Lettere.

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«Andrea, vai a casa.» Claudio lo raggiunse nella sala d'attesa con due caffè. Gliene porse uno. «Tanto non si sveglia oggi.» sperava che però si svegliasse.
Aveva l'aspetto sciupato. La barba incolta sul suo viso, i capelli alla rinfusa, gli occhi rossi per i pianti e le nottate in bianco. «Lo so.» disse Andrea, afferrando il caffè e guardandolo.
Un silenzio assordante riempì l'aria. «Non è colpa tua.» Claudio ruppe il silenzio solo perché gli stava trapanando i timpani, di parlare proprio non ne aveva l'intenzione.
Andrea mise su un ghigno. «Non ci credi neanche tu.»
Claudio fece scattare la mandibola. «Pure se fosse colpa tua, che potresti fare?!» sbottò. «Non si torna indietro. Va' avanti: tu puoi. Non ti sta morendo una figlia.» il tono era duro, come le parole.
«Sta morendo la ragazza che amo!» sbottò Andrea.
Claudio chiuse gli occhi e respirò a fondo. Si frugò nelle tasche, e tese il braccio nella direzione di Andrea. «Vai a casa nostra.» disse lentamente. «Margherita scriveva un sacco di cose. Vai a casa nostra e apri il secondo cassetto della sua scrivania e leggi.» Andrea afferrò le chiavi titubante.
«Perché dovrei farlo?» osò chiedere.
Claudio si mise la testa fra le mani. Cercò di non piangere. «Parla di te.» disse piano. «In quei fogli parla di te.»
Il cuore di Andrea ricominciò a battere. Aprì leggermente la bocca per parlare, ma non uscì nulla. La richiuse, posò una mano sulla spalla di Claudio. «Non volevo ucciderla.» disse piano.
Claudio sorrise sapendo che Andrea non poteva vederlo. «Prima o poi l'avrebbe fatto lei stessa.»
Andrea camminò fino a casa Raffagli e si ripromise di non guidare più.
Infilò le chiavi nella serratura, prese un respiro e aprì la porta. La richiuse dietro di sé e si inoltrò in quella casa che conosceva poco.
Sorrise non appena entrò nella camera di Margherita. Sembrava che lei fosse ancora lì; incastrata fra quelle lenzuola scure e aggrovigliate, nascosta fra i vestiti a terra, seduta alla scrivania a scrivere, in piedi davanti l'armadio con un'espressione scocciata. Gli sembrava di averla lì; mentre rideva o parlava o stava zitta a fissarlo con un'espressione seria, una delle sue.
Lasciò tutto in disordine. Sapeva che Claudio si trovava bene in quel casino.
Si sedette e osservò bene la camera, impresse ogni particolare nella sua memoria.
Sulla scrivania una bic rovinata, dei fogli accartocciati.
Li prese, li spiegò e iniziò a leggere.
"Caro nonno," in uno c'era scritto. "Andrea mi ha tradita. In realtà non mi ha tradita realmente, dato che - come sai - non stavamo insieme."
Ad Andrea gli pesava il cuore. "So di amarlo. La cosa mi spaventa perché" la lettera si fermava lì. Andrea sorrise. Se la immaginava mentre arrabbiata stropicciava il foglio e lo gettava sulla scrivania.
Passò al secondo. "Ho pensato di ammazzarmi." Non c'era scritto altro. Solo questo; con una grafia molto ordinata e precisa.
Aprì il cassetto. Centinaia e centinaia di lettere senza destinatario né indirizzo. Tutte sigillate. Sopra le lettere fogli spiegazzati, riutilizzati.
«Claudio ha letto solo questi..» disse fra sé e sé, osservando la carta rovinata. Li posò sulla scrivania.
Sul retro di un foglio c'era un'equazione cancellata in malo modo. Iniziò a leggere quello.
"I demoni mi stanno mangiando i pensieri e il sonno. Spariscono solo quando c'è Andrea con me. Penso che si riuniscano con i suoi." I suoi occhi verdi, spenti, saettavano sulle parole, mangiavano le informazioni, ingordi. "Ora però Andrea non c'è. Sono le 3:30 del mattino e i demoni sono spregevoli. Non risparmiano nulla. Distruggono tutto pur di distruggere me. Quello che più mi preoccupa è che questi demoni li ho creati io con le mie paure, con le mie insicurezze, con le mie bugie. Non riesco a tenerli a bada. Sono fatti con le mie stesse molecole, ma non riesco a scacciarli via, ad inglobarli in una vescicola e poi scomporli con i miei perossisomi." Andrea aggrottò la fronte per il linguaggio usato da lei. Lesse la frase più e più volte, prima di arrendersi.
Lui la biologia non l'aveva mai studiata. "Andrea però riesce a mandarli via. Lo voglio al mio fianco, e non solo per questo." Lo stomaco di Andrea fece una capriola per via delle cose che lesse dopo: "Lo voglio qui, fra le mie lenzuola, e voglio spiegargli centomila volte perché la notte è personale e perché il mio colore preferito è il blu. Lo voglio qui, ci voglio fare l'amore, lo voglio abbracciare, lo voglio mordere e graffiare. Lo voglio uccidere. Lo voglio amare. Che poi, sono la stessa cosa. Voglio che mi dice che sono bella, anche se non ci crederò mai. Voglio mostrargli i miei demoni e voglio che ci faccia amicizia. Voglio che mi veda nuda, priva di tutte le mie maschere e voglio che mi ami anche se sono... me. Lo voglio perché lo amo."
Il fatto che queste parole erano scritte sul retro di un'equazione che di sicuro non gli era venuta giusta, era assolutamente comico e assolutamente corretto.
L'amore non c'entrava nulla con la matematica, con i numeri. La metà di loro due era niente perché si erano amati fino a consumarsi, fino ad ammazzarsi.
Lacrime amare sgorgarono dagli occhi spenti di Andrea, che per un momento, mentre leggeva quelle parole, erano apparsi di nuovo vivi.

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