Capitolo 11.

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"La strada per la nostra destinazione non è sempre diritta. Prendiamo il percorso sbagliato, ci perdiamo, ci voltiamo indietro. Forse non importa su quale strada ci imbarchiamo. Forse quello che conta è che ci si imbarchi."

(Barbara Hall)

«Ma dove cavolo eri finita?! Ti abbiamo cercata ovunque! E hai il telefono spento. Di nuovo.» sottolineò con disappunto la mia amica.

Janel comparve al mio fianco mentre ero nella sala principale, seduta al mio tavolo elegante e sofisticato, in attesa che qualcuno mi prendesse in considerazione. O che mi prendesse e mi facesse scappare da lì.

Dopo il rigenerante colloquio con Erik, la mia già poca voglia di essere lì e vedere il suo muso presuntuoso era calata a dismisura.

«L'ho dimenticato a casa.» bofonchiai, giocherellando con il bicchiere in cristallo di fronte a me.

Lei si sedette di lato a me, avvolta nella sua stola argentata. «Che succede? Hai una faccia sconvolta. Hai visto un fantasma?» si guardò in torno.

Peggio. Ho visto tuo fratello, avrei voluto risponderle.

«Hai visto qualche parente della famiglia Addams?» chiese, guardinga.

Famiglia Addams = famiglia di Roy, solo, in versione non simpatica e affatto ironica.

«No, è lo stress di tutta la giornata.» risi. «Oggi con la Lavone abbiamo dovuto finire dei particolari di un vestito molto complicato, e adesso la stanchezza si sta facendo sentire. E poi, aver visto Noely così preoccupata per la mia assenza mi ha distrutta. Vive con la paura che anche io me ne vada, e in qualche modo non posso perdonarmelo.»

Lei mi sorrise dolcemente. «È naturale, tesoro. Dopo quello che sta passando, vive con la costante paura che chi la ama, prima o poi l'abbandona. E spetta a te dimostrarle che non è così, che non tutti da un giorno all'altro escono dalla vita dei propri figli. O in generale, dalla vita di chi si vuole bene.» fece una pausa, guardando un punto alle mie spalle. «Scusami un attimo, devo andare a salutare il collega di Flyn. Torno subito. Lavone sarà qui a momenti, stava parlando con la nuora.»

Per ammazzare il tempo, mi misi a leggere il menù sul tavolo, rendendomi conto che quella serata era davvero qualcosa di serio, a cui poche persone prestavano la giusta attenzione.

I diritti delle donne ancora nel ventunesimo secolo erano motivi di lotta, di battaglie e coraggio. Urla di chi voleva far sentire la propria voce. Lì dentro, tristemente, mi sembrò più importante sfoggiare un abito di alta sartoria piuttosto che riflettere sull'importante delle donazioni e di ciò che portava a dover arrivare ad una cena di beneficenza, per qualcosa che in realtà doveva essere già scontato: il rispetto.

Sentii qualcuno avvicinarsi alle mie spalle, sicuramente Janel che aveva dimenticato qualcosa.

Quando mi voltai, però, vidi un uomo bellissimo, che non appena notò che lo stavo guardando, mi sorrise educatamente.

«Gavin Stone. Piacere.» mi porse la mano, guardandomi intensamente.

Gli sorrisi di rimando, presentandomi.

«Un nome particolare.» constatò, sedendosi al mio fianco. Si portò una mano sotto il mento, e notai che non c'era la fede. «Non l'ho mai sentito. È spagnolo?» chiese, passandosi una mano tra i folti capelli scuri.

Gavin doveva avere sulla trentina. Era alto, e i suoi occhi azzurri penetranti mi fissavano in attesa di una risposta che generalmente avrei dato con più sveltezza, se non fosse stato che ero troppo presa ad osservarlo.

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