divertente.»
«Ma come? Non sei felice di vedermi?» gli disse Jace. «Devo dire che la cosa mi sorprende. Mi hanno sempre detto che la mia presenza illumina ogni stanza. Pensavo che valesse il doppio, per un'umida cella sotterranea.»
«Tu sapevi che cosa sarebbe successo, vero? Ti rispediranno a New York, mi hai detto. No problem. Qui invece non ne hanno mai avuto la minima intenzione.»
«Non lo sapevo.» Jace incrociò il suo sguardo tra le sbarre: i suoi occhi erano limpidi e fermi. «So che non mi credi, ma ne ero convinto.»
«O sei un bugiardo o sei uno stupido...»
«Allora sono uno stupido.»
«... o entrambe le cose» concluse Simon. «Io propendo per entrambi.»
«Non ho nessuna ragione per mentirti. Non ora.» Lo sguardo di Jace rimase fermo. «E smetti di mostrarmi le zanne. Mi rende nervoso.»
«Be'» disse Simon «se vuoi saperlo, è perché sai di sangue.»
«È la mia nuova colonia. Eau de Ferite.» Jace sollevò la mano sinistra. Era un guanto di bende bianche, macchiato sulle nocche, dove era filtrato il sangue.
Simon aggrottò la fronte. «Pensavo che quelli della tua razza non avessero ferite. O meglio, che non avessero ferite che durano nel tempo.»
«Ho spaccato una finestra» spiegò Jace. «E Alec vuole farmi guarire come un mondano, per darmi una lezione. Ecco, questa è la verità. Sei colpito?»

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