31. Cocci rotti

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"La verità è come il sole: fa bene finché non brucia

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"La verità è come il sole: fa bene finché non brucia."
(Emanuela Brenda)



Mi ero categoricamente chiusa nella mia camera, stanca e afflitta di dover avere a che fare con una persona dalle orecchie tappate e il cuore cucito, ero stanca delle persone difficili che la vita mi poneva davanti avevo bisogno di tranquillità, fiducia, pace. Mentre pensai a queste tre possibilità il cellulare segnò l'arrivo di una chiamata la quale stranamente non aveva un nome, il numero non lo avevo salvato nella mia rubrica. Distesi il braccio lungo il comodino di legno bianco affinché potessi recuperare il cellulare e tornare a gambe incrociate sul comodo materasso.
-"Pronto?"- sorrisi cordialmente, ma quest'ultimo svanì quando dall'altra parte della cornetta non udì esattamente nulla, bensì il silenzio. Corrugai le sopracciglia e mi sollevai col busto dal cuscino per essere più attenta.
-"Pronto??"- ripetei insistente. Ancora nulla, scostai il mio motorola per controllare che non avessero staccato la chiamata, questa continuava ma senza alcun suono. Decisi che forse si sarebbe potuto trattare di uno scherzo, svogliatamente riagganciai e fiondai il capo nel cuscino. Erano le dodici in punto, il primo gennaio duemila dodici solitamente si festeggia pranzando a casa di persone care mangiando manicaretti e cibi deliziosi a grande volontà, io invece ero a New York a Lower Side in casa di un ragazzo maleducato e bipolare il quale odiava la sua famiglia e le feste che l'anno proponeva. Ci saremo arrangiati con ciò che vi era in frigo, controvoglia decisi che era il momento di scendere di sotto sperando con tutto il cuore di non trovarci Alice. Dovevo mettere su la pentola, d'altronde non avevo neanche potuto fare colazione.
Quando fui al piano di sotto, mi rasserenai non percependo il profumo e gli schiamazzi di quella donna, ma bensì un delizioso silenzio. Soddisfatta, mi recai in cucina dove cominciai a rovistare nei mobili e nel frigo in cerca di qualcosa di opportuno da poter mangiare il primo dell'anno.
-"Che cosa stai cercando?"- la roca e profonda voce mi fece sobbalzare tanto da urtare col capo contro lo spigolo dell'anta rimasta aperta sopra di me.
-"Ahia.. cazzo"- imprecai, massaggiandomi la parte dolorante.
-"Non hai risposto alla mia domanda però"- ridacchiò malevolo senza neanche chiedermi se mi fossi fatta male o meno.
-"Cerco qualcosa da cucinare"- sbottai, rivolgendogli uno dei miei sguardi peggiori. Tornai alla mia ricerca, soltanto dopo mi accorsi che era vestito di tutto punto con un maglione verde bottiglia e dei jeans larghi.
-"Mio padre ci ha invitati a pranzo, in realtà ha inviato soltanto te ma onestamente non mi va di mangiare hamburger e patatine per pranzo, quindi  per tuo enorme dispiacere verrò anch'io"- sbarrai gli occhi, richiudendo tutto ciò che avevo aperto mi sporsi sull'isola della cucina sorridendogli di sghembo.
-"Mi stupisco che non ti abbia inviato"-sarcastica provai a sorridergli, egli mi si avvicinò si scorse sul pianale con le braccia arrivando a sfiorarmi perfino la punta del naso.
-"Sei perfida oggi, perché?"- sganciò uno dei suoi sorrisetti perfetti e beffardi.
-"Io non sono perfida"- sbuffai, sperando disperatamente che fossero rimasti uno o due pancake. Guardai ovunque, sul pianale di marmo sulla cucina, e nel microonde ma quando egli mi si avvicinò e dal frigo tirò fuori un piatto con dei pancake e sopra spruzzata della panna, lì porse sull'isola e soddisfatto tornò al suo posto, allo sgabello alto di fronte alla mia figura spossata. Cercando di non dargli ulteriori soddisfazione, storsi naso e ingerì il primo pezzetto di impasto.
-"Si che lo sei, specialmente oggi"- ribattè umettandosi le labbra.
-"Forse perchè non mi hai lasciata dormire, forse perché hai fatto sesso in salotto con una troia Der"- fui ironica, ero stanca di arrabbiarmi di continuo avrei mantenuto il punto, in silenzio e non dandogli troppo interesse.  Scoppiò a ridere di gusto, coprendosi la bocca con le mani.
-"Oh.. quindi hai sentito tutto?"- trattenne un ghigno, non fu per niente imbarazzato bensì divertito.
-"Si, direi di sì"- sbottai nervosamente, immergendo un altro pezzo di dolce.
-"Be' potevi unirti a noi, non ci hai pensato?"- la fame mi era di colpo passata, per far spazio ad una strana sensazione di nausea persistente, egli rise a fior di labbra per la mia probabile espressione esterrefatta.
-"Sto scherzando Nina, devi sorridere sei più bella te l'ho sempre detto"- rubò un pezzetto di impasto dal mio piatto e prima che potessi recuperarlo lo stava già masticando per bene.
-"E adesso va a vestirti Timor sarà qui entro mezz'ora"- così dicendo, osservó il Rolex al suo polso, e si andò a sistemare probabilmente sul divano. Mi era passata la fame ormai, scostai con un movimento di ribrezzo il piatto in ceramica e datone l'ora decisi che dovevo andare a vestirmi. Non ero molto entusiasta di andare dai McCarthy, il primo dell'anno segnava per me una nuova svolta ma anche il rimembrare degli eventi passati tutto ciò che avrei potuto evitare o sopprimere, gli errori stupidi e le occasioni mancante. In oltre ero in collera con uno dei suoi familiari, anche se d'altronde Derek era libero di scoparsi qualsiasi donna su questo pianeta purché non lo facesse apertamente nel nostro salotto disturbando quel sonno già contaminato e difficile da afferrare. La mia vita stava così cambiando drasticamente che non riuscivo più a capirne il verso, di colpo ero andata a vivere con una persona che di continuo faceva tornare vivo il mio passato, una persona tanto simile quanto lontana, dalla quale vorrei scappare ma che fa tacere i miei demoni notturni. Ero arrivata a New York da sola, senza sapere che John McCarthy direttore della Cartier Maison m'avrebbe fatta partecipare ad una sua sfilata mondiale, ricevendo addirittura dei complimenti da dei veri stilisti. Ero pronta, volevo disperatamente vincere quel concorso e fare della mia passione il mio lavoro, volevo vivere di moda respirare di moda ed essere la nuova era proprio come Coco Chanel. "Hai talento" mi avevano detto, sperai di avere altrettanta fortunata anche se passando dalle stelle alle stalle ero già sulla buona strada.
Faceva un freddo cane quel primo gennaio, così indossai al di sotto dei jeans un paio di calze nere e spesse e un maglione pesante. Per tutto il tragitto in auto Derek non mi aveva rivolto parole ne tanto meno lo avevo fatto io regnava un insormontabile silenzio quasi fastidioso. Si accese una sigaretta e soffiò il fumo per fortuna fuori dal finestrino. Riconobbi immediatamente quella leggera strada collinosa dove sorgeva la dimora dei McCarthy lussuosa fiera e gigantesca pensai ai mesi di luglio a quanto sarebbe stato emozionante e bello poter fare un tuffo in quella grande piscina e distendersi successivamente al sole con fra le dita un cocktell a base di ananas. Fantasticando, arrivammo all'ingresso dove Timor gentilmente ci aprì la portiera l'ultima volta che vi ero stata la notte regnava sovrana e con la luce del sole quell'architettura assumeva tutt'altro carattere.
-"Non sbavare troppo Stefens"- sussurrò il ragazzo, una volta che i miei piedi si erano conficcati nel prato osservando puntigliosamente ogni angolo della struttura. Mi passò di fianco, e salí la piccola scalinata che portava all'entrata principale.
-"Non sto sbavando, idiota"- sbottai silenziosamente ma il suo sorriso malevolo mi fece intendere che in realtà mi aveva sentito.
-"Salve, benvenuti"- l'uomo dai capelli grigi e l'abito elegante ci accolse all'uscio distinto e con le braccia dietro la schiena.
-"Francois, mio padre ti fa sgobbare come al solito non è vero"- così dicendo l'oltrepassó mi parve quasi che l'uomo fosse abituato a determinati atteggiamenti e risposte simili, come era di mia consuetudine fare gli porsi un leggero inchino.
-"Buongiorno Francois"- sorrisi cordiale.
-"Buongiorno anche a lei, prego mi dia il cappotto"- mi liberai dell'indumento datone che in quella dimora il calore riusciva a spandersi perfettamente quasi come se ci fosse un vero camino, c'era?
Prima che il governante potesse fiatare, il ragazzo lo bloccò sul nascere afferrando le mie dita e tenendole strette fra le sue, ebbi un sussulto quasi avevo dimenticato quell'incantevole fastidioso tepore.
-"Grazie Francois conosciamo la strada"- sgarbato come al solito, a passo spedito ci allontanammo dall'ingresso ricordai quella parte della casa addobbata per la festa e le persone distinte che vi camminavano a destra e a sinistra, l'enorme scala a chiocciola m'affascinava avrei voluto visitare ogni piano di quella casa. Ci ritroviamo in un lungo e largo corridoio composto da pareti bejie e quadri d'epoca.
-"Potresti essere più gentile con quell'uomo Derek"- sbottai acidamente, ignorando il fatto che egli continuasse con nonchalance a tenermi per mano.
-"Mi conosce da quando sono nato Nina non si scandalizzerà di certo"- mi rivolse un mezzo sorriso, che contagiò anche me cercai di nasconderlo ma egli lo aveva già catturato e conservato. Arrivammo in sala da pranzo, l'enorme tavolo rettangolare e le candele alte come centrotavola ospitavano John a capo, sua figlia e il suo genero. Mi sentì imbarazzata, io e Derek non eravamo fidanzati e per John vedere entrambi i suoi figli seduti a tavola con la rispettiva compagnia del sesso opposto doveva essere gratificante. Fui troppo impegnata a pensare per poter scorgere la figura troppo familiare seduta accanto a quest'ultimo, che schiamazzava e teneva la mano della donna.
-"Mamma!!"- strillai esterrefatta, tutti gli invitati si voltarono nella mia direzione, mollai la mano del ragazzo che ormai aveva raggiunto il petto per lo stupore. Ero infastida, disgustata del fatto che mia madre mi ignorasse completamente per uno dei suoi soliti uomini.
-"Salve a tutti"- ironico, Derek si accomodò accanto al posto lasciato libero per me. Ero rimasta in piedi, pietrificata.
-"Ciao tesoro scusami non ho avuto il tempo di avvisarti, sai è stato deciso tutto con troppo poco preavviso"- con ribrezzo osservai pezzo per pezzo il vestito color corallo che indossava, troppo fine nuovo ed elegante per lei ero abituata a vederla con abiti succinti e volgari o semplice sciatta sul divano a bere la sua bottiglia di tequila in quella lurida casetta di Manhattan.
-"Dove hai preso quel vestito?"- ringhiai, mi pentì di essere risultata maleducata agli occhi di John e della sua famiglia senza averli salutati.
-"Questo? Oh John è stato così carino da prestarmi un po' di soldi per rifarmi il guardaroba ma non è un tesoro?"- ridacchiò, strofinando il suo nasino con quello dell'uomo. Respirai a fatica, Derek prese a guardarmi sconcertato una volta ritornato serio.
-"Stai scherzando spero.."- risi nervosamente.
-"No cara, ma su siediti ho una fame da lupi"- a quella frase venne aggiunto un calice di vino rosso scolato tutto in una volta. Mi avvicinai al tavolo, vi sbattei sopra le mani sporgendo il mio corpo verso quello di mia madre seduta e avvinghiata accanto a John.
-"Tu non puoi soffiare i soldi a questa famiglia hai capito? Non puoi, sono contenta che tu abbia mandato a fanculo Richard ma non puoi adesso venire qui e credere di essere quel tipo di donna mamma"- forse stavo esagerando, ma mia madre dopo che mio padre ci aveva lasciate per un'altra donna non ne ha voluto più sapere di me o della mia educazione del miei bisogni, mi aveva abbandonata a me stessa pur vivendo sotto lo stesso tetto. Si era sempre comportata come se mio padre mi avesse portato con se, soltanto quando cominciai a lavorare ella si accorse di me o come meglio dire, dei miei soldi. Era venuta a conoscenza di Robert, ma pur tornando a casa con il sangue al labbro e il naso rotto continuava a tenere incollate le sue labbra alla bottiglia di un qualsiasi liquore.
-"Adesso basta stai esagerando, John è un brav'uomo Nina"- mia madre si alzò sfidandomi, percepivo le lacrime agli occhi ma non potevo di certo piangere lì davanti a tutti.
-"Proprio per questo.. non merita una come te"- quelle parole, qualche secondo dopo vennero offuscate da una forte pressione che percepí sulla gota destra, mia madre mi aveva dato uno schiaffo.
-"Kate!!"- esclamò l'uomo sconcertato, alzandosi in piedi. Gli occhi di ella si riempirono di lacrime, tremava come una foglia e anch'io d'altronde. Mi massaggiai la parte dolorante, mia madre non mi aveva mia picchiata in vita mia.
-"Nina.."- sibilò Kristie con occhi rammaricati, Derek provò disperatamente ad afferrarmi la mano ma la scansai, mia madre a testa bassa tornò al suo posto, mi sentivo in colpa nell'aver scatenato un terribile episodio proprio il giorno del primo gennaio, il giorno del nuovo inizio. Mi asciugai immediatamente quella lacrima fuggitiva, un dolore all'altezza del petto cominciò a diffondersi piano fino a farmi sentire una pessima persona. Senza che me ne resi conto, avevo abbandonato la sala da pranzo, mancando di rispetto a John e alla sua famiglia. Derek forse non aveva tutte le colpe la rabbia era davvero difficile da controllare.

IL CORAGGIO DI RESTARE (In corso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora