Capitolo 13.

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"Se scegli di non decidere, hai già fatto una scelta."

(Rush, Freewill)

Dopo esserci ingozzati, nel senso vero della parola, di hamburger, patatine fritte e coca cola, e ci potemmo davvero definire sazi, ci dirigemmo in macchina per andare a prendere Noely e Lexi.

Trascorrere quelle due ore con Erik si era rivelato piacevolmente sorprendente. Con lui mi sentivo me stessa, ed era una cosa che purtroppo con Roy non mi era mai capitata. Con Erik potevo sbrodolarmi e sporcarmi, mentre lui avrebbe scattato foto imbarazzanti della cosa, per poi pulirmi con un fazzoletto con fare amorevole, proprio come era accaduto quel pomeriggio. Mentre per Roy sarei stata solo fonte di imbarazzo, o troppo immatura.

Il Blue Donkey non era un posto chic o alla moda. Anzi, era un posto molto alla mano, con parquet consumato, pareti color senape e infissi in legno che conferivano un aspetto quasi da pub irlandese. L'esatto opposto di ciò che avrebbe frequentato Roy.

Il mio ex era dannatamente ricco. Suo padre, oltre ad essere un politico, era anche il dirigente di una nota impresa di costruzioni conosciuta in tutto il Vermont, mentre sua madre era un avvocato spietato e poco vicino all'essere umano. La freddezza della signora Shelley ancora mi faceva gelare il sangue.

A causa di ciò, Roy era cresciuto consapevole che avrebbe potuto avere qualsiasi cosa avesse voluto. Compresa me.

«Non credevo davvero che ti saresti mangiata quegli anelli di cipolla, accidenti. Non mi capita spesso di vedere ragazze che ingurgitano tranquillamente cibi puzzolenti di loro spontanea volontà. Davanti ad un bell'uomo, soprattutto.»

Risi. «Farò finta di non aver sentito la parte del tuo monologo riguardo la mia femminilità. Spero che tu non ti senta traumatizzato, adesso. Gli uomini di bell'aspetto sono solitamente facilmente impressionabili, sai.»

«Dimentichi chi è mia sorella, forse.» alzò gli occhi al cielo.

«Non potrei mai dimenticarlo.» sghignazzai.

Janel una volta era la classica ragazza che veniva definita maschiaccio. Portava sempre i capelli corti, quasi fin sotto le orecchie. Occhiali tondi, apparecchio ai denti, calzettoni alti, pantaloncini di una qualunque squadra di basket e maglie logore di suo padre o di suo zio Stevie. Ma crescendo era diventata ancora più bella (non che prima non lo fosse), ed era diventata la classica tipa un po' stramba, come amava definirla suo fratello, che sapeva come attirare gli sguardi su di lei. E nonostante ci passassimo quasi cinque anni, e spesso avevamo pensieri completamente opposti, era impossibile non volerle bene. Era una persona con un cuore immenso, forse un po' pettegola, ma con delle buone intenzioni. La differenza d'età non mi era mai pesata, quando avevamo iniziato a stringere amicizia. Io avevo appena iniziato le superiori, mentre lei le aveva finite. Spesso lei ed Erik frequentavano la stessa comitiva di amici, di cui io facevo parte, e da una cosa nasce un'altra, eravamo diventate buone amiche. Ottime, direi. Dopo un po', scoprii che era la sorella maggiore di Erik.

«Devo davvero farti i miei complimenti. Non ho mai visto una ragazza mangiare con così tanto appetito. Si vede che sei a tuo agio nel tuo corpo. Bè, fossi in te lo sarei anche io, non è da mettere in dubbio.»

Mi sentii arrossire. Era un complimento o cosa?

«Sei arrossita!» mi punzecchiò, cercando un parcheggio nei pressi del parco. «Florencia Crownover che arrossisce è decisamente un fatto di cronaca interessante. Più della storia del Principe e di Cenerentola del Country Club. Quasi quasi vado a vendere questo scoop e acquisto i diritti di...»

Gli diedi un pizzicotto senza fargli male, e scoppiò a ridere.

Il suo sorriso era davvero come l'arcobaleno nel bel mezzo della tempesta. Uno stupore, una luce alla fine del tunnel.

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