6. Il fato

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"La prima illuminazione avviene quando ci rendiamo conto delle coincidenze che si presentano nella nostra vita

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"La prima illuminazione avviene quando ci rendiamo conto delle coincidenze che si presentano nella nostra vita."
(JAMES REDFIELD)



La leggera luce fioca riuscì per qualche secondo a trapelare tre le tende scure, tanto da farmi stiracchiare e sbadigliare spontaneamente. Dopo tutto quel parquet non era così male, pensai, ma quando me ne resi conto fù troppo tardi, proprio perché una mano penzolante del ragazzo che invece aveva dormito sul comodo materasso mi sfiorò il fianco, facendo sobbalzare entrambi.
-"Oh Dio Nina, che ci fai qui?"- brontolò in maniera bisbetica e seccata, io nel frattempo avevo la mano al petto per lo spavento quasi il cuore minacciò di esplodermi dal torace.
-"Sono venuta be'.. perché.. be' ho sentito dei rumori e quindi mi sono spaventata"- decisi di mirare sulla mia vulnerabilità, anche se sapevo profondamente quanto egli mi avesse preso in giro poi. Si stiracchiò, poi si stronfinó per bene gli occhi spalancandoli del tutto, era ancora seduto sul materasso ed indossava soltanto dei pantaloni lunghi blu.
-"Anche una ragazza fifona mi toccava.."- aveva sibilato quasi sottovoce. Mi alzai di scatto, arrossendo lievemente per la situazione imbarazzante che avevo creato.
-"Guarda che ti ho sentito"- controbattei decisa, recuperando dal pavimento la coperta e il cuscino.
-"È stato bello però.."- disse con un sorrisetto sghembo e perfido sul volto. La testa ancora mi parve un macigno ed avevo dei leggeri brividi per non parlare delle narici perfettamente intasate dal raffreddore.
-"Bello.. cosa?"- per un attimo temi che la temperatura alta mi fosse arrivata al cervello la notte precedente e che fosse successo qualcosa di davvero spiacevole e irreparabile. Egli si alzó con tutta calma, si distese le braccia e si avvió al di là della stanza.
-"Allora? Si può sapere cosa intendevi con è stato bello però?"- dissi mimando le virgolette, egli sollevó gli occhi al cielo, recuperando dal frigo una bottiglia di latte e di succo d'arancia.
-"Mh mmh"- scosse la testa.
-"Non te lo dico"- continuó ignorandomi. Battei i piedi per terra e allora pensai che mi stesse solo canzonando nel peggiore dei modi.
-"Va bene .. tieniti le tue fantasie erotiche per te"- risposi sgarbata, poi esterrefatta osservai l'ora all'orologio appeso in cucina, ero ancora con il mio largo pigiama e i capelli disordinati che mi sembravano paglia, avrei dovuto fare uno shampoo nonostante l'influenza.
-"Cazzo! È tardissimo"- con queste parole corsi verso il bagno quello che avevo usato la sera precedente, frettolosamente mi spogliai ed entrai del box doccia. Lascia che l'acqua e la schiuma scorressero sul mio corpo fino a strofinare con i polpastrelli la mia cute, dopo aver risciacquato strizzai i capelli bagnati e inserì attorno al corpo un asciugamano. Nell'istante in cui avvolsi quel pezzetto di stoffa nell'insenatura fra la mia ascella e il seno, la porta del bagno venne spalancata, come se bussare fosse un optional. Anche se indossavo l'asciugamano il mio istinto fu quello di coprimi, datone che le quel tessuto riusciva a malapena a coprire il fondoschiena.
-"Potesti almeno bussare"- sbottai, ed il suo sguardo profondo e persistente mi squadrò lungo tutto la mia figura.
-"E tu potresti anche chiudere a chiave le porte"- si umettò le labbra e il suo sguardo prese ad analizzare le mie gambe snelle, forse troppo, e nude. Per fortuna mi ero depilata facendomi la ceretta qualche giorno fa quindi erano ancora intatte e femminili.
-"Be' forse credevo fossi più civile di così" - ribattei alzando un sopracciglio e sfidandolo col tono. Intanto, aveva preso lo spazzolino dal bicchiere e sopra vi aveva pigiato una striscia di dentifricio. Prima che potesse compiere quel gesto, sorrise di sghembo e mi si avvicinò pericolosamente, i battiti aumentarono a dismisura e la paura incresceva sempre di più. Per un secondo la sua statura sovrastó la mia, facendomi diventare minuscola. Respirai a fatica, i suoi occhi scrutatori non fecero altro che vagare sul mio viso, instintivamente mantenni stretto il tessuto al mio corpo, indietreggiai di poco e quasi non inciampai. Eravamo vicini, i nostri nasi probabilmente si sarebbero sfiorati, anch'egli respirava a fatica, ma perché tutta quella vicinanza? Volevo andarmene, scappare ma probabilmente qualcosa me lo impediva. Le sue dita finirono sulla mia spalla, e il tuo contatto con la mia pelle mi marchió col fuoco provocandomi una serie di scosse elettriche lungo la spina dorsale, il suo sguardo non era addolcito, ma nemmeno duro era malizioso introspettivo, quasi non riuscivo a decifrarlo. Le sue dita scostarono quelle ciocche umide che mi era ricadute sulla spalla.
-"Dovresti asciugarti"- disse quasi in un sussuró poi, come se nulla fosse tornó al lavandino e iniziò a strofinarsi i denti con lo spazzolino. Mi lasciai andare in un enorme respiro quasi come se fosse stata incubata e soffocata. Sospirai per l'incognita che quel ragazzo mi lasciava ogni volta dopo i suoi gesti e parole, i suoi occhi nascondevano qualcosa che prima o poi avrei voluto scoprire che non avrei fatto fuggire alla mia innata curiosità. Nel frattempo che contemplavo i miei pensieri, ero in cerca di un secondo bagno che non trovai al piano di sotto, osservai poi la alta scala a chiocciola con la ringhiera di legno, non mi sarei permessa di esplorare un luogo non mio così attesi. Dopo che egli fu uscito finalmente dalla toilette, mi asciugai i capelli e recuperai dalla valigia un paio di jeans blu attillati e una camicetta bianca, indossai delle ballerine, volevo essere presentabile pulita e non sensuale o troppo elegante. Frenai i miei capelli castani e mossi con delle forcine un filo di trucco ed ero pronta. Avevo avuto per fortuna il tempo di sistemare una borsa abbastanza grande per un quaderno di appunti, una penna, e dei fogli da disegno. Mi recai in cucina e fui felice di non trovare Derek, la sua presenza mi innervosiva mi creava ansia, distoglieva la mia immagine di serenità. Bevvi del caffè che avevo preparato, ma il mio sogno finì quando vidi il ragazzo scendere a passo felpato la scalinata con indosso un giubbotto di pelle e dei pantaloni neri, con una strana maglietta bianca che però gli donava. Non volevo chiedergli se uscisse, e ne se avessi potuto accedere ad un probabile bagno al piano di sopra, altrimenti mi sarei beccata un'altra risposta pungente e dovevo rimanere serena, oltre al fatto che sentivo scorrere ancora l'infielnza nel mio corpo. Soffiai un paio di volte il naso con dei fazzoletti delicati per non irritare la pelle e creare del rossore. Per fortuna non mi rivolse parola, addentó una fetta di pane tostato, ed io osservai l'orologio al mio polso sottile.
-"Cavolo devo scappare!"- esclamai, in verità mancava ancora mezz'ora all'incontro con la Cartier Maison e distava soltanto pochi minuti di li, quindi me ne sarebbero rimasti degli altri per poter costatare di aver preso tutto e dimostrare che sapevo essere puntuale ad un appuntamento importante. Egli storse il naso, mentre era seduto sullo sgabello alto e finiva la sua fetta.
-"Sei sempre così in anticipo?"- parlò, mentre aveva ancora in bocca il boccone che stava masticando. Recuperai il trench e la borsa dal divano.
-"Quando voglio ottenere qualcosa si"- presi la chiavi dell'auto che Derek aveva posto la sera precedente su un piattino argentato accanto alla scrivania le chiavi di acciaio accanto.
-"Dimmi buona fortuna"- sorrisi a trentadue denti, elettrizzata e in pre dall'agitazione.
-"No, non credo che te lo dirò"- rispose senza neanche osservarmi, bensì i suoi occhi parvero incollati allo schermo della tv, ma poco me ne importò, voltai le spalle e sollevando gli occhi al cielo uscì di casa raggiungendo la mia Juls in vialetto.
Come da navigatore, dopo esattamente quindici minuti contati arrivai dinanzi all'enorme grattacielo metallico e vetrato, probabilmente non ne avevo mai visti di così alti pensai, ebbi la fortuna di trovare il posto proprio dietro l'angolo. Dopo aver costato di aver chiuso l'auto, mi monì di foglio e carta d'identità, tutto il necessario per poter riconoscere che stavo per addentrarmi in quella nuova avventura. Quando le porte sincronizzate e scorrevoli di vetro si aprirono ebbi la fortuna di osservare quel luogo raffinato e curato, con al centro un enorme lampadario di diamanti, mi sembró una stazione anziché un grattacielo e un'impresa. Tutti vagavano a destra e sinistra, altri frettolosamente alcuni con fra le mani un caffè ed una ventiquattr'ore, donne vestite di tutto punto, con pellicce borse Chanel e sandali Jimmy Choo. In confronto, mi sentì una povera mendicante. Tutte erano truccate alla perfezione e con i capelli mossi alla Madonna oppure liscissimi e raccolti in uno chignon. Sospirai profondamente e quando a passo spedito mi avvicinai alla direzione per farmi comunicare il piano nel quale avrei seguito il corso e incontrato il direttore dell'azienda, urtai contro qualcuno, al quale vedi finire le borsa e dei fogli sul pavimento lucidato. Mi calai immediatamente ad aiutarla, sentendomi mortificata.
-"Dio, scusami tanto ero soprappensiero"- quando assieme ai fogli recuperai anche quel che assomigliava al mio, i miei occhi puntarono la giovane ragazza dai capelli corti sulle spalle e corvini. Aveva un sorriso contagioso e degli occhi lucenti e scuri.
-"Tranquilla anzi, sono io che sono un disastro"- farneticò sistemò la borsa in spalla e il malloppo sul avambraccio.
-"Tu sei qui per il concorso?"- dissi e per un attimo mi sentì imbarazzata, ma quel foglio di presentazione identico al mio mi incuriosì.
-"Si, e sono anche in ritardo. Anche tu sei qui per lo stesso motivo ?"- un sorriso smagliante mi aiutó a sentirmi meno ficcanaso e sola. Nel frattempo ci eravamo avviate all'ascensore a quanto pare ella conosceva già il luogo.
-"Si, mi sono trasferita l'altro ieri sera da Manhattan"- mi risolvi gentile, ricambiando il suo modo educato di porsi.
-"Oh sul serio? Io invece sono di qui, ed e la terza volta che provo a vincere questo dannato concorso"- premette il numero sei e dedussi che la nostra direzione fosse al sesto piano.
-"Davvero?"- risposi incredula comprendomi la bocca con la mano.
-"Si, purtroppo vincere o almeno arrivare in finale è difficile se non conosci già qualcuno nel campo o sei raccomandato dal capo"- scrolló le spalle, con nonchalance ormai quell'argomento non le toccava più ma mi aveva messo agitazione, c'è l'avrei potuta fare anche senza qualcuno alle mie spalle?
-"E tu? E la prima volta?"- disse sorridente.
-"Si, e come se non bastasse ho avuto dei problemi con l'appartamento"- farfugliai. E a proposito mi ricordai che dopo il corso avrei dovuto chiamare mia madre e Megan.
-"Che tipo di problemi?"- corrucciò le sopracciglia in segno di confusione.
-"La direzione mi aveva mandato una lista di alloggi da affittare ma quello che avevo scelto e già abitato quindi.."- non andai oltre, o probabilmente mi avrebbe creduta un incosciente.
-"Ahia, alla direzione succedono spesso queste agenzie immobiliari fasulle. Vedrai che presto troverai qualcosa"- la sua gentilezza e disponibilità mi fece brillare gli occhi, e pensai che la giornata era davvero iniziata con il piede giusto, al di là dell'episodio in bagno con Derek.
-"Sarebbe fantastico, sugli annuncio non ho trovato granché"- eravamo arrivate e stavamo percorrendo il lungo corridoio bianco e lucido con un enorme scritta alla destra "Cartier" a caratteri cubitali e neri. Mi punsero gli occhi, mi sentivo abbagliata da una luce immensa, finalmente ero dove mi sentivo me stessa. Varie segretarie gironzolavano avanti e indietro con vistosi gioielli luccicanti e abiti elegante ma sobri.
-"Seguimi"- le sorrisi senza poter aggiungere nient'altro. A passo svelto ci dirigemmo in una sala ampia e glamour composta da banchi lunghi e con una singola postazione, monita ognuno di pc e di carta e penna. La stanza era quasi piena, mi complimentai per essere arrivata prima, se mi fossi attardata non avrei conosciuto quella ragazza, tanto gentile e disponibile.
-"Oh io sono Jassie comunque"- mi porse la mano e osservammo insieme quale posto poter occupare, decidemmo per quelli in seconda fila.
-"Nina, molto piacere"- ridacchiai silenziosamente per la sua buffa espressione. Aveva indosso un vestito a fiori rossi, grazioso che le arrivava fin sotto al ginocchio, con un cardigan nero e degli anfibi.
-"Questi sono i posti migliori, mi siedo sempre qui"- sussurò, l'aula che mi sembró quella di un Università venne presto riempita da giovani ragazze e ragazze quasi tutti della mia stessa età. Poi dall'entrata principale vedemmo varcare la soglia da un uomo alto e robusto con i capelli scuri ma leggermente brizzolati alle tempie, degli occhiali massicci e neri alla moda e un completo impeccabile. Al suo fianco una donna con un minuscolo microfono alle labbra e con una coda bionda. Anch'essa vestita elegantemente.
-"Questo qui è il capo, e lei è la sua segretaria, si dice in giro che sia la sua nuova fiamma"- sussurò al mio orecchio sinistro. La donna aveva almeno vent'anni di meno, e Jassie mi parve davvero interessata e acculturata, d'altronde frequentava quel luogo da più tempo di me, senza mai vincere.
-"Be' almeno lui e un bel tipo"- confessai, e ridacchiamo insieme sotto i baffi senza farci scoprire.
-"Già mi piaci Nina"- disse in tono soddisfacente la ragazza seduta accanto a me. Risi sottecchi, mentre l'uomo composto e serio iniziò a presentarsi, poggiando le sue mani sulla grande scrivania che vi era davanti a lui, sul retro invece vi era in penombra uno di quelli schermi che venivano proiettati alla parete.
-"Bene. Io sono John McCarthy, alcuni mi conosceranno già altri no ma ci tengo sempre a presentarmi per bene ai giovani e futuri membri del mio designer team. Sono il direttore creativo, organizzativo, responsabile marketing e vendite della mia impresa, tutto ciò che vedete, toccate, udite appartiene al sottoscritto. Questo concorso, grazie al mio team, promuove ogni anno cinque stilisti professionisti con idee strabiliati da poter aggiungere alla nostra struttura, alla nostra famiglia"- fece una pausa il tempo per far sì che i partecipanti potessero scambiarsi qualche occhiata fra di loro.
-"Le prime tre settimane saranno dedicate allo studio dell'economia e del marketing, poi ognuno di voi preparerà una collezione, nella quale almeno metà dei componenti verrano esposti nella sfilata che si terrà a Capodanno"- spalancai la bocca, incredula ma poi la richiusi per evitare di far brutte figure.
-"Figo vero?"- sibiló Jassie, dandomi un buffetto sul braccio, riposi con cenno del capo mentre mi soffermai sull'uomo che continuò il suo discorso.
-"Dopo la sfilata di Capodanno, chi andrà avanti si preparerà per Parigi, l'evento dell'anno e l'incontro con i migliori stilisti del mondo e magazine di moda come Runway, la vostra miglior occasione per poter mostrare talento e creatività, quanto realmente valete e.."- prima che potesse terminare, la porta venne improvvisamente spalancata da un tizio, che quasi seccato e palesemente in ritardo teneva sotto braccio una cartella e una penna. L'uomo di mezza età, osservò il ragazzo menefreghista e ritardatario poi volsi lo sguardo anch'io, datone che tutti avevano preso ad osservarlo. Il cuore mancó di un battito temetti di svenire proprio lì su quel pavimento lucido e pulito. Mi toccai il petto con la mano costatando che la pressione cardiaca non fosse aumentata, in viso credetti di esplodere dalla rabbia e dall'imbarazzo. Il destino non poteva giocare in quel modo così subdolo e malefico, qualcosa, qualcuno stava cercando di farmi un terrificante scherzo.
-"La prossima volta, gradirei che non disturbasse le mie lezioni con il suo ritardo"- disse infastidito il capo, battendo i fogli sulla scrivania. La sua espressione però parve anche sbalordita. Il ragazzo dai capelli corvini salì alla quarta fila, e si sedette con nonchalance senza proferire parola. Quasi mi bloccai sul posto, i muscoli non davano cenno di vita. Jassie nel frattempo si era avvicinata al mio orecchio.
-"Quello li è il figlio del capo, Derek un tipo davvero strano e donnaiolo per di più anche ritardatario. Si dice in giro che si sia fatto quasi tutte le segretarie di suo padre e che lui abbia cacciato via a calci. È un tipo strano"- ero immobile, il sangue mi si gelò nelle vene e inghiottì quel poco di saliva che era rimasta, restando definitivamente a bocca asciutta. Derek era il figlio di John McCarthy direttore della Cartier Maison? No, probabilmente Jassie si era sbagliata, ma credere a ciò fu difficile dato tutte le cose che sapeva sul suo conto. Ma perché era lì? Ma soprattutto perché quando gli avevo parlato del concorso non mi aveva detto nulla? Mille domande mi frugavano in testa, riposte che avrei dovuto ricevere una volta tornata in quella casa, dopo si che avrei fatto le valige e mi sarei accampata sotto i ponti se necessario.
-"Scusate l'interruzione"- disse con un cenno di scuse il capo.
-"Dicevo, chi riuscirà a conquistare Parigi, inserirò l'intera collezione in tutti gli store di New York e altrove, oltre certamente a ricevere lavoro da noi. Tutto chiaro?"- annuimmo, io lo feci lentamente ancora incredula e sbalodita. Feci di tutto per coprimi il viso, e ignorare lo sguardo persistente che ebbe Derek su di me, quasi come se volesse giocare col mio destino e prendermi in giro maleficamente. Sbuffai pesantemente, e quando la Signorina accanto al capo dell'impresa, prese a far l'appello di tutti i concorrenti del concorso potei tranquillizzarmi e distrarmi leggermente. Jassie però notó tutto, o almeno quasi.
-"Sei strana, va tutto bene?"- chiese ella con uno sguardo corrucciato. Mi voltai lentamente e con la coda dell'occhio vidi Derek salutarmi con la manina e mostrandomi uno di quei sorrisi maliziosi e beffardi. Mi voltai con un enorme peso nel petto, ed esasperazione.
-"Tu conosci Derek McCarthy?"- infondo quel cognome non mi era del tutto sconosciuto, l'avevo udito da qualche parte. Ci riflettei e mi ricordai che uno di quei borseggiatori l'altra sera avesse nominato il suo cognome con il tremore nella voce. Intanto il viso della ragazza rimase esterrefatto.
-"Si, purtroppo si.."- ammisi in silenzio guardando sul mio foglio. Ella esitó per un po', poi si volto indietro per poi ritornare a darmi la sua attenzione.
-"Ma come hai fatto? Cioè dove l'hai conosciuto?"- non volevo confessarle ogni cosa, d'altronde la conoscevo da soli venti minuti e non volevo sentirmi giudicata o peggio, vista in maniera diversa perché avevo passato due giorni sotto lo stesso tetto con il figlio del capo.
-"L'ho conosciuto.. l'ho conosciuto a Manhattan, in un bar suo cugino esce con la migliore amica"- le dissi una mezza verità, tranne per il fatto che Megan uscisse con Jason, in realtà non sapevo come la storia fosse continuata.
-"Tutti qui dicono che è uno stronzo colossale.. anche se è molto sexy"- disse volgendogli uno sguardo.
-"Si è proprio stronzo"- sospirai, iniziai a scrivere le mie informazioni personali sul foglio appena ricevuto dalla Segretaria bionda.
-"Nessuno qui gli ha mai rivolto parola, insomma non è molto gradito"- ripete ancora una volta, compilando il suo, di foglio.
-"Si.. questo l'hai già detto"- non volevo essere scortese ma parlare di quel ragazzo ormai mi metteva agitazione uno stato con confusione e stanchezza.
-"Bene signori, per oggi basta così il corso inizierà ufficialmente domani alle otto in punto"- respirai a pieni polmoni quando mi incamminai velocemente verso l'uscita pur di non incontrare Derek, Jassie mi seguì faticando a stare al mio passo.
-"Mi pare che ti osservi molto"- sussurò mentre ella camminava al mio fianco. Avanzai il passo, ignorai la sua constatazione. Prima che potessi varcare la soglia dell'entrata dell'ascensore, udì delle voce ben alte derivanti dall'ufficio che vi era alla mia destra, non molto distante da noi. Osservai i due uomini parlare animatamente, corrugai le sopracciglia, volevo saperne di più
-"Ho.. ho dimenticato delle cose in aula, torno subito"- ella fece un segno d'approvazione dicendomi che mi avrebbe aspettata al piano terra. Cautamente mi avvicinai più all'ufficio ove l'uomo di mezza età e il ragazzo tenebroso stavano parlando animatamente, così forte che la segretaria e altri membri del centro direzione voltarono il loro capo e drizzarono le orecchie. Cercai di non dare nell'occhio, trovai una posizione perfetta, così iniziai ad origliare contro la persona civilizzata che ero.
-"Abbassa la voce Derek!"- disse con tono severo l'uomo, picchiettando le mani sulla scrivania. Erano in piedi uno di fronte all'altra.
-"Spiegami cos'è questo"- il ragazzo estrasse dalla sua giacca un foglio di carta piegato in quattro parti così capi che fosse il mio, quello che mi aveva mandato per email l'agenzia immobiliare, con tutti i miei dati personali.
-"Hai detto a quegli idioti di affittare ancora la casa?"- recuperò il foglio, e lo scrutò per bene poi consapevole calo lo sguardo.
-"Derek, ascoltami non puoi restare incollato ai ricordi e a quella casa.. "- cercò in tono pacato di spiegargli.
-"Non me ne frega un cazzo, ti avevo detto di non metterla in affitto ma tu l'hai fatto comunque"- ringhiò lui, assetato di rabbia.
-"Quella è casa mia ed io resterò li che ti piaccia o no-" così dicendo chiuse la conversazione, mi adagiai al muro più schiacciata possibile per far si che non mi beccassero. Derek a passo spedito e infuriato uscì dall'ufficio, recandosi alla rampa scale, e quasi correndo andò via. L'uomo aveva il viso fra le mani si era tolto gli occhiali per strofinarsi meglio gli occhi. Aveva uno sguardo stanco, affiliato probabilmente non era la prima volta che litigava in quel modo con suo figlio.
-"Lisa, portami un caffe"- aveva detto in tono tranquillo alla segretaria dal suo telefono d'ufficio. Quando fui al piano di sotto, incrociai Jassie che molto gentilmente mi stava aspettando chiaccherando con un altra ragazza, ci salutammo calorosamente e ci augurammo buona giornata, ero felice di aver già trovato una compagnia anche se rivale nella competizione ma almeno non sarei stata sola nelle grinfie del cavaliere oscuro. Non avevo la minima voglia di tornare a casa, avrei dovuto affrontarlo e onestamente in quel momento non avevo le parole giuste. Non avevo un posto dove stare e l'unico appoggio che avevo era la tana del lupo più astuto e rabbioso della foresta. Sospirai a lungo, e decisi di dirigermi verso la macchina e magari fare un giro in centro e guardare un po' gli annunci del giornale sia per i lavori part time che per gli immobili. Una volta arrivata ad un fast food e ordinato un insalata mista, mi decisi a telefonare a Megan, in pre dalla voglia di sfogarmi e raccontarle tutto. Uno, due squilli poi finalmente ripose.
-"Pronto?"- la sua voce stridula mi mise subito di buon umore, era l'unica amica che avevo sempre avuto, la più leale e sincera. L'unica a conoscere tutto il mio passato e la cruda verita.
-"Meg, come stai?"- sorrisi. Intanto presi a giocherellare con dei pezzetti di carta ricavati dalla busta dalla forchetta di plastica.
-"Nina! Oddio come sono contenta di sentirti, mi sei mancata"- esclamò gioiosa.
-"Anche tu, come sta mia madre?"- passai subito al sodo, alla ferita più dolorosa.
-"Abbastanza bene direi, passo almeno una volta al giorno per controllare la sua salute. Beve e fuma ancora ma niente di grave o di nuovo"- la immaginai scrollarsi le spalle, mentre io tirai su un sorriso pesante.
-"A te? Come procede? Se non erro oggi era il primo giorno"-
-"Non ne parliamo.. sul serio, la casa era già in affitto e poi il concorso è più duro di quanto pensassi"- evitai di parlare di Derek, almeno per il momento.
-"Caspita mi dispiace, vedrai che le cose si risolveranno. E la persona che hai trovato nell'appartamento è gentile almeno? Ti ha permesso di restare per un po'?"- avrei voluto parlarle di quel ragazzo tenebroso e dagli occhi profondi ma qualcosa mi trattenne, Megan era la tipica amica che travisava le cose, si entusiasmava per un non niente e traeva conclusioni affrettate. Derek non era il mio tipo ed io non ero il suo, fine della storia. Esitai per qualche secondo mi duole mentirle, ma onestamente non avevo voglia dei suoi urletti scalmananti e gioiosi per un non nulla.
-"Si, almeno credo"- mi morsi il labbro e strinsi gli occhi al dolore per aver mentito alla mia migliore amica.
-"Be' menomale, e che tipo è, una ragazza ?"- poi mi venne in mente Jassie, ed il suo volto grazioso e gentile.
-"Si, è stata gentile per fortuna, si chiama Jassie"-
-"Sul serio? Be' attenta a non tradirmi amica!"- una morsa mi chiuse lo stomaco tanto da allonatare quell'insalatiera ancora piena.
-"Non lo farò stanne certa, e tu hai novità?"- mi grattai la mica, osservandomi un po' in giro.
-"Tieniti pronta! Io e Jason stiamo provando ad uscire insieme sul serio"- immaginai i suoi occhi riempirsi di luce e di contentezza, per lei ero felice ma Jason era riconducibile a Derek ed ogni cosa che avesse un legame con lui, mi straziava.
-"Sono contenta per te amica mia, mi raccomando stavolta niente giochetti"- la puntai non troppo severa, ella poi cambiò subito tono di voce, creandomi un cipiglio confuso sul volto.
-"C'è anche dell'altro però.. e questo non ti piacerà"-
-"Spara!"- dissi a bassa voce.
-"In giro si dice che.. fra qualche giorno inizierà l'udienza di Robert Mayer, si deciderà se resterà dentro o sarà fuori"- il mondo improvvisamente mi crollò addosso, schiacciandomi le ossa. Mi smossi i capelli portandoli indietro.
-"Bastardo.."- sussurrai, ella sospirò preoccupata.
-"Megan ti prego, tienimi aggiornata segui il suo caso.."- la voce mi tremava e inizia a picchiettare forte il piede sul pavimento sotto al tavolo.
-"Si, contaci lo farò"- ci salutammo velocemente e quando riagganciai tirai un sospiro di preoccupazione, ero a New York in un qualsiasi caso sarebbe stato impossibile trovarmi, anche se la sua immagine bastava poco a poco per farmi tremare ogni cellula del corpo. In quel fast food dai tavoli rossi e neri era quasi abbandonato, erano le tre del pomeriggio, mi arresi e gettai l'insalata nella pattumiera, ormai la fame era completamente sparita.
In auto, cercai di meditare e di capire la cosa più giusta da fare. Arrivai alla conclusione che non potevo assolutamente spendere tutti i soldi che avevo conservato e risparmiato per dare un anticipo dell'affitto di un altra casa, avrei dovuto cercarmi un lavoro temporaneo qualcosa di sobrio e non troppo pesante. Per il momento avrei dovuto tener a bada Derek e il suo umore bipolare convincerlo a farmi restare ancora in casa sua, anche contro la mia volontà. Ero furiosa con lui, mi aveva mentito già dal primo momento in cui ci eravamo conosciuti il classico bugiardo cronico. Mentre guidai, avvistai una scritta su un cartello che segnava "CBC centro sportivo" incuriosita da una possibile palestra che quel luogo poteva contenere, misi la freccia a destra e continuai per quella direzione. Avevo bisogno di un luogo dove sfogarmi, cacciar via la rabbia e poter star da sola senza essere disturbata. Quando vi arrivai posai l'auto, e due enormi campi da calcio mi si presentarono davanti, mi avviai verso il vialetto, il quale venne marcato da un chioschetto delizioso e in tono con il luogo, non vi erano molte persone probabilmente perché erano le tre  e trenta del pomeriggio. Un uomo al quanto giovane sulla quarantina preparava dei caffè al bancone, così approfitti per ordinane uno anche io, avevo bisogno di restare energica se avessi dovuto fronteggiare con Derek quella sera.
-"Salve, un caffè grazie"- dissi, l'uomo con un cenno mi sorrise.
-"Certamente"- mi sedetti sul sedile alto accanto al pezzo di legno alto del chiosco, non avevo intenzione di trattenermi e sedermi ai tavolini sarebbe stato qualcosa di veloce, fugace. Alle mie spalle invece vi era un campo da tennis, e poi un'enorme struttura al suo retro, mi promisi di allungarmici e dare un occhiata. Il sole batteva forte quel giorno, nonostante il metà mese di novembre.
-"Ecco a lei signorina"-  mi pose la tazzina ancora bollente.
-"Grazie"-  i miei occhi indagatori continuare a ispezionare un po' ovunque, quando poi sgradevolmente si soffermarono su una figura, alta e muscolosa vestita con un completino da tennis e che insegnava in modo egocentrico a tirare la pallina verde ad una bionda ossigenata. Assottigliai gli occhi e ancora per una volta non potevo crederci, maledì il destino per avermi coinvolto in quel terrible scherzo, non poteva essere che Derek fosse ovunque io andassi, pensai che fosse uno stupratore o cose del genere, ma poi lo guardai meglio e pensai che fosse solo un idiota.
-"È un incubo"- dissi ad alta voce senza rendermene conto.
-"Mh? Ha detto qualcosa ?"- mi rivolse l'uomo, ed io scossi la testa in segno di disapprovazione.
-"No, mi scusi"- tagliai corto.
-"Pagherei per avere tutte le donne ai miei piedi in quel modo"- mormorò l'uomo dopo svariati minuti osservando Derek ed altre donne minute con dei fisici perfetti che lo avevano raggiunto per una lezione di tennis.
-"Derek è soltanto uno sbruffone"- dissi quasi fra me e me, ma poi l'uomo spalancó gli occhi sorpreso.
-"Conosci Derek McCarthy?"- ridacchio.
-"Si, purtroppo.."- mi lamentai, finendo il mio caffè.
-"Sono Raul piacere"- ci stringemmo la mano, poi vidi un cartello alla mia destra con su scritto "cercasi ragazza" pensai fosse una cattiva idea dato che Derek ormai frequentava ogni luogo su cui passavo, ma non potevo sprecare quell'occasione soltanto per via di un ragazzo maleducato e bugiardo.
-"Ascolta Raul, hai già trovato la ragazza che cerchi?"- chiedi indicando il foglio di carta appeso alla parete.
-"In verità no"- disse intristito.
-"Be' c'è l'hai davanti"- dissi aprendo le breccia con fare teatrale, sorrisi al meglio che potevo, quel lavoro mi serviva eccome.






#ANGOLOAUTRICE

Ancora una volta abbiamo avuto a che fare con il nostro destino che puntualmente cerca di farci dei brutti scherzi esattamente come è successo a Nina Stefens!

Miss Adams❤️

Ps: aggiusterò gli eventuali errori

IL CORAGGIO DI RESTARE (In corso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora