Capitolo 6.

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"Il meglio di un nuovo inizio, è che non sappiamo mai come andrà a finire."(Anonimo)

Noely era nata il ventidue dicembre, a mezzanotte e cinquanta minuti. Era un dolce fagottino di appena tre chili, e aveva la testa ricoperta di capelli scuri. Aveva il nasino all'insù, le manine strette in un pugno e strillava da far paura. La ricorderò per sempre avvolta nella sua copertina rosa e bianca che io e la mamma avevamo comprato da Meg's, il negozio per l'infanzia più grande di Stowe.

Avevo passato più di quindici ore di travaglio, prima di poterla vedere.

E ne era valsa la pena.

Ogni singolo minuto di dolore.

Mia madre era sempre rimasta al mio fianco, a stringermi la mano, e a spronarmi a non mollare.

Mentre Roy era fuori, in sala d'attesa, insieme a mio padre, Thiago e Gwen.

Quella notte non l'avrei dimenticata per il resto della mia vita.

Quella notte, in quella sala parto, qualcosa dentro di me si era rotto per sempre, ma mi aveva donato una parte fondamentale di me, di cui non avrei mai più potuto fare a meno: mia figlia.

La mattina del compleanno di Noely, la trascorremmo ad arredare e ridipingere la camera che un tempo era stata di Thiago. Mio padre aveva comprato la vernice fresca, mentre io e la mamma, non appena eravamo arrivate a Stowe, avevamo prenotato in un negozio di arredamento una bellissima cameretta per Noely. Ancora non sapevamo quanto sarebbe durata la nostra permanenza a casa dei miei, ma loro volevano farci sentire a casa. Soprattutto a Noely. Se anche poi avessimo preso casa da sole, lì avrebbe sempre avuto uno spazio tutto suo.

Io e Noely mettemmo la tuta per dipingere, e ci scattammo una foto. Volevo che quel giorno non lo scordasse mai. Il nostro primo compleanno da sole, ma insieme.

Per ricordarmi che in qualche modo, dopo il dolore, si va comunque avanti. Forse arrancando un po', barcollando, e tentennando un bel po'. Ma si andava comunque avanti.

La giornata era iniziata con la torta che io e la mamma le avevamo preparato fino a mezzanotte, fatta interamente con cioccolato e vaniglia, come piaceva a lei. Mio padre le aveva suonato tanti auguri a letto, con la chitarra, e la mamma le aveva portato uno dei regali che non poteva più aspettare di darle: la bambola di Ariel, de La Sirenetta.

Noely si era messa a gridare dalla felicità, e mi aveva abbracciata un centinaio di volte, con occhi lucidi. Era felice, e Roy, per fortuna, non era tra i suoi pensieri.

«Mamma, posso iniziare io?» mi risvegliò dai miei pensieri, guardandomi con aria complice.

«Certo, tesoro.» le passai il pennello gigante, che quasi le cadde dalle mani. «Sei sicura di volerla fare tutta verde acqua? Fino a pochi giorni fa il tuo colore preferito era il viola.»

«Ma mamma!» esclamò, guardandomi scocciata, portandosi le mani sui fianchi. «Se voglio fingere di essere sott'acqua come Ariel, devo avere tutta la camera verde acqua! Altrimenti in che mare sarei?»

Mia madre ridacchiò, e io annuii. «Va bene, scusa! Allora che aspettiamo? Mettiamoci a lavoro!»

Ci impiegammo quasi tre ore per terminare tutto, ma il risultato fu grandioso. Avevamo lasciato un'intera parete da far dipingere a Noely, mentre del resto ci eravamo occupate io e mia madre. Avevamo dato il colore con delle spugnature, e l'effetto ricreato sembrava davvero quello che si vedeva sott'acqua.

Aggiunsi i brillantini alle pareti, e al soffitto attaccai delle costellazioni adesive che si illuminavano al buio.

«Che gran bel lavoro, ragazze!» esclamò mio fratello alle nostre spalle, cogliendoci di sorpresa. «Prevedo già un futuro prosperoso. Qui c'è del talento, eh Noely? Che dici, diamo un regalo anche alla mamma e alla nonna?»

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