Capitolo 3.

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"Tutte le strade che conducono al desiderio del cuore sono lunghe."

(Joseph Conrad)


«È un gran bel casino.» farfugliai, girando attorno all'auto che il meccanico stava controllando meticolosamente.

«Niente che non si possa riparare.» mi sorrise Phil, l'amico meccanico di Erik. Era sulla quarantina, con i capelli sale e pepe e qualche dente in meno. «Solo, la prossima volta sta' attenta ai segnali che ti manda la macchina, dolcezza. I tuoi freni erano ridotti davvero male, sarebbe potuta succedere una catastrofe.»

Si gettò in un argomento complicato. Capì solo le parole pastiglie, dischi, olio e qualche altra strana parola. Ma ero con la testa da un'altra parte. O meglio, dall'altra parte dell'officina, dove Erik e mio padre stavano parlando.

Andai da loro, e quando finalmente mi degnarono della loro attenzione, mio padre si toccò i baffi, chiaro segno che era nervoso, e diede una pacca amichevole sulla spalla di Erik.

«Florencia, Erik è stato così gentile da voler evitare di mettere di mezzo questioni burocratiche, il che vuol dire niente assicurazione. I danni non sono gravi per fortuna, e la tua macchina sarà riparata in poco tempo. In quanto al Suv di Erik...»

Già, non solo avevo tamponato qualcuno, e quel qualcuno era Erik Maxwell. Ma inoltre, il suddetto dove proprio guidare un maledetto, costoso Suv.

Dio, ti prego, fa che non mi chiedano dieci mila dollari, pregai silenziosamente, chiudendo gli occhi.

«Ha deciso che provvederà lui. Noi rimborseremo solo la mano d'opera.» disse infine mio padre.

Li riaprii di scatto. «Che cosa?»

Erik mi guardò male, e notai che anche mio padre, in quel momento, non era dell'umore adatto.

«Non mi guardate in quel modo! Non è mica colpa mia se la macchina non ha frenato.»

«E non è mica colpa mia se tu mentre guidi non avverti che i tuoi freni gridano come un bambino appena nato.» ribatté Erik.

Grugnii, e mi venne voglia di assestargli un pugno in pieno viso. Non ricordavo che fosse così fastidioso, insopportabile e...

«Bando alle ciance, figlioli. Vado a mettermi d'accordo con Phil. E Florencia...» mi guardò mio padre con sguardo supplicante, «non fare altri danni, e lascia stare il povero Erik.»

Si allontanò, e vidi il povero Erik sogghignare.

«Sì, il povero Erik.» bofonchiai, guardandolo male. Uscii dall'officina per prendere un po' d'aria ed evitare di commettere davvero qualche altro danno.

«Sai, dovresti essermi grata.» si mise di lato a me, accendendosi una sigaretta.

E da quando lui fumava?

«Avrei potuto mettere di mezzo l'assicurazione, e farti pagare una bella somma.» continuò.

Alzai un sopracciglio, e risi sentendo quanto diamine fosse sfacciato.

«Ma non l'ho fatto,» proseguì, «perché grazie al cielo non ho alcun bisogno di ricorrere a queste stronzate. E di soldi ne ho già abbastanza.»

«Ma quanto siamo modesti.» risposi sarcastica.

«È la verità.»

«Beh, a me non importa. Non ho alcun bisogno della tua elemosina. Metti pure di mezzo l'assicurazione o chi diavolo vuoi, e pagherò la mia parte come è giusto che sia.»

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