Capitolo 35: L'abito rosso sangue

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Minerva fu molto impressionata del massacro del generale Razor, ma si assicurò di non darlo a vedere. Rimase ferma, dritta, a guardare i soldati morire. Quell'uomo era estremamente pericoloso, lo aveva capito fin da subito, e la sua presenza era una costante minaccia per lei.

Vacillò, ma fu solo per un attimo.

I pensieri le corsero veloci a Hemelya, sua figlia, alla sua gente e alla sofferenza di tutti gli anni passati esclusi da Holtre. Non poteva fermarsi solo perchè aveva paura di morire: era arrivata fin lì con un preciso scopo ed era arrivato il momento di agire. Il cielo cominciava già a rischiararsi tingendosi di rosa pallido: le restavano poche ore prima di dover tornare a Olok e, da lì, avrebbe potuto fare ben poco.

Diede ordine ai suoi uomini di rompere le file, contandone molti meno rispetto a quella mattina, ma non ebbe il coraggio di chiedere al suo generale a quanto ammontassero le perdite di quell'unico giorno di battaglia. Si incamminò sicura, ostentando tutto il contegno che riuscì a racimolare, e si diresse verso la sola tenda dell'avamposto che i suoi soldati si erano premurati di ergere per lei. Era pur sempre una donna, dopotutto.

Si tolse di dosso l'armatura argentea che aveva indossato per tutto il tempo, per dare almeno l'idea di vicinanza con i suoi combattenti, e si massaggiò i muscoli irrigiditi per qualche secondo, poi recuperò da uno dei bauli che si era portata da Shagos un lungo mantello nero che la copriva fino ai piedi, calò il cappuccio e uscì fuori.

Si incamminò facendo molta attenzione: i soldati di Razor erano sparsi ovunque per preparare la marcia di ritorno, e avevano l'umore sotto ai piedi rendendoli particolarmente suscettibili; qualcuno scappava nella notte, se era abbastanza fortunato da non farsi vedere, probabilmente terrorizzato dalla reazione che avrebbe avuto il Sommo Re a quella sconfitta.

"Alec non gode di buona fama neppure tra i suoi soldati" pensò, mentre si incamminava lungo il sentiero tra gli alberi che avrebbe portato alla collina in cui si erano appostati gli Elyse.

Dovette fermarsi molto presto, però, ritrovandosi di fronte alla barriera blu-violacea. I suoi uomini le avevano raccontato che cosa era successo al soldato che l'aveva sfiorata, e lei non aveva la minima intenzione di fare la stessa fine. Rimase qualche secondo impalata di fronte al muro invisibile, e poi dovette cercare presto un riparo, allarmata dal rumore di passi che si avvicinavano nella sua direzione.

Si appiattì dietro un cespuglio sperando che la sentinella la oltrepassasse in fretta, ma i passi si facevano sempre più vicini e lei non aveva vie di fuga. Sapeva che chiunque l'avesse trovata in quelle circostanze l'avrebbe uccisa senza esitazione alcuna, e cominciò a guardarsi intorno in cerca di qualsiasi cosa potenzialmente utilizzabile come arma. Un ramo secco la tradì quando si mosse indietro per recuperare il precario equilibrio che stava perdendo, e cadde.

Il rumore di passi cessò di colpo, la regina sentì qualcuno avvicinarsi nel buio della notte e istintivamente alzò il viso per guardare in faccia il suo assassino prima di morire.

«Vostra Altezza».

Quella voce le era stranamente familiare, ma non riusciva ancora a riconoscere chi si celava dietro i lineamenti nascosti dal buio. Come in risposta ai dubbi della regina, una piccola sfera di luce apparve dal nulla, illuminando un paio di occhi viola.

«A cosa dobbiamo la vostra visita?». Stenphield portò le mani dietro la schiena e prese a osservarla dall'altra parte della barriera, lasciando che il piccolo globo luminosso gli galleggiasse pacifico accanto al viso.

La regina si affrettò a rimettersi in piedi, sgomenta, riconoscendo il suo interlocutore. Lo aveva incontrato molti anni prima, quando suo padre era ancora vivo e lui era il re dei Territori del Sud. Erano passati tantissimi anni, lei stessa era poco più che una bambina ai tempi, eppure lui non era cambiato affatto.

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