Capitolo 24: Terra e sangue

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Fuori dalle mura del castello di Sansea, la brezza marina trasportata dal vento insieme alla polvere riempì le narici dei reali con il suo odore pungente. Anche da quella distanza, si riusciva a sentire il terreno vibrare sotto i numerosi soldati nemici che continuavano ad avanzare nella città.

Kamal aveva dato ordine di aprire le porte del palazzo per accogliere i civili e, alla fine, sua sorella Syria l'aveva avuta vinta e si stava rendendo utile nel coordinamento della massa di gente che affluiva incessante presso la loro dimora. Quella ragazzina aveva la forza di un maremoto racchiusa in quel minuto corpo non ancora sviluppato, e il re si ritrovò a pensare che avrebbe davvero voluto essere presente quando sarebbe finalmente sbocciata nella grande donna che era destinata a essere.

Deglutì cercando di scacciare quel pensiero negativo e si volse verso il fratello che, per fortuna, aveva iniziato a parlare, distraendolo.

«Raggiungi il generale Okoni, digli di spostare gli arcieri nelle retrovie e muovere avanti la fanteria: non è prudente scagliare frecce con tutti questi civili ancora riversi sulle strade. Io mi affiancherò a Berut, gli dirò di proseguire trasversalmente per non intralciare quest'esodo di popolani; dovremmo incontrarci, all'incirca, in Piazza del Mare». Gebediah parlò serio e con tono deciso. Di solito, a quelle parole, il sovrano avrebbe risposto in tono alterato che non permetteva a nessuno di dargli ordini, e che spettava a lui decidere le strategie militari da adottare, ma quella non era una situazione normale, per cui fece un impercettibile segno con il capo e si avviò rapido, camminando contro corrente rispetto a tutta quella folla.

La piazza era lo snodo centrale, da cui si dipanavano le quattro strade principali attorno a cui sorgevano abitazioni e vie più piccole: far arrivare il nemico fino a lì, voleva dire permettere all'esercito nero di conquistare almeno metà della capitale. Quella prospettiva lo agghiacciava e lo faceva infuriare, non poteva sopportare che il luogo in cui era cresciuto venisse macchiato dall'ombra di Alec, ma più si addentrava a Sansea, più si rendeva conto del disastro che quei maledetti stavano causando alla sua città.

Con la spada ben in vista raggiunse il plotone guidato dal generale Okoni, un uomo con una stazza incredibile e un occhio in meno, diede i suoi ordini e poi, finalmente, si poté gettare nella mischia e ammazzare tutti quei farabutti di Olok.

Era entrato nell'Accademia Militare a cinque anni, com'era d'uso per principi e nobili, e, da allora, non aveva mai smesso di maneggiare armi. Fu semplice per lui riuscire a infliggere ferite profonde ai soldati che si ritrovava davanti. I nemici, però, sembravano essere almeno il doppio di loro e colpivano con una potenza e velocità che non accennava a diminuire, costringendo l'esercito rosso di Kamal a indietreggiare rapidamente.

Maledizione.

Il re della Terra del Pesce sentì presto pulsare la testa sotto quell'elmo che si trasformava in una fornace man mano che il tempo passava, mentre il sudore gli colava sugli occhi fino al mento, scendendo al di sotto della pesante cotta di maglia. Si fermò un istante per riprendere fiato, la spada insanguinata fino all'elsa e una ferita che gli lacerava la piegatura del ginocchio. Cercò di inspirare quanta più aria potesse, ma l'armatura sembrava d'un tratto diventata troppo stretta per permettere ai suoi polmoni di allargarsi completamente. Gli si appannò la vista e qualcosa lo colpì al torace, facendogli perdere l'equilibrio.

Non aveva nemmeno visto il nemico avvicinarsi, cosa gli stava succedendo.

Si riscosse dal torpore che gli aveva attanagliato i muscoli e si issò velocemente alzando lo scudo all'altezza del petto. Il soldato che aveva di fronte non indossava neppure l'elmo, il viso completamente imbrattato dal sangue di valorosi combattenti di Sansea, la lama impregnata della loro vita.

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