La notte. I pensieri.

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Erano le quattro del mattino del 20 ottobre 2010. Margherita era sveglia. Fissava il soffitto che era stato inghiottito dall'oscurità. Era riuscita ad addormentarsi, ma i sogni la tormentavano e si svegliava sempre. Era in quella posizione da più di un'ora. Cercava due cose: il sonno e le risposte.
Si alzò, all'improvviso. Accese il lumino e prese un pezzo di carta con una penna nera. Le idee le annebbiavano la mente, mentre si sistemava sulla scrivania. La luce era poca e lei fremeva, fremeva dalla voglia di scrivere. Che poi, proprio voglia non era. Lei doveva scrivere. Doveva farlo perché, altrimenti, le idee, i pensieri, sarebbero tornati a tormentarla la notte. Aveva provato più volte ad ignorare il richiamo del sangue nero, dell'inchiostro, ed era finita male.
La biro saettava lungo il foglio, mentre lei faticava a tenere il ritmo dei pensieri, delle parole. Margherita, quando scriveva, era pungente. Diretta e pungente. Riusciva a far piangere, con le sue parole. La madre le diceva che sarebbe potuta diventare un avvocato, con il suo intelletto e le sue parole spigolose. Margherita si ritrovò - per un momento - a pensare di iscriversi al tecnico economico per poi prendere una laurea in legge. Così. Perché gliel'aveva detto lei. Poi Alessandra se ne andò e lei andò contro tutto ciò che la rappresentava. Sbagliò la scelta della scuola. Lo sapeva, di sbagliare. Lo sapeva bene e lo faceva solo per dare un malcontento ad Alessandra. Poi, i malcontenti, sono diventati suoi, però.
Mi chiedo, così, ogni tanto, distrattamente, dove mi trovo. Sono finita nell'abisso più scuro della terra. Sono finita nelle tenebre. La cosa più raccapricciante è che mi ci sono trascinata da sola, senza accorgermene. Sono stata nell'oscurità per così tanto tempo che ora sono diventata tale.
Mi chiedo, così, ogni tanto, distrattamente, dove sono diretta. Dove sto andando di preciso? Alla deriva. Sto andando alla deriva e me ne rendo conto solo ora, che è troppo tardi. È troppo tardi per prendere di nuovo in mano il timone, troppo tardi per cambiare rotta. Sono in mezzo al nulla e prendere il controllo non cambierà un accidente. Non saprei dove andare.
Mi chiedo, così, ogni tanto, distrattamente, se qualcuno è nella mia stessa situazione. C'è qualcuno, al mondo, in grado di capirmi a pieno?
Mi chiedo, così, ogni tanto, distrattamente, quando finirà tutto questo buio. Non so di preciso quando è iniziato, ma è iniziato e non sono in grado di tornare indietro. Non so di preciso perché è iniziato ma ci sto dentro, a tutto questo buio, ci sto dentro e vedo benissimo il mondo. Quando finirà quest'agonia? Io, il mondo (per quello che è), non lo voglio vedere. Il mondo fa schifo, visto con i miei occhi. Il mondo fa schifo sotto uno sguardo attento. Sguardo che io, al mondo, non ho mai dato. Dal buio si vedono un sacco di cose. Cose brutte. Cose brutte che succedono al buio o alla luce del Sole, poco importa. Il male ora è in ogni dove e non si nasconde più nelle tenebre. Non ci si nasconde più nel buio. I mostri ormai ci sono anche di giorno: la maggior parte di loro è in giacca e cravatta. E allora mi chiedo: perché sono nel buio? Immersa fino al collo nel nero?
E la domanda che mi tormenta più delle altre è: ci si salva da soli? Se sì, come si fa? Se no, chi mi salverà?
Ho bisogno di qualcuno che mi illumini, che porti luce, che mi faccia sentire viva. Ho bisogno di qualcuno che resti, che non si fermi ai miei occhi di ghiaccio. Ho bisogno di qualcuno che mi dica che cazzo ho di sbagliato, che cazzo sto sbagliando, perché io non lo so.
Guardò il foglio. Aveva paura di leggere i suoi pensieri, non lo faceva mai. Però quella volta rilesse, con quella luce che illuminava di poco la stanza. Rilesse e si sentì appesantita.
Prese il foglio e l'accartocciò, arrabbiata. Poi lo guardò e lo spiegò, cercò di farlo tornare normale. Aprì il cassetto e guardò le buste: l'ultima era ancora aperta, doveva sigillarla. Non lo fece, però. Poggiò il foglio sulla pila di lettere e sospirò.
La notte è personale.
Quella notte lo era più che mai. Si diresse verso il letto e si mise sotto le coperte. Spense la luce e chiuse gli occhi, aspettò che il sonno bussasse alla sua porta. Era tranquilla. Capitava, a volte, che doveva scrivere per far stoppare i pensieri. Si girò da un lato, poi dall'altro. Il sonno stava ritardando.
Tornò a guardare il soffitto scuro e stette in silenzio, trattenendo il respiro. Si sentivano. Si sentivano, i pensieri di Margherita, come un urlo che squarciava il silenzio. Sentì le parole spigolose che aveva scritto trafiggerle il petto, e si accorse che non erano spigolose: erano coltelli. Si sentiva, l'odio. L'odio verso l'oscurità. Si sentiva il grande interrogativo, il grande bisogno di Margherita. I pensieri facevano rumore anche se non erano più nella sua testa, ma in un cassetto.
Quei pensieri la tormentavano da troppo tempo e avrebbero continuato: quella notte ne era la prova.

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