Il caffè per i ritardatari

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Margherita fu svegliata dalla sveglia, erano le sei del mattino ed era lunedì. Di peggio, per lei, non c'era. Le sue giornate iniziavano di corsa e finivano lentamente, e lei non riusciva a spiegarsi come lo scandire del tempo fosse diverso durante l'arco della giornata.
Si scoprì dalle calde lenzuola e un mugolio di disapprovazione uscì dalle sue labbra. Come tutti gli adolescenti, anche lei odiava il lunedì. L'inizio della settimana era drastico. Si mise a sedere sul letto e si strofinò con le mani chiuse a pugno gli occhi, sembrando ancora più piccola di quello che era.
Si alzò e spense la fastidiosa sveglia, che ancora risuonava nella piccola stanza. Accese la luce e il bianco delle pareti l'accecò, come la notte precedente.
Mugolò dirigendosi verso l'armadio, piano. Prese un paio di jeans strappati e una canotta nera, con sopra una felpa col cappuccio del medesimo colore. Indossò i calzini e si diresse a passo svelto nel bagno, con i vestiti in mano.
Si chiuse e si legò i capelli in una strana coda che si teneva su per miracolo divino. Si chinò sul lavabo e si lavò la faccia, per poi truccarsi pesantemente sui toni del nero. Si scrutò allo specchio e i suoi occhi glaciali, con tutto quel nero, sembravano vivi. Si sciolse i capelli e li pettinò, per poi muoverli con le mani e renderli selvaggi, come le piacevano. Indomabile. Questo voleva rappresentare: una persona indomabile.
Si tolse la grande maglia e si mise il deodorante, per poi spruzzarsi un po' di profumo da uomo: quelli da donna le facevano torcere le budella.
Indossò i jeans saltellando per il piccolo bagno per poi mettersi la canotta con la felpa. «Marghe, sono le sei e mezza!» urlò Claudio dalla cucina. Un odore di caffè si stava spargendo nell'aria.
Fece un urletto nervoso prima di uscire dal bagno come una furia. L'autobus che passava a cinquecento metri da casa sua si trovava lì alle sette e dieci. Si mise in fretta gli anfibi e svuotò lo zaino blu sul pavimento, prese solo il diario e l'astuccio e guardò distrattamente l'orario sul diario, prendendo i libri che sembravano più leggeri. «Marghe, sbrigati!» urlò Claudio, «Che poi lo so che esci di casa senza mangiare, non ti conoscessi!» la riprese.
«Ma no, papà!» si difese lei. «Non l'ho mai fatto!»
«Sì, sì. Muovi il culo, Marghe.»
Dopo pochi secondi lei fece ingresso nella cucina, vide il padre alle prese col pane tostato e guardò l'orario: 6:37.
«Dai, pa', sono ancora in tempo.»
«Non mangiare di corsa che ti si mette sullo stomaco.» disse Claudio distrattamente appoggiato al piano della cucina, con una tazza di latte e caffè in mano.
Lei si guardò in torno, spaesata. «Papà, dov'è il mio caffè?!» sbottò guardando la tavola.
Claudio sorrise con la tazza poggiata sulle labbra. «Chi tardi arriva..» lasciò la frase in sospeso. Margherita conosceva la fine della frase.
«Papà, ti ho ripetuto un centinaio di volte che senza il caffè io non funziono.» disse Margherita fra i denti.
«E io ti ho detto che prima di ogni cosa devi fare colazione.» disse il padre, guardando l'orologio che aveva al polso. Gliel'aveva regalato lei, con i pochi soldi che aveva risparmiato. Sorrise. «Devo andare a lavoro, amore.» baciò la fronte alla figlia ed uscì di casa.
Margherita sbuffò, in assenza di caffeina. Andò in bagno e si lavò i denti.
Si alzò il cappuccio della felpa e si mise lo zaino in spalla, prendendo dal tavolino le chiavi di casa. Lanciò un ultimo sguardo all'ora: 6:42.
Uscì di casa e chiuse la porta, per poi dare due mandate. Lentamente scese le scale, era al terzo piano.
In meno di due minuti era giù, a litigare col portone che proprio non si voleva aprire. Prese le chiavi e le provò tutte, ma non la trovò. Diede una spallata al portone e sentì un leggero "click". Premette nuovamente sul pulsante e il portone si aprì.
Si chiuse la felpa mentre si incamminava verso la fermata. Arrivò dieci minuti dopo: 6:56.
Aveva tempo per un caffè. Attraversò di corsa la strada. «Un caffè, Giacomo. Per favore?» chiese al barista, appena entrata.
Giacomo le sorrise, raggiante. «In ritardo?» Margherita annuì svelta. Giacomo accese subito la macchina per il caffè, e mise sotto il beccuccio una tazzina di porcellana. «Come va a scuola?» chiese Giacomo sorridendo, Margherita lo fulminò con lo sguardo, provocando una risata da parte del castano. Aveva trentacinque anni, ed era il figlio del proprietario.
«Lasciam perdere.» sbuffò Margherita. «Il mio caffè?» chiese con un broncio.
«Qualcuno oggi non ha avuto il suo caffè mattutino.» canticchiò Giacomo, sempre di buon umore. Fece scendere il caffè e posizionò la tazzina davanti a Margherita, sorridendo. «È caldo.» si lamentò lei.
«Lo so che a te piace freddo, Marghe, ma non te lo posso tenere da parte tutte le mattine.»
«E perché?» mugolò lei. Giacomo rise, vedendo la mora soffiare velocemente sul caffè.
«7:04.» annunciò Giacomo.
«Merda, merda, merda.» disse Margherita bevendo di fretta il suo caffè amaro tiepido e facendo una faccia disgustata. «Me lo metti sul conto? Lo pago dopo.» disse Margherita, uscendo di corsa dal bar.
E Giacomo annuì, anche se alla fine "dopo" non pagava mai.

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