Delusione

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In presidenza c'era troppa gente a parere di Margherita. Il padre era in piedi accanto a lei, teso. Aveva perso una giornata di lavoro, non l'avrebbero pagato.
Margherita era seduta, davanti alla scrivania del preside, accanto a lei sedeva la professoressa Gagliani, un po' dolorante. Il preside aveva le mani intersecate davanti alla bocca, per non dare sfogo ai suoi pensieri. «E l'alunna mi ha aggredito.» concluse la professoressa, non facendo cenno alle cose che aveva detto.
Il preside Bianchini guardò Margherita. «La sua versione dei fatti, Raffagli?» chiese.
La Gagliani spalancò la bocca, sorpresa. «Pensa sia necessario?» balbettò.
«No, professoressa. Non lo penso. Lo so.» il preside le lanciò un'occhiata gelida, per poi alleggerire lo sguardo e posarlo su Margherita. Margherita se ne accorse. Perché la trattavano con i guanti?
«L'ho aggredita. Amen.» rispose annoiata. Il padre si irrigidì. Non la riconosceva più. Dov'era il suo fiore? Dov'era la sua perla?
Bianchini stava per perdere la pazienza. «Voglio sapere tutto, Raffagli. Perché non urla o non si oppone come una persona normale
Perché io, di normale, non ho niente. Pensò Margherita.
«La professoressa è entrata in classe e tutti si sono alzati, tranne me. Mi ha chiesto se avevo un crampo alle gambe e le ho chiesto se anche lei ce l'avesse, dato che stava seduta.» illustrò Margherita. «Do rispetto a chi me ne dà, ed è una regola del cazzo, lo so, ma è così.» aggiunse. Il padre sussultò al sentire una parolaccia uscire dalle labbra della figlia. «Così abbiamo iniziato a discutere, e lei mi ha detto cose che non avrebbe dovuto dire. Sono scattata per questo, preside. Lo sa che non sono violenta.»
«E l'episodio di sta mattina?» si intromise la Gagliani.
«Era un episodio isolato.» la difese il preside per poi riconcentrarsi su di Margherita. «Cosa ti ha detto, esattamente?»
«Mi ha detto che sono piena di merda, ma questo lo sapevo già.» Margherita prese un respiro. «E mi ha detto che i miei genitori non mi hanno allevato bene. Può dire quello che le pare su di me, preside, ma non si possono toccare i miei genitori. No.» Margherita scosse la testa.
«Ha testimoni, Raffagli?» chiese arrogantemente la Gagliani.
Margherita la guardò. «No e lei lo sa perfettamente, non è vero?»
«Tutti fuori dal mio ufficio.» disse il preside. Margherita si alzò insieme agli altri. «Lei, Raffagli, resta qui.»
Margherita guardò il padre, che abbassò lo sguardo. Margherita sapeva perché non voleva che lo guardasse negli occhi. Nel suo sguardo nero c'era delusione.
Lo capì, e una morsa le strinse la bocca dello stomaco. «Ti aspetto a casa.» sussurrò il padre, uscendo.
Quando tutti uscirono dall'ufficio, il preside guardò Margherita con un'intensità enorme. Voleva leggerle l'anima, e Margherita aveva paura di quello che potesse vedere. Il preside emise un leggero sbuffo. «Margherita, io ho provato a capire la tua... situazione. Ho chiuso sempre tutti e due gli occhi per quanto riguardava te... ma ora non posso.» disse il preside, affranto.
«Scusi se mi permetto, ma cosa c'è da capire riguardo la mia situazione? Non sono malata!» urlò Margherita, alzandosi in piedi.
«Siediti prima che ti espello.» disse il preside, schifosamente serio.
Margherita si sedette. «Non ho bisogno della sua compassione.» disse fra i denti. «Non ho bisogno di sentirmi ancora più strana, preside. Mi dica il verdetto e basta.»
«Sospensione. Due giorni. Se oggi combina altri casini, Margherita, è espulsa.» Margherita annuì, poco convinta. «Intanto, ovviamente, passerà la lezione fuori dalla classe.» le lanciò un'ultima occhiata carica di speranza.
Uscì dall'ufficio senza salutare, e non se ne preoccupò.
Il resto dell'ora lo passò a scorrazzare per i corridoi, con la testa fra le nuvole. Non sentiva nulla al di fuori dei suoi pensieri, non riusciva a sentire nulla, se non la sensazione di aver fallito miseramente in tutti i campi in cui un'adolescente potesse fallire. Non si accorse della campanella, delle persone che camminavano per i corridoi. Se ne accorse dopo. Se ne accorse troppo tardi. «Ti dovrebbero rinchiudere in un ospedale psichiatrico.» Alessia e le sue amiche le si pararono davanti, impedendole il passaggio. Le ragazze che circondavano Alessia erano più massicce di lei.
«Tu ti troveresti bene in un bordello.» disse Margherita, senza pensare. Cercò di passare oltre, ma le bloccarono il passaggio. La più alta le diede una spinta e la fece sbattere contro la parete. L'impatto fece chiudere momentaneamente gli occhi a Margherita.
«Marghe, Marghe, Marghe..» la canzonò Alessia.
«Facile difendersi con altre persone, no?» chiese Margherita. Alessia la guardò con insistenza, spostandosi. Un'altra ragazza la fece cadere violentemente per terra. Margherita tossì, dopo, alzando di poco il busto. Margherita si alzò in posizione retta e non reagì. Un altro dispiacere a suo padre non l'avrebbe dato.
«Che fai, Bestia? Non reagisci?» Alessia prese a spingerla, mentre una piccola folla si radunava attorno a loro.
«No.» disse Margherita. Alessia la spinse più forte, facendola cadere. I ragazzi impazzirono.
«Oh, Andrè! C'è una rissa fra ragazze!» annunciò Cristian al suo più grande amico.
«E allora?» Andrea era andato in 3ºC, ma in classe non c'era nessuno.
Cristian aveva l'aria preoccupata. «E allora la fermiamo! Che cazzo vuoi fare, sennò?»
Cristian lo trascinò fino al cerchio di gente. Tutti esultavano, urlavano o facevano versi. Fecero a gomitate con le persone per arrivare al centro della faccenda e, una volta arrivati lì, Andrea voleva solo scappare.

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