59. Susan, occhi da cerbiatta

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"Fare un nuovo passo, dire una nuova parola, è ciò che la gente teme di più

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"Fare un nuovo passo, dire una nuova parola, è ciò che la gente teme di più."
(Fëdor Dostoevskij)




Derek's point

Non potevo negare la contentezza che provai nel rivedere quella giovane e pazza ragazza in giro per casa. La leggerezza, la sicurezza, il sospiro di sollievo che provai nel sapere che lei quella vita non l'avrebbe abbandonata per sempre, che sarebbe tornata da me a quelli che noi eravamo un tempo, ma probabilmente di "noi " come semplici e innocui amici era rimasto ben poco. La parola "amicizia" era stata ormai sostituta da quel "ti amo" che le avevo urlato quella sera, e che lei prontamente aveva deciso di ignorare completamente. Le avevo dato del tempo, feci lo stesso nei miei riguardi per capire se quella parola sputata impulsivamente derivasse da un momento di debolezza o se fosse qualcosa cresciuto e maturato nel tempo. Non avevo mai provato nulla del genere prima di quel momento, prima di Nina le donne le trattavo come trofei, non ci andavo per niente d'accordo, ci andavo a letto fine della storia. Ero troppo impegnato a redimermi, troppo attaccato al passato, troppo insoddisfatto della mia vita per pensare all'amore. Nina è stata uno spiraglio di luce, è stata ciò che mai mi sarei aspettato, il barlume di speranza oltre la scura siepe, oltre il buco nero in cui ero precipitato. Nonostante continuasse a respinergmi, ma a possedermi nello stesso tempo, cercava di non darlo a vedere però finiva sempre con la bocca sulla mia, inspiegabilmente. In verità avevo dato tempo ad entrambi, sapevo, che lei avesse fatto resistenza che m'avrebbe fatto attendere e magari avrei trascorso le pene dell'inferno, ma d'altronde ero io lucifero e all'inferno ci ero abituatato, giocavo in casa. Continuavo ad aspettarla, ad attendere che lei riuscisse in qualche modo ad abbattere il suo muro d'acciaio, che riuscisse a vedere qualcos'altro dietro l'amicizia; conoscevo la verità, avevo soltanto bisogno di sentirglielo dire. Udire che aveva smesso di scappare, da me, dagli uomini e dalla cattive situaizone, che era pronta a restare e godersi quella vita che potevo offrirle seppure non fosse delle migliori, ero il figlio del suo datore di lavoro qualcosa di buono dovevo pur averlo. Noi ci comportavamo come degli idioti, come bambini che litigavano all'asilo per la stessa sediolina accanto al tavolo rotondo, ipocriti e talvolta insensibili, una situazione ridicola e quasi surreale. Negare, ignorare, sopprimere, sotterrare, insabbiare, questo è quello che facevamo, che Nina era abituata ormai a fare. Non le avrei dato molto tempo, in gioco mi sarei messo anch'io come lei aveva fatto con quel tizio di nome Peter, il principe dell'Inghilterra. Di fatto, quel pomeriggio mi trovavo alla mia galleria dipingevo il paesaggio di una flora, concentrato e con alcune goccioline che vi scorrevano sulla fronte per via della calda temperatura di fine maggio. La mostra quel giorno era chiusa al pubblico, o almeno così credevo, un rumore attirò la mia attenzione:

-"Uhm.. scusami, credevo foste aperti"- la voce candida e sensuale al contempo di una donna mi arrivò ai timpani, soltanto quando lasciai perdere la tela e scesi al piano di sotto attraverso la scala in ferro a chioccola potei scorgere i suoi capelli biondo chiaro e un rossetto rosso molto matto. Aveva urato con la punta delle sua scarpa una tela ai piedi della scala, che avevo intenzione di rifinire in seguito.
-"Nessun problema non preoccuparti"- tenni lo sguardo duro e le sopracciglia currucciate, sperai non si spaventasse ma ormai a relazionarmi con le altre donne avevo perso il ritmo, sempre e solo concentrato sulla castana ragazza che abitava in casa mia.
-"Sei tu Derek McCarthy? L'autore dei dipinti intendo.."- apparentemente sembrava una donna forte, molto alta sicuramente più di Nina, un abitino lilla a maniche corte e con lo scollo tondo, un paio di scarpe alte e lunghe gambe lisce, i capelli li teneva raccolti dietro la nuca con uno basso chignon.
-"Si, sono io"- mi schiarì la voce. La donna vagò in giro con lo sguardo soffermarndosi su alcune tele che avevo rimasto esposte alle pareti bianche.
-"Come hai fatto a entrare?"-
-"Io.. be' era aperto, così"- lasciò in sospeso la frase.
-"Mh"-
-"Sono Susan, comunque"- mi porse la mano, tentennai ma poi l'afferrai deciso tentando addiriturra di sorriderle.
-"Sei molto bravo a proposito"- anche lei sorrise, mostrando la sua fila di denti bianchissimi in netto contrasto al colore forte del suo rossetto.
-"Grazie, cerco di impegnarmi"- insieme, osservammo le tele.
-"Si vede"- ridacchiò, passarono alcuni secondo poi mi parve di vederla agitata.
-"Io.. ecco, in verità so benissimo chi sei"- si mordicchiò le labbra e dondolò sui talloni.
-"E cioè?"- sorrisi di sghembo.
-"Conosco tuo padre, o meglio mio padre e il tuo sono molto amici"- sbaloridito, alzai di poco un sopracciglio.
-"Oh sul serio, chi è tuo padre?"-
-"Aron Taylor, l'avvocato di John"- sorrise.
-"Mh, interessante. Sei un avvocato anche tu?"-
-"Si"- sorrise di nuovo, ma non arrossì come Nina bensì sembrò molto sicura di se.
-"Di bene in meglio"- ridacchiai nervoso.
-"Che vorresti dire? Non è un bel lavoro forse?"- agganciò le braccia al petto e mi guardò con fare di sfida.
-"Se hai la faccia tosta si!"- confermai, fiero della mia tesi.
-"E io sarei una tipa in gamba?"- s'avvicinò, potei goderne del suo profumo forte ma nel contempo dolce.
-"Non lo so, ma mi piacerebbe conoscere la verità"- rise di gusto, toccandosi di tanto in tanto il ciondolo che portava al collo.
-"Ok, d'accordo un caffè adesso, ti va?"- scandì per bene quelle ultime parole, la osservai stranito era una donna molte forte a primo impatto lo si poteva percepire anche dalla sua figura, snella, alta e impontente. Risi sotto i baffi, poi mi avviai alla scala.
-"Prendo la giacca"- ridacchiai, lei fece lo stesso aspettando al piano di sotto.

IL CORAGGIO DI RESTARE (In corso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora