Capitolo 33: Un'orda di spade

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Al tramonto si contarono molti più cadaveri del giorno prima, e la tenda dei feriti non fu più sufficiente a contenere tutti coloro che ne avevano bisogno.

Enora, senza neppure riposare un attimo, corse a dare una mano a Mylene e si occupò di Arkara. Si concentrò sulla ferita che le aveva squarciato la coscia fino al ginocchio, senza avere il coraggio di affrontare ciò che le era successo. Arkara, del resto, sedeva su una delle coperte che avevano gettato sul terreno e fissava un punto davanti a sé.

«È molto profonda. Non so dirti se potrai camminare ancora».

La ribelle non rispose, sembrava non avesse udito neppure una parola. Enora abbassò lo sguardo e, per la prima volta, si sentì colpevole. Se lei non avesse rivelato a Fabian la loro destinazione, tutto questo non sarebbe successo.

Seamus la fece voltare bruscamente afferrandola per un braccio e la fissò con occhi sbarrati. Non si era neppure accorta che fosse entrato.

«Sono tutti qui i feriti?» le chiese concitato, ma non attese la risposta. Si allontanò in fretta e furia, facendo saettare lo sguardo in modo repentino da una parte all'altra di quello spazio affollato.

La sua attenzione venne catturata da un uomo in fondo alla tenda che stava alzando un braccio: era lui. Con passo claudicante si diresse verso Klethus.

«Sapevo che non potevate essere morto» gli disse senza riuscire a nascondere il tremore della voce. Il consigliere cercò di sorridere, senza riuscirci: era estremamente pallido e debole, con una fasciatura attorno allo stomaco che si stava già sporcando di sangue.

«Che cosa vi hanno detto?».

Klethus raccolse il fiato per qualche secondo prima di poter parlare.

«Non sanno se potrò sopravvivere» riuscì a biascicare con le labbra spaccate e il viso gonfio.

Non riusciva a ricordare molto di ciò che era successo. Sapeva di aver portato la ragazza rossa dei ribelli in salvo e di essere rientrato in battaglia, poi il buio. Forse era stato colpito in viso con uno scudo, ma non aveva idea di come avesse ottenuto la ferita tra il petto e l'addome, né come fosse arrivato tra i feriti. In quel momento, però, non importava. Seamus era lì, per lui, e quello gli bastava.

«Appena questa battaglia finirà, vi porterò a palazzo e lì vi daranno le cure che meritate».

Klethus alzò lo sguardo, incrociando gli occhi chiari del suo sovrano. Non era sicuro che avrebbe vissuto tanto a lungo per poter tornare a Rhowar, non sapeva neppure se avrebbe visto il sole dell'indomani, ma non voleva morire senza rivelargli i sentimenti che lo logoravano da anni. Chiuse gli occhi verdi offuscati dalla sofferenza, e cercò di respirare profondamente per raccogliere il coraggio e le forze necessarie. Nahil, però, lo interruppe ancora prima che iniziasse a parlare, chiedendo al re un'udienza privata.

«Non ora» tagliò corto Seamus.

«È molto urgente».

Il re diede un ultimo sguardo all'amico e poi seguì a malincuore il generale fuori dalla tenda, dove Noor e Korinna li stavano attendendo.

«Abbiamo sentito dei rumori provenire dall'accampamento nemico, così siamo andati a controllare per capire cosa stava succedendo» disse il ragazzo non appena li ebbero raggiunti.

«Non erano questi gli ordini».

Noor ignorò il rimproverò del sovrano e proseguì.

«Abbiamo ragione di credere che sia arrivato un nuovo esercito tra le loro fila. Hanno armature argentate, non sappiamo a quale Terra appartengano».

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