Capitolo 1.

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L'unico modo per andare avanti è andare avanti. Dire 'lo posso fare' anche quando sai che non puoi.

(Stephen King)

Dicembre 2018.

Se c'era una cosa che mi riusciva più difficile che bere quattro bicchieri di Cosmopolitan e non ubriacarmi, era quella di guidare per quindici ore senza uscire fuori di testa e sbattere la testa contro il volante per lo sfinimento.

Chiunque mi conoscesse bene, sapeva che odiavo guidare. Lo detestavo.

Avevo preso la patente per pura necessità, e perché adoravo l'indipendenza più di quanto detestassi guidare. Ero stata bocciata quattro volte all'esame, ma alla fine ce l'avevo fatta.

Mio padre aveva speso qualche soldino in più a causa dei primi danni che avevo causato alla sua Jeep secolare, ma dopo lo shock iniziale, la rabbia gli era passata, e mi aveva comprato un'auto di seconda mano che un suo vecchio compagno di scuola stava cercando di vendere a tutti i costi. Inutile dire che dopo averla distrutta, i miei persero la speranza, e non mi fecero più mettere alla guida di una macchina.
Fino a quando non andai a vivere a Chicago, e fui costretta a riprendere in mano la situazione e comportarmi come l'adulta che dovevo essere. Si trattava pur sempre di brevi tragitti, quelli che dovevo fare quotidianamente, e fino ad allora, non avevo mai fatto dei danni, fortunatamente. Non a persone, perlomeno.

Questo fino a quando Roy, il mio fidanzato storico, il padre di mia figlia, aveva deciso che la vita da uomo di famiglia, da padre, fosse troppo pesante da sopportare, e che i suoi obblighi in quanto figlio di un noto politico erano più importanti di una compagna e della propria figlia, e ci aveva abbandonate con un dannato biglietto lasciato sul tavolo della cucina, e un dannato fiore per scusarsi.

Così, quasi tre mesi dopo, avevo radunato le mie cose e quelle di Noely, mia figlia, e mi ero messa in viaggio verso la piccola cittadina che mi aveva vista crescere, e che avevo sempre portato dentro: Stowe.

Il Vermont non era male come tutti volevano far credere. E non era composto unicamente da riserve per lo sciroppo d'acero e neve.
Era, a detta mia, un piccolo paradiso terrestre circondato da montagne e luoghi che non si trovavano ovunque, e dove la tranquillità regnava sovrana. Esattamente ciò di cui avevo bisogno.

Mi mancava osservare i paesaggi colorati dell'autunno, e le montagne innevate in estate. I campi di fiori in primavera, e le gite al lago in estate. A Chicago non era solito trovare fattorie dove si poteva gustare il latte fresco, o negozietti autonomi con cimeli preziosi e proprietari bizzarri ma sempre con storie interessanti da raccontare.

Ma per sfortuna, non avevo dimenticato il motivo per cui ero letteralmente scappata da Stowe insieme a Roy e alla piccola Noely, che all'epoca aveva appena un anno.

Ma come si vuol dire, il passato è passato. Pensarci avrebbe solo peggiorato la situazione, che già non era delle migliori.

«Mammaaa! Ho fame.»

Guardai Noely dallo specchietto retrovisore, e lei mi fece la linguaccia. Mancavano pochi giorni, e avrebbe compiuto quattro anni, anche se mentalmente, sembrava molto più grande della sua età.

«Nello zainetto c'è un toast al formaggio. È tutto tuo.»

Si allungò dal seggiolino, senza slegarsi, e fece come le avevo detto.

«Ma quanto manca, mamma? Mi sono stancata di stare seduta qua dietro a sfogliare libri e giocare. E le canzoncine che mi fai ascoltare sono sempre le stesse.» sbuffò, strofinandosi gli occhi.

Sospirai. «Lo so, tesoro. Hai ragione. Ti prometto che ceneremo a casa della nonna, il che vuol dire che non manca molto. Giuro. Tra poco leggeremo Stowe su un bel cartello bianco e rosso.»

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