Epilogo - Seconda parte

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Due mesi dopo la Grande Guerra

Quando Seamus raggiunse Rhowar inspirò a fondo riassaporando l'aria di casa. Erano mesi che mancava dalle piccole strade affollate della sua città, che non sentiva la voce del suo popolo, che non godeva del panorama della sua Terra. Era davvero passato troppo tempo, un tempo che un re non dovrebbe mai trascorrere fuori dai suoi possedimenti, eppure non riusciva a rinnegare nessuno di quei giorni trascorsi al gelo e in costante pericolo di morte, poiché gli avevano concesso l'opportunità di capire sé stesso e amare Klethus. Soprattutto, amare Klethus.

Il consigliere aveva insistito per rimanere a Olok, c'erano molte cose da fare nella Terra Centrale e in tutta Holtre, e lui aveva voluto rimanere per contribuire e fare la sua parte nelle opere di ricostruzione per il Regno. Si erano salutati con estrema tenerezza nelle sue stanze private e poi con enorme contegno di fronte a tutti gli altri, e adesso si trovava alle porte del palazzo reale con un bambino stretto al petto.

Il piccolo Khan dormiva tra le sue braccia come se fossero le uniche che avesse mai conosciuto, e il sovrano lo guardava completamente assorto, rapito dalla perfezione di quei lineamenti rotondi.

I suoi consiglieri, però, non furono dello stesso avviso.

Non rivolsero neppure uno sguardo verso il neonato che il re non aveva voluto lasciare alle cure di una domestica, e continuarono a lanciargli occhiate torve per giorni interi finché non lo trascinarono nella piccola stanza adibita alle riunioni, proprio accanto alla Sala del Trono.

«Maestà, ve lo chiederò ancora: chi sono i genitori di questo bambino?»

«Fortin, potrete rivolgermi la stessa domanda un altro centinaio di volte, ma la mia risposta sarà sempre la stessa: io sono suo padre, non c'è nessun altro». Si sentiva in difetto senza la presenza di Klethus, sempre pronto a difenderlo in qualunque decisione. Era certo che con lui al suo fianco sarebbe stato in grado di affrontare i tre consiglieri con uno spirito più combattivo. Lo fissavano tutti con aria severa, sicuramente avevano confabulato tra loro per tutto quel tempo ed erano giunti a una soluzione di cui volevano convincerlo. Lui, però, era deciso a non lasciargli vincere quella battaglia. Khan non era solo un orfano di cui aveva avuto pietà, era il simbolo della sua rinascita e, come tale, lo avrebbe difeso a qualunque costo.

Gledya alzò lo sguardo dalle mani rugose che teneva appoggiate al tavolo, con un'insofferenza che non si sforzava di nascondere.

«Converrete con me, Sire, che sia del tutto improbabile che nessuna donna lo abbia messo al mondo. È stato molto onorevole da parte vostra prendervi carico dei vostri... errori, ma dobbiamo sapere se ci potranno essere ripercussioni per questa vostra decisione».

Seamus si lasciò sfuggire una risata.

«È questo il problema, Gledya? Sapere se questo bambino porterà o meno a degli incidenti politici futuri? È un orfanello, abbandonato da chissà chi sul ciglio di una strada innevata, non credo che qualcuno verrà a reclamarne la maternità».

Midoria sospirò di sollievo.

«Il popolo chiede spiegazioni, Sire. Vuole sapere chi sia il bambino che diventerà il loro re, vuole stabilità».

«Vuole un matrimonio» concluse Gledya, puntando le folte sopracciglia severe su di lui.

Seamus alzò gli occhi verso il soffitto in un gesto di impazienza: erano anni che continuava a ripeterglielo, ma adesso più che mai non avrebbe potuto accettarlo. Non adesso che aveva qualcuno da amare e che lo amava per ciò che era.

«Il popolo voleva un erede, una certezza per il regno, ed è esattamente ciò che gli ho dato. La Terra del Leone non è più a rischio: la mia discendenza è stata assicurata». Seamus fece leva sulla gamba sana per alzarsi, quella di legno non aveva smesso di dolergli da quando era arrivato, ma Fortin lo fermò per un braccio costringendolo a sedersi nuovamente.

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