Capitolo 1: La Grande Guerra

2.4K 198 211
                                    

Holtre non era più la terra prospera e vivace di un tempo, era colpita da una guerra che la devastava da due lunghi anni ormai. Non c'erano più città né villaggi, solo qualche accampamento sparso in un luogo che sembrava ormai un unico, grande deserto di grigi detriti.

Una Terra dove si poteva sentire ancora bene il dolciastro odore del sangue, mischiato alla polvere sui corpi accatastati sulla neve.

Della splendida capitale di Olok, un tempo radiosa e piena di vita, non rimaneva che un cumulo di macerie e qualche vecchia baracca abbandonata, dove i pochi sopravvissuti passavano le notti fredde e piovose: i colori erano spariti e gli abitanti decimati. Non c'era neanche più il tempo di piangere o disperarsi, perché tutte le energie dovevano servire per la buona riuscita della Grande Guerra.

Mancava poco al tramonto, e i corpi dei soldati caduti sarebbero serviti a scaldare le ultime anime ancora in vita per un'altra lunga notte, in attesa della battaglia che avrebbe decretato il vincitore. Entrambi gli schieramenti erano ormai decimati, ma si poteva ancora percepire la tensione e il brusio della guerra che avrebbe deciso le sorti di tutti quei giovani e vecchi in attesa della libertà.

Quando giunse la sera, i corpi furono bruciati da una mano amica e tutti si misero intorno a pregare e a scaldarsi, perché ormai la stagione fredda era arrivata. Da ogni parte aleggiava un'aria di morte, e delle lacrime inevitabili scendevano lungo i volti dei presenti che assistevano a quel lugubre evento da troppo tempo.

Il fumo nero salì verso il cielo possente e solitario, accompagnato solo da qualche lamento e dallo scoppiettio del fuoco che continuava a bruciare.

Alcuni alzarono lo sguardo verso il cielo: un'aquila solitaria volava in tondo, in alto, lontano da tutto. Da lassù si vedeva l'intera città distrutta e qualcuno ancora in giro a cercare del cibo.

Negli accampamenti posti appena fuori le mura si respirava un'aria di tensione e paura; c'era chi lucidava la propria armatura, chi cercava di distrarsi mandando dei fendenti a un nemico invisibile, e quasi nessuno aveva il coraggio di guardarsi negli occhi o di scambiare qualche parola.

Un piccolo bagliore catturò l'attenzione della donna dai capelli scuri che incedeva nella neve, esso proveniva da una tenda malmessa che conosceva bene ed entrò senza formalità. Il comandante se ne stava curvo su dei fogli di pergamena scritti a mano da una grafia stretta e sottile, e fissava immobile diverse mappe. Quella più grande rappresentava l'intera Olok, su cui lui stesso aveva apposto dei segni per rimarcare la loro zona di conquista e ciò che restava da attaccare.

«Era questo che intendevo quando ti ho avvisato quel giorno. Ti avevo detto che dovevamo prepararci: adesso è arrivato il momento di porre fine alla Grande Guerra» gli disse risoluta.

«Non possiamo resistere ancora per molto in queste condizioni» le rispose passandosi la mano sul viso marcato da occhiaie di stanchezza.

La donna lisciò l'umile gonna marrone mossa dal vento gelido che entrava dai lembi di stoffa aperti.

«Vinceremo questa guerra». La sicurezza della sua voce non tradiva affatto l'ansia che le cresceva in petto, né tutte le paure che le attanagliavano lo stomaco.

Era ormai notte avanzata quando si congedò dal comandante degli Elyse, ma quasi nessuno dormiva. Del grande focolare non restava che qualche fiamma e il solito tanfo di morte che si porta dietro la guerra.

Una ragazza era ferma lì da un tempo indefinito a guardare con occhi spenti le ultime fiamme che andavano estinguendosi; la brezza fredda di inizio inverno le solleticava la nuca, mentre era immersa nei suoi pensieri. Si voltò leggermente indietro ad ascoltare lo stridio metallico che proveniva da una tenda poco distante, inalò l'aria fredda per trovare il coraggio necessario e si decise ad andare in quella direzione.

Raggiunse il piccolo alloggio di stoffa del nuovo generale, scostò leggermente un lembo per vederne l'interno e lo vide mentre affilava la propria spada. Rimase immobile per qualche istante, ancora indecisa se entrare o correre via, poi decise che sarebbe stato meglio tornare indietro; la voce autorevole dell'uomo, però, la sorprese poco prima che gli voltasse le spalle.

«Puoi entrare».

La ragazza dagli intensi occhi verdi obbedì, si sedette sullo scomodo giaciglio di paglia e lana e per qualche minuto lo osservò lavorare. Lui si fermò solo quando la propria lama gli sembrò abbastanza affilata, e si voltò nella sua direzione passandosi un panno sulla fronte sudata.

«Vuoi dirmi qualcosa?»

Lei si concesse qualche secondo prima di parlare, indecisa su cosa dirgli delle mille cose che avrebbe voluto.

«Il comandante non ci ha ancora comunicato la strategia da adottare, e mi chiedevo se ci avessi parlato».

«Sai qual è il mio pensiero al riguardo» la interruppe bruscamente, prima che potesse dire qualunque cosa in grado di fargli cambiare idea.

«Sì, che lo so! Ma so anche che se non avessi preso tu il suo posto, nessuno ne sarebbe stato in grado. Hai accettato di farlo, e adesso non puoi lasciarci allo sbaraglio solo perché sei arrabbiato con lui».

L'uomo ascoltava attentamente; sapeva che aveva ragione, ma l'orgoglio gli impediva di decidere lucidamente.

La ragazza intuì cosa stava pensando, e decise per lui.

«Molto bene. Torno tra un attimo» disse soddisfatta, e poi uscì di fretta immergendosi nella gelida aria invernale. Respirò lasciandosi carezzare dalla fresca brezza della notte e cominciò a camminare fino a raggiungere la tenda del comandante trovandolo intento, come sempre, a ragionare sulle carte della città.

«Olok non cambierà se continui a fissarla, conosci a memoria questo posto».

Il comandante la guardò senza vederla veramente, perso nei meandri dei propri pensieri.

«Dobbiamo andare dal nuovo generale: ha deciso di aiutarci» continuò lei.

«Era ora, pensavo volesse farci morire tutti» biascicò lui, poi prese le carte e la seguì fuori, stropicciando con una mano gli occhi scuri segnati da profonde occhiaie.

Entrarono senza aspettare un invito e si sedettero di fronte all'uomo che li aveva attesi con più apprensione di quanto avrebbe voluto. Il comandante gli porse le carte della città segnate e scarabocchiate fino all'inverosimile.

«Che vuoi fare con queste?» sbottò il nuovo generale, assumendo un'espressione accigliata. Si era aspettato che avesse pensato a qualcosa durante la sua assenza, e invece si presentava da lui con quel mucchio di carta straccia, come se potesse controllare l'evolversi della guerra con dei ridicoli fogli scritti.

«Voglio ideare una strategia che li possa cogliere alla sprovvista» gli rispose il comandante, come se fosse abbastanza ovvio.

«Ma sei impazzito? – urlò il generale scattando in piedi – Non c'è tempo per studiarne una esistente, figurati idearne una tutta nuova!»

«Ho cercato di pensare a qualcosa che ci impedisca di morire tutti. Non mi importa di vincere o perdere; voglio solo far sopravvivere quante più persone possibili, anche a costo di ritirarci».

«Hai idea di quanto sia importante questa battaglia, comandante?» disse piano l'uomo dagli occhi verdi, le spalle basse per la stanchezza di sentirlo sempre più spesso parlare in quei termini.

«Lo è per tutti. Non hai perso qualcuno solo tu».

«Sì, ma io sono andato avanti». Il nuovo generale andò via e la ragazza, rimasta in disparte per tutto il tempo, si alzò a sua volta sentendosi improvvisamente tra due fuochi. Aveva deciso di intervenire per cercare di risolvere quell'inutile disputa tra i due capi della resistenza, ma doveva ammettere che il comandante era cambiato molto da quando lo aveva conosciuto. E non in meglio.

«Dopo la sua morte sembra che non ti importi più di nulla, nemmeno della tua stessa vita. Adesso che possiamo porre fine a tutto questo non puoi arrenderti così o sperare che qualcuno assolva i tuoi doveri». La ragazza si allontanò lasciando il comandante da solo con le sue carte; lui si passò nuovamente una mano sul viso e respirò forte.

Doveva reagire.

HoltreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora