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Il menta si avvicinò al più piccolo accarezzandogli la guancia.

«ti sei fatto male.» gli fece notare.

«è solo un graffietto.» secondo Jungkook era così tremendamente carino a preoccuparsi per lui.

«ma sanguina ancora.» ci passò il pollice sopra e lo mostrò al ferito. I loro visi erano vicinissimi.

«aveva smesso.» sussurrò continuando a guardarlo negli occhi non calcolando minimamente il suo dito.

«ha rincominciato.» abbassò poi la mano per pulirsi sull'enorme felpa rossa che indossava, ma il moro lo fermò e senza pensarci troppo avvicinò il suo dito alla bocca e fece passare la lingua sul sangue.

Erano al buio, ma il giovane riuscì a vedere l'altro mordersi il labbro.
Circondò il dito con le labbra e lui gli prese il mento avvicinandolo.

I loro nasi si toccarono e il moro aprì gli occhi ritrovandosi nella sua camera, la luce che filtrava dalla finestra. Era sabato ed il ragazzo appena svegliato non doveva andare a scuola, quindi – di solito – poteva concedersi di dormire fino a tardi.

Ma il suo sonno fu interrotto. Era così reale. Era così vicino. Lui sembrava lì. E si stavano per baciare.

Si girò a destra e sentì qualcosa spingere contro i boxer. Portò le mani sul viso rosso, imbarazzato fino alla punta dei capelli.

Cercò di non pensare a niente, ma continuò a venirgli in mente lui,  i suoi occhi, il suo naso, le sue labbra morbide e l'erezione aumentò.

«maledizione.» esclamò a denti stretti alzandosi per andare in bagno.

In corridoio si fermò a guardare nella stanza dei suoi e controllò che avessero i tappi. Sorrise chiudendo la porta. Entrò in bagno, chiuse la porta ed accese l'acqua. Mentre aspettava che si riscaldasse iniziò a spogliarsi.

«porca troia.» guardò l'erezione ed entrò in fretta in doccia.

Si appoggiò alla parete fresca e prese la sua erezione pulsante in mano immaginando quel ragazzo  in ginocchio davanti a sé.

Immaginò a come lo avrebbe preso in mano, il caldo che avrebbe sentito se lo avesse accolto nella sua bocca ed iniziò a gemere muovendo la mano sempre più veloce.

Inconsapevolmente il suo fiato si fece più corto. Il piacere aumentava ad ogni movimento. L'acqua – ormai bollente – che gli cadeva sul viso, appoggiato alla parete, che poi scivolava alla sua bocca semi aperta per il piacere.

«dannazione.» esclamò quando venne sulla mano che sciacquò velocemente.

Non so neanche il suo nome...

Si abbassò lasciando l'acqua scorrere sulla sua schiena.

Faccio pena.

Sbuffò alzandosi e vestendosi.

«tesoro, sei già sveglio?» chiese sua mamma quando lo incontrò in corridoio «è ancora presto.»

«lo so, ma non riuscivo ad addormentarmi e mi sono fatto una doccia.» rispose sorridendole.
Lei annuì andando in cucina.

[...]

«devo saperlo,» pensò ad alta voce «devo sapere il suo nome.»

Si ricordò quello che gli aveva detto la sera prima: gli avrebbe detto il suo nome, solo quando lui gli avrebbe rivelato il suo.

Non m'importa, glielo dirò, ma devo sapere il suo nome.

Scese dal materasso, si infilò le ciabatte e si cambiò velocemente.

L'appuntamento era venti minuti più tardi, alle undici e mezza, ma aveva troppa fretta e voglia di vederlo ancora.
Se prima c'era una remota possibilità che potesse smettere di pensarlo, dopo quello che era successo quella mattina, non riusciva più a toglierselo dalla testa.

Uscì di casa – dopo aver controllato che i suoi stessero dormendo – e si avviò al solito lampione. Quando arrivò lo vide già seduto, con le gambe incrociate.

Guardò l'ora sul telefono.

Mancano ancora quindici minuti, ed è già qua?

Si avvicinò.

«ehi,» lo chiamò, ma lui tenne la testa nascosta sotto il cappuccio «ehi?» si sedette davanti a lui e vide che tremava «hai freddo?» gli chiese seriamente preoccupato, ma lui fece segno di no con la testa «non mi saluti con uno dei tuoi bellissimi sorrisi?» si maledì subito per il complimento, ma, abbassandosi un pochino, riuscì a vedere un piccolo sorriso e il suo cuore perse un battito.

Azzardò e gli prese il mento, incastrando i loro sguardi.

«hai... hai pianto.» disse poi stupito asciugandogli le lacrime che bagnavano le sue guance.

Non disse niente continuando a guardarlo. Si avvicinò a lui e lo abbracciò.
Rimase aggrappato al suo collo finché non sentì le braccia del più grande circondargli la schiena.

«Jungkook,» disse il moro «il mio nome,» glielo stava sussurrando all'orecchio «è Jungkook.» lo sentì tirare su col naso.

«Yoongi.» lo pronunciò in un sussurro.

Finalmente.

«Yoongi,» ripeté il più piccolo «è un bellissimo nome.»

«anche il tuo è bellissimo.»

Si staccarono e Jungkook gli sorrise notando che aveva smesso di piangere.

«perché stavi piangendo?» gli chiese.

«perché non eri qui.» sgranò gli occhi, tutto si aspettava, ma non quello.

«stavi piangendo perché non ero qui?» annuì.

«avevo paura, e tu non eri qui.» gonfiò le guance – non se ne accorse neanche – che lo rendevano ancora più carino agli occhi del giovane.

«perché avevi paura?»

«era buio.» rispose il più grande.

«ma anche adesso è buio.»

«ma adesso ci sei te.»

Oh, Yoongi.

ɴɪɢʜᴛꜱ || ᴋᴏᴏᴋɢᴀDove le storie prendono vita. Scoprilo ora