Muri muti, muri che parlano

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Andrea era sdraiato a pancia in su sul suo letto. Guardava il soffitto bianco, i ricordi gli venivano in mente uno dopo l'altro, ma ormai c'era abituato.
Uscì di casa, andò in un ferramenta e comprò un barattolo di vernice e un pennello.
Tornò a casa e posò il materiale sul pavimento della sua stanza, osservando ciò che lo circondava con disprezzo. Il letto era matrimoniale, lui dormiva sempre nel lato destro, aspettando che Margherita entrasse dalla porta e si posasse sul lato sinistro. Gli sarebbe bastato dormirci insieme, almeno una volta, per conoscere il ritmo del suo cuore, quello del suo respiro. Voleva conoscere lei, perché tempo non ne aveva avuto. Gli era stato rubato, strappato dalle mani con tutte le cose belle.
Diede un calcio al comò, facendo rientrare di poco l'ultimo cassetto. «Cazzo.» disse a bassa voce. Si chinò, tentò di aprire quel cassetto.
Perché come mi muovo faccio danni?
Era bloccato. «Fanculo!» urlò.
Un colpo di manico di scopa dal soffitto, «Giovine, silenzio!».
Bestemmiò fra i denti, per poi rompere il cassetto. Le lettere caddero sul pavimento, insieme a tutto ciò che quel cassetto conteneva. Non lo apriva spesso, gli faceva male il petto quando lo faceva.
Posò tutto quello che era caduto sul letto, si passò una mano fra i capelli.
Si guardò in torno, il suo sguardo si fermò sulle pareti. Centinaia di frasi impresse su quel bianco.
"Sono un perdente e tu sei tutto quello che ho."
Cominciò a leggerle.
"Sono troppo egoista: piango solo per me stesso."
Non era vero: piangeva per Margherita, per Flavio, per Cristian.
"Siamo così soli per la nostra età."
Lui era così solo per la sua età. Gli altri avevano già una famiglia, dei progetti.
"Mi ha guardato nel petto e ha detto: 'Manca un pezzo'."
Non ne mancava solo uno, però. Mancava tutto il cuore.
"Mi hai lacerato il cuore, ora dimmi: come ti senti?"
Glielo voleva proprio chiedere, a Margherita.
Le parole si sovrapponevano, sentiva le note di tutte le canzoni che aveva ascoltato, si portò le mani fra i capelli, tirandoli.
"Toglimi 'sta maschera, fallo con le tue mani, poi guardami negli occhi e dimmi se te l'aspettavi."
Iniziò a piangere. Poi posò lo sguardo su una frase che non apparteneva a nessuna canzone rap. Quando finisce un amore di Riccardo Cocciante.
Quella canzone la sentiva sua. Cocciante era così- sembrava così arrabbiato, quando cantava.
"Perché c'è lei nelle tue ossa,
perché c'è lei nella tua mente,
perché c'è lei nella tua vita
e non potresti più mandarla via,
nemmeno se cambiassi faccia,
nemmeno se cambiassi nome,
nemmeno se cambiassi aria,
nemmeno se cambiassi vita,
nemmeno se cambiasse il mondo."
Occupava più spazio delle altre frasi, ma quello spazio non era niente in confronto a ciò che quella frase rappresentava. C'era Margherita, in quella frase, e non era poco.
Si asciugò le lacrime con le maniche della maglietta, arrabbiato. Prese il barattolo di vernice dal pavimento e l'aprì, l'odore gli entrò nelle narici. Guardò la vernice e sorrise.
Nero.
Tolse la plastica dal grande pennello, lo immerse nella vernice e si avvicinò a quei muri sporchi. Quei muri muti, quei muri che parlavano senza dire nulla.
Ferocemente aggredì le pareti. Le lettere erano stilizzate, arrabbiate, ed erano belle. Le canzoni tristi sono quelle piene di significati, così come i libri e le storie. I sentimenti negativi piacciono.
Una goccia di vernice gli cadde sulla guancia, percorrendola lentamente.
Si allontanò di poco, inclinò la testa.
«Margherita.» lesse ad alta voce.
Sorrise.

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