Capitolo 40: L'alba del cambiamento

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Minerva tornò a Olok come regina della Terra dello Scorpione e con un esercito raddoppiato.

Una volta giunti alla Capitale, la sua prima preoccupazione fu quella di cercare il generale della sua nuova armata: doveva parlargli immediatamente. Decise di non mandare un messaggio di convocazione, così andò lei stessa a cercarlo nell'accampamento sorto vicino agli alloggi dei soldati di Alec. Chiese del generale Kelys a una sentinella che incrociò lungo il cammino, quello fece un breve cenno di riverenza con la testa e la scortò fino alla tenda privata.

«Regina Minerva, non aspettavo una vostra visita». Kelys stava parlando con un suo sottoposto quando la vide entrare. Si inchinò e si alzò subito offrendo una sedia alla sovrana. Era un uomo alto e imponente, di qualche anno più grande di Minerva, ma il fisico allenato gli donava un viso asciutto e giovanile, nonostante i riccioli grigi che facevano da cornice agli occhi color nocciola.

«Volevo conoscervi, generale, adesso che voi e il vostro esercito siete sotto la mia guida. Re Marvin come si occupava dell'Armata?». Le fece strano pronunciare quel nome ad alta voce.

«Sarò sincero con voi, il nostro defunto sovrano non aveva molta cura della sua Terra, del suo popolo, della sua corte e nemmeno del suo esercito. Io e i miei uomini venivamo spesso utilizzati come torturatori; al re piaceva catturare coloro che non erano in accordo con le sue politiche e che manifestavano un dissenso più o meno esplicito, e poi li giustiziava. Siamo stati impegnati solo in qualche piccola battaglia contro i vostri uomini che si spingevano troppo vicino al nostro confine, ma ho cercato di compensare all'inadeguatezza del re e ho addestrato i miei soldati con cura: sono forti, veloci e, soprattutto, mi sono fedeli».

Minerva annuì, compiaciuta della schiettezza usata dal generale: anche lei avrebbe dovuto esserlo, e la rincuorò avere la conferma di non trovarsi davanti a un damerino imbellettato. Era un vero guerriero, la sua postura trasudava fierezza e compostezza, e sperò con tutta sé stessa che sarebbe stato sufficiente appellarsi a queste qualità per riuscire a portarlo dalla sua parte. Una mossa sbagliata e si sarebbe trovata nelle segrete in attesa della forca. O peggio.

«Voi sapete che la mia sovranità è solo una facciata?» chiese seria, decidendo di lanciarsi. Kelys ricambiò lo sguardo grave e assentì.

«Eravamo abituati al comportamento di re Marvin, ma da quando era tornato dal Concilio nella Capitale sembrava ancora più chiuso in sé stesso. Non lo vedevamo quasi più, se non per i festini che continuava a organizzare, e la presenza improvvisa delle Armature Nere mi è stata sospetta sin dall'inizio. Infine, quando Sua Maestà Alec venne a dirmi di portare l'esercito a Olok, pensai che quella fosse la conferma ai miei sospetti».

Minerva si sistemò meglio sulla sedia celando il nervosismo.

«Mi pare di aver compreso dalle vostre parole che non approvavate la politica di Marvin, e anche io sono del vostro parere. Ho a cuore il popolo di Holtre perché ne ho fatto parte e so di cosa necessita... e questo, spesso, viene dimenticato da chi non è abituato a sentire i morsi della fame. Vorrei far crescere la Terra dello Scorpione come merita e dare a voi un vero ruolo da generale con nuovi compiti, nuovi soldati e nuovi strumenti e strutture. Ho appurato io stessa lo stato in cui versano l'Accademia e le scuderie, ma l'ombra di Alec si staglierà sempre su di noi e appena vincerà contro la Resistenza non mi permetterà di agire in piena libertà. Sarò io sincera con voi, adesso: non sono nemmeno sicura di sopravvivere. Alec vuole il regno per sé e io finora ho solo fatto finta di non averlo capito».

L'uomo la guardò con sincero stupore. Lui stesso era stato scettico nell'apprendere la notizia di una donna al comando della Terra dello Scorpione, ma adesso doveva ricredersi. Di fronte a lui c'era una sovrana forte e risoluta, che parlava in modo convincente e deciso. Sembrava davvero una brava regina, e non poté fare a meno di notare che la sua bellezza accresceva l'alone di potere che sembrava emanare.

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