Capitolo 2.

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Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili. 

(Lucio Anneo Seneca)


Era passata una settimana, e finalmente sia io che Noely stavamo iniziando ad ambientarci in quella che era diventata la nostra nuova vita.
La mattina la trascorrevamo io e lei da sole, perché entrambi i miei genitori lavoravano. Poi, il pomeriggio, aiutavamo mia madre con gli addobbi di Natale, e spesso i miei genitori portavano Noely a fare un giro per la città, per fargliela conoscere e farle vedere dove avrebbe vissuto da quel momento in poi.

Io non avevo avuto il coraggio di uscire di casa, per il momento. Temevo di poter incontrare qualcuno. Qualcuno che mi avrebbe ricordato cosa avevo lasciato, lì. O qualcuno che mi ricordasse i miei fallimenti.

C'erano diverse persone del mio passato, a Stowe. E rivedere alcune di esse, probabilmente avrebbe portato a galla ricordi dolorosi.

Capitava spesso (un po' troppo per la mia saluta mentale), che Noely mi chiedesse di suo padre. Di solito i miei cercavano di cambiare subito argomento, quando lei lo nominava. Ma quando eravamo da sole, non potevo nascondermi. Faceva male ad entrambe, e a me mancava la forza per dire ad una bambina di quattro anni che il suo papà aveva preferito tagliare la corda e abbandonarci per un futuro più stabile e una famiglia dove noi non eravamo incluse. Così, ogni giorno, inventavo qualcosa di nuovo. Quel giorno, avevo già pronta una storia diversa.

«Amore, il tuo papà ha un lavoro che lo tiene molto impegnato. È un lavoro importante, sai? Vedrai che appena avrà tempo si farà vivo. Ma poi, a te cosa importa? Il nonno sa giocare meglio di papà a nascondino. E si diverte di più.» le feci l'occhiolino.

Mio padre annuì, seduto sulla sua poltrona, con gli occhiali da vista calati sul naso, mentre cercava di far funzionare il nuovo giocattolo che le avevano comprato quel pomeriggio lui e mia madre.

«Tuo fratello sarà qui a momenti!» esclamò mia madre spuntando dalla cucina con un canovaccio in mano. «Sapessi quanto è cresciuto il piccolo Harry.» sorrise, come sempre quando parlava di uno dei suoi nipoti. Harry era il primo nipote. «E le gemelline, Chloe e Daphne...sono adorabili. Due angioletti. Fanno tutto insieme, dicono tutto insieme. È come se fossero due in una.»

Quei racconti mi scaldarono il cuore. Non vedevo l'ora di poter riabbracciare mio fratello e i miei nipotini. Ci mantenevamo sempre in contatto anche con loro, ma la tecnologia non avrebbe mai potuto sostituire uno degli abbracci del mio fratellone, di sua moglie e dei miei nipotini che adoravo con tutta me stessa.

Erano le sette, quando finalmente potei abbracciare dopo tanto tempo mio fratello Thiago, sua moglie Gwen, Harry, che aveva ormai otto anni, e le gemelline, di appena due anni.

Thiago non era cambiato affatto. Era il solito belloccio di sempre con l'aria da ragazzo di campagna, semplice e sempre estremamente gentile. Aveva otto anni in più di me, ed era stato sempre la persona che aveva preso le mie difese in qualunque situazione. Gwen, mia cognata praticamente da una vita, era una persona deliziosa. Dolce come pochi, sincera in qualsiasi circostanza e adorabile. Era impossibile non volerle bene, e faceva parte della mia famiglia praticamente da sempre. Lei e Thiago si erano messi insieme quando io avevo otto anni.

Quella sera mangiammo nel salotto, nel tavolo che solitamente era riservato per le feste o le occasioni importanti. E dentro di me, sentivo che quella sera era un'occasione importante. Finalmente, eravamo di nuovo tutti insieme. Quella volta in modo definitivo. Non sarei più scappata.

Mi accorsi che tutto quello mi era mancato terribilmente. I miei genitori che battibeccavano sulla disposizione delle posate, le urla dei miei nipoti, la voce calda e tranquillizzante di Thiago e la risata contagiosa di Gwen.

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