Capitolo 2: Benvenuta Enora

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19 anni prima della Grande Guerra

Era la sera di una giornata afosa e neanche la notte aveva portato sollievo agli abitanti di Olok, la vivace capitale della terra di Holtre.

Non c'erano nuvole a rovinare la vista delle stelle, la luna era tonda e luminosa nel cielo. Alcuni uomini panciuti uscivano da un'osteria ubriachi e felici e, barcollando un po', si dirigevano verso le loro case; le donne stavano alla finestra, chi cullando il proprio figlio, chi tessendo della stoffa leggera ricamandola accuratamente; gli innamorati avevano appena finito la loro passeggiata e i ragazzi accompagnavano le loro compagne a casa. C'era un'aria serena e tranquilla e tutto era al proprio posto.

Una figura nera correva verso il sontuoso cancello che chiudeva l'ingresso della città, con qualcosa tra le braccia. Ogni tanto si voltava indietro per vedere se qualcuno la stesse seguendo, ma nessuno avrebbe potuto notarla con una tunica scura che le permetteva di mescolarsi tra le ombre.

Correva velocemente e non accennò a fermarsi nonostante la stanchezza, resistendo fino a quando non raggiunse le porte della città.

Venne bloccata dai soldati di guardia che le chiesero chi fosse, straniti dall'abbigliamento. La figura né si mosse né parlò, ma rimase ferma a respirare affannosamente. Quegli uomini notarono il fagotto che stringeva tra le braccia e si avvicinarono per vederlo, ma quella lo spostò di lato per proteggerlo. Li guardò da sotto il cappuccio facendo scorgere dei grandi occhi viola, e poi lo abbassò di nuovo per non vedere le espressioni stranite delle sentinelle che, dopo qualche secondo di titubanza, decisero di aprire le porte così che potesse entrare a Olok e incamminarsi per la via principale.

Camminava lentamente stringendo forte il prezioso carico mentre dei piccoli singhiozzi di pianto risuonavano nella notte.

Si fermò. Dalla finestra di una casa di periferia riusciva a intravedere il riflesso di una famiglia felice, così decise di avvicinarsi, spiando per un po' l'uomo che cullava il suo bambino mentre la donna li guardava assorta sonnecchiante su una sedia. Sorrise amara e si diresse cauta alla porta d'ingresso, decidendo di affidare loro la cosa più preziosa che aveva. Bussò forte sul legno scuro e si allontanò rapida senza mai perdere di vista l'insieme di coperte che iniziava a muoversi lentamente; asciugò le lacrime reprimendo i singhiozzi e corse via senza mai voltarsi indietro.

"Sì, è la scelta giusta" pensò mentre tornava a mescolarsi col buio.

Una donna aprì la porta d'ingresso chiedendosi chi potesse essere a quell'ora tarda, ma non vide nulla se non il piccolo involucro ai suoi piedi. Lo prese e, tra la stoffa della coperta, notò il viso di un bambino che dormiva. Sgranò gli occhi chiari e iniziò a guardarsi intorno freneticamente, facendo saettare lo sguardo su ogni anfratto scuro della ventitreesima strada est. Rimase col fiato sospeso come se si aspettasse che da un momento all'altro sbucasse fuori qualcuno a reclamare il piccolo che si stava svegliando, ma non si fece avanti nessuno; rientrò in casa lentamente e raggiunse il marito con il volto più pallido che avesse mai avuto.

«Marianne, chi era alla porta?» le chiese, notando immediatamente che ci fosse qualcosa che non andava.

Lei si sedette su una delle sedie disposte intorno al tavolo della stanza di ingresso e porse il fagotto al marito: ne aveva interamente scoperto il viso, lasciando intuire che si trattasse di una bambina.

«Non c'era nessuno fuori, ho trovato solo... lei». Alla debole luce che le candele davano alla stanza, lo sgomento nel viso dell'uomo apparì quasi terrore, per poi tramutarsi in ferma decisione.

«No, Danker, – disse lei intuendone le intenzioni – non possiamo abbandonarla anche noi. Se l'hanno portata qui, ci sarà pur una ragione». Marianne prese la bambina tra le braccia e la cullò dolcemente.

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