Nina Steffens è una giovane ragazza di 23 anni che vive a Manhattan assieme a sua madre, dipendente dall'alcol, e lavora in un asilo assieme alla sua collega Kim. Il suo sogno nel cassetto è di diventare una famosa stilista di moda. Dopo aver rotto...
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"Ma lascia almeno ch'io lastrichi con un'ultima tenerezza il tuo passo che s'allontana." (Vladimir Majakovskij)
-"Sto già iniziando a pentirmene, non so neanche perché ho accettato di venire.."- sbuffai pesantemente, guardando la neve bianca e spessa al di là del finestrino del suv di Timor. -"Vedila così: io so sciare, tu per niente, mi divertirò a prenderti in giro"- sollevai lo sguardo al cielo, per poi tornare a concentrarmi sul panorama invernale di Hudson Valley. John e Kate invece, avevano deciso di viaggiare in un'altra auto in quel momento davanti alla nostra, ne fui contenta almeno mi sarei goduta il viaggio in tranquillità. -"Potresti evitare di fumare in luoghi chiusi? Lo sai che non lo sopporto"- sbottai, a Derek divertiva molto quel mio atteggiamento isterico e preoccupato probabilmente per un non niente, ma onestamente John assieme a mia madre non mi davano una buona impressione ne tanto meno avevo voglia di passare il weekend con loro, John però aveva insistito mia madre pure e mi aveva perfino telefonato due volte. -"Timor ferma la macchina"- guardai allibita il ragazzo, mancavano ancora due kilometri alla tenuta Valley, cosa aveva intenzione di fare? -"Certo signore"- l'autista obbedì, fermando l'auto proprio sulla carreggiata recintata e ricoperta di neve fredda. Il ragazzo scese, eseguì i suoi stessi movimenti. -"Perché ci siamo fermati?"- -"Sei insopportabile, hai bisogno di smaltire la rabbia quindi faremo questi due kilometri a piedi intesi?"- picchiettò il finestrino di Timor incitandogli di proseguire, restai scioccata ma anche sollevata dal non dover più star ferma e battere di continuo le mani sul tessuto dei miei jeans scuri. L'auto si allontanò velocemente, per fortuna il sole splendeva forte quella mattina. -"Ma.. sei impazzito per caso?"- storsi il naso, incorniciando le braccia al petto più innervosita di prima. -"Non fare storie, andiamo"- cominciò a scaldarsi a strofinarsi le mani e ad iniziare una piccola corsetta allontanandosi di un paio di metri. -"Steffens, se non ti muovi arriveremo domani"- sospirai, tenni lo guardo fisso al cielo contemplando la libertà delle rondini e la leggerezza delle nuvole soffici. -"Cristo.. arrivo!!"- imprecai, correndo verso la sua figura. Corremmo per quasi un chilometro e mezzo, Derek si era perfino liberato della sciarpa e dai guanti, poi però il resto del tragitto lo passammo a camminare a passo svelto, urtandoci e a prenderci in giro a vicenda. Arrivammo esattamente per l'ora di pranzo, al nostro rientro ancora affannati e sorridenti John si presentò all'ingresso estremamente preoccupato e agitato. -"Ehi ragazzi, ma siete pazzi? Fa un freddo cane la fuori, ci stavamo preoccupando"- mia madre raggiunse il suo fianco mi irrigidì sul posto, per la prima volta i suoi occhi risultarono abbastanza sobri, aveva un abito verde scuro e delle calze spesse. -"Hai ragione, mi dispiace ma l'auto mi portava la nausea così Derek ha avuto l'idea di continuare a piedi"- dopo essermi privata del cappotto e del resto, mi presi qualche minuto per osservare per bene la dimora che mi avrebbe ospitato di lì a due giorni. Completamente in stile rustico e mobili antichi, divani e poltrone rosso scuro e un camino enorme con un fuoco già acceso e pronto a scaldare i nostri corpi. -"Ora stai meglio?"- Kate provò ad avvicinarsi, mi carezzò delicatamente il braccio. -"Si, mamma"- tentai a sorriderle nonostante non ne avessi la minima voglia. -"Allora, cosa ne pensi?"- -"È.. bellissima, sul serio"- sorrisi invece a John, che allegramente si sfregava le mani. -"Derek ti mostrerà la tenuta e, i nostri cavalli"- -"Ci sono anche i cavalli?"- mi voltai verso il viso del ragazzo un po' imbarazzato e impacciato. -"Si, ma credo sia meglio andarci domamattina"- sgarbatamente, oltrepassò tutti noi e con le valige salí la gradinata in legno massiccio. -"Ehm.. be' di la c'è Lusie la governate che ci servirà il pranzo"- -"D'accordo, grazie John"- -"Sono contenta che tu sia qui tesoro"- delle finite lacrime furono in procinto di scorrerle sul viso, mi carezzò nuovamente il braccio ma cercai di restarne impassibile. -"Anche io mamma"- mentí, mia madre e il suo nuovo compagno si avviarono verso il salotto per accomodarsi sul divano. Io mi preoccupai invece di raggiungere Derek al piano di sopra. La casa assomigliava un po' al cottage di Portland, un ambiente sobrio e accogliente in stile antico con preziosi candelabri e oggetti d'epoca, il corridoio era aveva una moquette verde scuro e con dei leggeri intarsi dorati, la porta infondo aperta mi incuriosì così mi ci diressi a passo svelto. Bussai allo stipite. -"Entra, non c'è bisogno che bussi"- la sua profonda voce rimbombò fra le mura. La sua camerata personale comprendeva un letto da una piazza e mezza con coperte bianche e trapunte marroni, tappeti spessi e un armadio a due ante accanto al letto. La finestra dava l'intera veduta alle piste da sci e al fumo dei camini della cittadella di Hudson. -"E così ti piacciono anche i cavalli?"- ironica mi posizionai sul bordo del letto mentre egli fu intento a svaligiare i bagagli. -"Non proprio, ma a Lillian piacevano molto"- quel nome sulle sue labbra suonò con una nota dolente e amara che quasi si precipitò nel mio cuore come una lama tagliante. Sapevo quanto egli avesse sofferto per sua madre, quanto se ne sentisse responsabile ma soprattutto seccato dal fatto che la sua famiglia lo riteneva continuamente colpevole di quell'incendio. -"Perché.. la chiami Lillian?"- teneramente, osservai alcune cornici sul comò, che ritraevano la sua famiglia. Derek non era di queste abitudini , dunque pensai che probabilmente non veniva in quella tenuta da parecchio tempo. -"Non lo so, fa meno male forse"- la voce tremante mi fece avvertire la necessità di doverlo racchiudere in un caldo abbraccio amichevole, ma il suo sguardo duro e distratto mi fece fare due passi indietro. -"Da quanto tempo non vieni qui?"- continuai con il mio forse, fuori luogo, interrogatorio ma quel ragazzo non parlava mai della sua famiglia ne di sua madre, o dei suoi sentimenti per lei. Conoscere quel lato, m'avrebbe fatta pericolosamente avvicinare di più. -"Da quando avevo quindici anni più o meno. Dopo aver conosciuto il mio giro di amici odiavo venire qui, preferivo di gran lunga stare con loro in qualche festoso bar e a fumare erba probabilmente.."- rise sarcasticamente, forse si stava pentendo di quel suo atteggiamento con sua madre, specialmente quando risultò essere troppo tardi per riparare a quel vaso rotto. Stetti per pronunciare qualcosa, ma la sua voce sovrastò la mia con la palese intenzione di cambiare immediatamente discorso. -"Sistemo le mie cose qui, ma dormiamo nella tua camera ok?"- corrucciai lo sguardo, seduta ancora a gambe incrociate sul bordo del letto. -"Qui non va bene?"- -"No.. troppi ricordi"- si sforzò di sorridermi, avrei voluto che non lo facesse. -"Andiamo, credo che la tua stanza sia quella affianco, infondo è l'unica per gli ospiti che abbiamo"- annuì, mentre egli fingendosi un gentleman recuperò la mia valigia e la trascinò con se fino alla camerata affianco. Apparentemente sembrò la stessa di quella di Derek, se non per le tendine bianche e il tappeto del medesimo colore, trapunte grigie e perfino un comodino con affianco tanto di cabina armadio. Adagiò i bagagli sul materasso e aprí la cerniera. -"Mi aiuti?"- m'affiancai alla sua figura, con uno sguardo consapevole ed una terribile voglia di voler alleviare quel dolore e quell'oscurità nel suo cuore. Probabilmente eravamo legati da un filo, così sottile ma resistente da scambiarci soltanto un fievole sguardo per riuscire a capirci. Ridacchiò improvvisamente, forse aveva intuito quel mio disperato desiderio di volerlo consolare seppur fosse una di quelle persone che di consolazione non me volevano neanche sentir parlarne, qualcosa in me mi diceva che dovevo farlo. Non ci furono molti scambi di parole, semplicemente mi cinse le spalle con un braccio e mi baciò teneramente la tempia. In quell'istante pensai ai tempi or dietro quando lo osservavo nelle sue abili mosse da adulatore, la mora a destra e la bionda alla sinistra nei campi da tennis, ad Alice e alla notte che avevano passato praticamente sotto il mio naso. Alle dicerie di suo padre, alla moglie del direttore creativo di Tom Ford, quasi feci fatica ormai ad immaginarlo come una volta, nonostante esistessero ancora alcuni lati lasciati inermi, con me Derek cercava di essere migliore di quello che pensava di essere realmente cercava di assomigliare forse quanto più possibile all'uomo della mia vita. La persona che avevo intenzione di amare purtroppo non si avvicinava neanche un briciolo alla personalità di Derek, ero stanca dei ragazzacci dei loro jeans strappati e dei modi arroganti e prepotenti di fare, delle occhiate sensuali e i doppi sensi, volevo qualcuno diverso che fosse capace di mostrarmi un mondo differente da quello in cui avevo sempre vissuto. Ma d'altronde al cuore non si comanda, non decidiamo chi amare o chi riesca a trafiggerti l'anima, tutto accade quanto meno te lo aspetti. Odiavo il fatto di percepire quella continua necessità di avere quel ragazzo al mio fianco, un dura battaglia fra ciò che avrei dovuto volere e ciò che realmente volevo, ciò che non riuscivo proprio a capire è perché Derek risultasse per me un continuo punto di riferimento, la nostra non era un'amicizia come le altre, era speciale. -"Certo, non ti ci abituare però"- ridacchiammo, ed insieme procedemmo a posare nei rispettivi cassetti i miei indumenti.