33. Dichiarazioni

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"L'amore viene dalla cecità, l'amicizia dalla conoscenza

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"L'amore viene dalla cecità, l'amicizia dalla conoscenza."
(Roger De Bussy Rabutin)


-"Merda"- imprecai sotto voce, nonostante ciò i ragazzi fuori dal locale mi guardarono stranita li ignorai e rientrai nel club.
-"Dove stai andando?"- fra una risata e un'altra Jake mi guardò da capo a piede, frettolosamente recuperai la borsa e il cappotto.
-"A casa"- tagliai corto, uscita da quel tugurio cercai di chiamare disperatamente un taxi, dopo svariati tentativi finalmente un auto gialla mi si fermò davanti e vi entrai.
-"Dove la porto signorina?"-
-"A due isolati da qui per favore"- cercai di restare calma, forse Derek era tornato a casa valeva la pena tentare in caso contrario sarei uscita a cercarlo. Picchiettai nervosamente le dita sulle ginocchia percepì nuovamente le lacrime in procinto di sciogliersi sulle guance ma tentai di frenarle.
-"Eccoci qui signorina"- dichiarò il tassista, osservai il tassametro e dopo avergli pagato la quota sgattaiolai fuori dall'auto. Due passi a piedi ed ero arrivata alla villetta, stufa di quella scomode scarpe col tacco, me ne liberai senza neanche arrivare prima a casa. Percorsi la stradina a piedi nudi, inserì la chiave nella serratura.
Il silenzio, il vuoto. Lui non c'era, lasciai andare le lacrime che avevo trattenuto e tirai su col naso.
-"Derek dove cazzo sei.."- sussurrai a me stessa sorreggendomi il capo con entrambe le mani, avevo il trucco colato. Avevo combinato un disastro, un enorme disastro qualcosa dentro di me si stava spezzando nonostante mi fossi promessa di non avvicinarmi a quel ragazzo, nonostante mi fossi giurata di lasciare i sentimenti da parte egli ormai era come un nodo impossibile da sciogliere. Avevo perso mio padre, mia madre non era quasi mai sobria mi aveva abbandonata a me stessa, l'unica che mi fosse rimasta era Megan. Non volevo perdere anche Derek, nonostante egli rappresentasse il mio passato, allo stesso tempo significava casa. Derek era ormai la mia casa, il luogo in cui tornavo, in cui piagnevo, sorridevo mi divertivo da matti e mi ferivo ardentemente. Derek era ormai ogni cosa, tutto cominciò a ruotargli intorno, il mio lavoro la mia quotidianità, il mio tempo libero, egli era ovunque ed era troppo tardi ormai per evitarlo. Ero incoerente, lo ero da morire pensai esattamente a questo mentre tenni strette le mie mani al voltante. Quelle lacrime salate scorsero come un fiume in piena, per l'ennesima volta ero inciampata nella stessa profonda buca, lui aveva fatto riaccendere quella fiamma ardente nel petto rimasta spenta ormai da tempo.
-"Cazzo, maledizione!!"- sbattei violentemente le mani al volante, piansi come non avevo mai fatto prima, era finita, avevo alzato quel muro d'acciaio che pian piano si stava sgretolando ero venuta meno alla mia solenne promessa. "Gli uomini sono soltanto dei traditori" ne ero convinta, ma lui riusciva a mettere in discussione ogni cosa.

Cominciò a piovere, azionai le asticelle per poter pulire il vetro. Non sapevo minimamente dove andare a cercare, la prima cosa mi venne in mente fu casa di suo padre anche se dubitai fortemente che in uno stato del genere si fosse presentato li, ma valeva la pena tentare. Arrivai nel lungo vialetto contornato da pini alti, parcheggiai alla rinfusa. Non mi ero cambiata, ero vestita in maniera succinta col trucco sciolto e le guance rigate di nero per finire non avevo con me un ombrello. Mi alzai la giacca tentando di coprirmi almeno il capo e correndo arrivai a ripararmi sotto l'arco della porta, ero fradicia. Bussai il campanello.
-"Oh salve"- il domestico spaesato mi guardò da capo a piede, non mi ero accorta che fosse in camicia da notte, d'altronde l'orologio segnava l'una e mezza del mattino.
-"Ciao Francois, Derek è qui?"- affannata, l'uomo mi guardò sconcertato dalla testa ai piedi. Aveva gli occhi leggermente assonati e mi sentì in colpa di averlo svegliato, sperai vivamente di non aver fatto alzare anche il resto della famiglia.
-"No signorina.. di qui non è passato"- spazientita, e a corto di idee sul dove potesse essere mi strofinai le mani sulla fronte cercando di scostare quelle ciocche bagnate dal viso.
-"Cavolo.."- dissi sottovoce
-"Va bene grazie, e mi scusi per l'ora"- l'uomo a parer mio mi dovette credere matta, freneticamente adagiai nuovamente il giubbotto sul capo e sgattaiolai nella mia auto accendendo il motore e anche i riscaldamenti. Feci retromarcia, e quando mi ritrovai sulla strada principale pensai ai luoghi che avevamo frequentato insieme allo stesso tempo osservavo minuziosamente fuori dal finestrino sperando di scorgerlo in qualche bar seduto comodamente, ma nulla. Cominciò a salirmi il panico, una sensazione di oppressione all'altezza del petto, sapevo di aver sbagliato ero colpevole se non lo fossi stata probabilmente in quel momento mi sarei ritrovata a casa sul divano e con una cioccolata calda. Non ero mai stata un'ipocrita, ma da quando lo avevo conosciuto non facevo altro che scoprire nuovi lati del mio carattere, non facevo altro che mandare a monte ciò che pensavo realmente per potermi affidare completamente a egli. La poggia batteva violenta, i vestiti era fradici esattamente come la metà dei miei capelli. Mi ricordai di quella passeggiata al parco, una delle prime, quella distesa verde con all'altezza una larga terrazza con una vista mozzafiato. Dovevo tentare, in caso contrario avrei continuato a cercare, per tutta la notte se fosse stato necessario. Fermai l'auto inserendo le quattro frecce seppur li vi era un grande cartello divieto di sosta non mi importò di una possibile multa. Per fortuna, l'acqua cadente dalle nuvole stava diminuendo, ero congelata stanca e sofferente. Con questo stato d'animo, impaziente cominciai a camminare lungo la stradina del parco sezionata talvolta da una panchina e qualche albero. Arrivai fino in fondo alla ringhiera e finitamente scorsi la sua figura, come aveva fatto a rimanere intatto completamente asciutto? In lontananza intravidi un piccolo chiosco di legno, con una lunga tegola sporgente, probabilmente si era riparato li.
-"Oh santo cielo"- esclamai, una volta accertatomi che fosse egli, avrei voluto sorridere dentro di me lo feci. Mi piegai sulle ginocchia cercando di placare l'affanno, poi ripresi.
-"Derek!!"- strillai, ma egli non si accorse della mi presenza.
-"Derek"- urlai nuovamente, quando raggiunsi la sua alta e snella figura quasi tremai al sol pensiero che potesse cedere in uno scatto violento. Egli se ne stava lì, con le mani in tasca e uno sguardo assorto verso il panorama notturno. Quando gli fui vicino, lo spintonai leggermente odiavo essere ignorata.
-"Ma si può sapere che diamine ti è preso? Mi hai lasciata da sola fuori quella merda di locale"- non era la giusta mossa, dovevo pur mantenere una soglia di orgoglio pungente.
-"Non toccarmi"- quel cupo tono mi fece rigelare il sangue nelle vene esattamente come quando Robert mi incitava a spogliarmi per lui. La stessa freddezza, lo stesso distacco e la stessa identica rabbia negli occhi. Mi sfregai le braccia esili con la speranza di percepire un po' di calore ma ci rinunciai, era gennaio ed aveva appena finito di piovere. Passò qualche secondo, nel quale egli mi ignorò completamente mentre io cercavo di decifrare le giuste parole.
-"Hai ragione, sono stata una stronza. Una stronza arrogante e impicciona è vero, non lo nego il tuo quaderno era lì sul pavimento mi era caduto e non ho esitato un solo secondo a leggerlo, ma non perché volessi farmi gli affari tuoi ma perché.. perché.. "- mi bloccai sul posto quando i suo occhi saettarono tenebrosi nei miei proprio come quelli di un leone affamato.
-".. perché quando avevo sedici anni alla fine del liceo ho conosciuto Robert siamo stati bene insieme le prime settimane ma poi tutto è diventato come mai me lo sarei aspettato prima, ho sofferto come se fossi stata rinchiusa in una gabbia con il corpo legato. Non sei il solo ad avere un passato, ce l'ho anch'io"- terminai il mio monologo strappalacrime, le sue iridi blu non avevano smesso neanche un istante di sprofondare nelle mie impaurite e stanche. Quel pezzo di carne nel mio petto cominciò a ribellarsi, i battiti aumentarono come se volesse uscire a tutti i costi dal costato. Ebbi dei forti tremolii, il tessuto freddo del giubbotto di pelle mi marchiava la pelle assumendo quasi lo stessa sensazione di cento cubetti di ghiaccio.
-"Credimi almeno .. ti prego, ma se vuoi mandarmi via fallo non mi opporrò"- non volevo andarmene, volevo restare lì nonostante fosse il posto sbagliato, nonostante la storia mi pareva ripetersi il mio cuore si era incatenato al suo fianco. Tornò ad osservare il panorama, schiuse la labbra.
-"Non avresti dovuto"- ringhiò a bassa voce, il che mi fece rabbrividire maggiormente.
-"Lo so e mi dispiace sul serio.. sono stata un ipocrita"- silenzio tombale, per i seguenti cinque sei minuti.
-"Non ne avevi il diritto, ti dissi che te ne avrei parlato dovevi aspettare che fossi pronto Nina!!"- stavolta si era voltato verso di me, e quel tono basso si alzò di qualche nota. Indietreggiai impaurita.
-"Mi dispiace.."- risposi tra un singhiozzo ed un altro, non mi ero accorta che avevo ripreso a piangere.
-"Stronzate"- sbottó sorridendo sghembo, provai ad avvicinarmi nonostante covassi una tremenda paura di essere rifiutata o addirittura ancora vittima di una qualsiasi violenza fisica. Timorosa provai ad agganciarmi al bordo del suo giaccone. Potei percepire nuovamente il suo profumo di sandalo.
-"Devi credermi.. per favore"- mi spaventai quando si ritrasse dal mio corpo e sembrò essere più agitato.
-"Dimmi, dimmi perché dovrei credere a te? Proprio a te"- sventolò in maniera teatrale le braccia al vento, mi strinsi nel mio cappotto bagnato nascondendo il viso il più possibile.
-"Perché ti voglio bene cazzo!!"- strillai con tutto il fiato che avevo in gola, egli sembrò paralizzarsi, non si mosse di un millimetro osservai soltanto il suo petto andare su e giù affannosamente.
-"No.. no tu non puoi volermi bene"- sorrise nervosamente, inquieto prese a camminare a destra e a sinistra massaggiandosi le tempie con i pollici.
-"Tu.. come diavolo hai fatto? Io volevo venire a letto con te maledizione se tu me l'avessi permesso adesso non ci troveremo in questo casino"- mi puntò contro l'indice mentre continuava ad essere affannato.
-"Non lo so nemmeno io perché siamo arrivati a questo punto, non lo so d'accordo? Ma adesso ci sono dentro con tutte le scarpe.. ti voglio bene, sei il mio migliore amico anche se mi fai ammattire e guardi di continuo il mio sedere, anche se mi infastidisci quando sono a lavoro ma credimi quando torno a casa è la tua faccia l'unica cosa che mi va di vedere per prima.."- quella specie di dichiarazione sentimentale fece crollare completamente il muro d'acciaio che avevo costruito con forza e cura con più di dieci sedute da una delle psicanaliste più brave di  Manhattan, ero riuscita a cancellare ogni traccia di quel sentimento dal cuore, ogni granulo di calore che avrei potuto provare per una figura maschile. Nina Stefens era una giovane donna con una tale forza e autocontrollo talvolta invidiabile, "Nessun uomo nella mia vita" avevo detto, spaventata e contaminata da quell'uomo crudele e assassinio mi ero giurata di estraniare gli il sesso maschile dalla mia vita per sempre. A modo mio ero andata avanti.
-"Perció quando ti dico che mi dispiace.. mi dispiace veramente"- egli restò di sasso, allibito tanto quando me, ingoiò il groppo che aveva in gola strinse con forza la ringhiera tanto da fargli diventare bianche le nocche. Respirò a fatica, e tenne il capo dritto su quella città illuminata dai fasci chiari della luna.
-"Mia madre è morta quattro anni fa. Sono sempre stato l'unica testa calda della mia famiglia nonostante non volessi perdere tempo a studiare mio padre mi affibbiò degli insegnanti privati che mi fecero laureare con la lode. Egli sperò in un mio cambiamento, che non avvenne iniziai a frequentare Damon un ragazzo diverso dagli altri, avevo abbandonato Jake e il resto per potermi inserire nel suo gruppo. Quel giorno, nel suo garage mi disse che dovevo provare una cosa che non mi avrebbe fatto del male anzi, mi avrebbe migliorato anche la vista che sarei stato più in forze e rapido nel fare le cose, a mio padre serviva un foglio così. Sniffai la prima dose di polvere, e poi avvenne una seconda una terza e così ormai divenne un'abitudine. Damon mi disse che se volevo assumere quella roba stupefacente dovevo aiutarlo a venderla e cosi feci. Una sera, avevamo bevuto troppo e così senza che me rendessi conto ci trovammo a casa mia, mio padre non c'era come al solito in camera dormivano soltanto mia madre e Kristie. Alcuni dei ragazzi cominciarono a fare gli idioti ruppero un po' di cose, poi non so come ma il gas era stato rimasto aperto e uno di loro spaccò una bottiglia e l'alcol finì per accendere il fuoco, tentai di spegnerlo ma quando le fiamme cominciarono a farsi più alte quelli che reputavo miei amici scapparono via. Le fiamme cominciarono a disperarsi per tutta la casa mia sorella uscì di corsa dalla sua camera le fiamme stavamo raggiungendo il piano di sopra.. mia madre non fece in tempo a scendere"- restai in silenzio per tutta la durata del suo monologo, ero sconcertata avevo smesso di tremare immaginandomi le alte fiamme che contornavano ormai quell'abitazione , istintivamente misi una mano al petto provando a percepire il suo immenso dolore.
-"Mio padre e mia sorella per anni mi hanno ritenuto colpevole dell'incidente, lo ero in realtà. Mi hanno estraniato dalla loro famiglia, dalla mia, sono rimasto solo fino a quando non ho incontrato te.."- fece un'altra pausa, nella quale i suoi occhi si schiantarono nei miei, sussultai.
-"John e mia sorella si trasferirono in un altra casa ma io no, io volevo restare lì pagai di tasca mia i lavori che vennero fatti in seguito.. tutto doveva restare esattamente uguale, come se non fosse mai accaduto nulla"- qualche altro secondo per poter riprendere fiato. Restai immobile, attenendo che il suo fiume di parole mi travolgesse in pieno, come stava già accanendo.
-"Mio padre non è stato un santo, subito dopo la morta di mia madre aveva iniziato a frequentare altre donne le stesse che cercavo di sottrargli, mi cacciò dall'azienda perché mi sorprese a scopare nel suo ufficio con la sua segretaria personale."- sorrise di sghembo guardando verso il basso.
-"Da quando mia madre è morta ho sempre avuto un pessimo rapporto con le donne.. ma con te, con te non capisco perché e così diverso.. io.."- non gli lanciai finire le frase che istintivamente mi agguantai sulla sua figura avvolgendo le braccia attorno al suo collo. Sprofondai in un pianto acuto, con tanto di singhiozzi interminabili. Gli massaggia la nuca e quei corti capelli corvini, ad avvolgermi la schiena furono poi le sue di braccia, forti e muscolose. Chiusi gli occhi respirando il forte profumo del suo dopobarba. Non mi importò cosa potesse pensare di me o del fatto che presi a stringerlo fino a rompergli le ossa, avrei voluto farlo sprofondare dentro di me, proprio come due anime che si uniscono in un solo corpo. Egli inserì la mano sotto i capelli umidi e prese a massaggiarmi la nuca spingendomi sempre di più contro il suo addome. I seni erano praticamente spiaccicati al suo petto, il suo corpo era caldo nonostante il mio fosse completamente ghiacciato e infreddolito. Eravamo un casino, un enorme ma meraviglioso casino con due odiosi passati dai quali non riuscivamo a scappare. Quando ci staccammo ne soffrì la perdita, era notte fonda e per fortuna non aveva più piovuto. Continuai a battere i denti dal freddo, e a stringermi nelle spalle sempre di più. Egli rapidamente con un solo gesto si privò del suo giaccone e me lo pose sulle spalle, mi strinsi nel caldo e pesante tessuto, arrossì al pensiero che il suo odore dopo mi si impregnasse addosso.
-"Andiamo a casa adesso"-

IL CORAGGIO DI RESTARE (In corso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora