Capitolo 25.

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*Innanzitutto, buona lettura! E mi raccomando, leggete l'angolo autrice alla fine del capitolo!*

È speciale chi ti sa trovare dove gli altri non ti vengono a cercare, chi riesce a vedere in noi quello che non mostriamo a nessuno. (Antonio Cuomo)

«È proprio vero quello che si dice, allora.» disse.

Il vento gli scompigliava i capelli, mentre parcheggiava su un prato deserto del Smugglers Notch State Park in totale tranquillità. Con un calma pacata, le mani rilassante, e il profilo disteso, Erik era più bello che mai.

«Cosa si dice?»

Sorrise. «Che le cose che capitano per caso, sono sempre le più belle. E che poi, in realtà, nulla accade mai per caso. Ed è questo a renderle davvero speciali.»

«Ah, sì...certo.» risi. «Non potrei non essere più d'accordo. Incontrarla per caso in quella caffetteria è stato davvero illuminante, signor Erik.»

Spense la macchina, e rimase per un momento con le braccia tese verso il volante. Poi un altro sorriso gli illuminò il viso, e si voltò verso di me.

Non glielo avrei mai detto apertamente, ma quel sorriso suscitava qualcosa dentro di me, come un fremito, una strana sensazione, che si irradiava fino alla bocca dello stomaco, e che mi impediva di respirare normalmente, tanto era bello.

«Anche per me è stato illuminante conoscerla, signorina Crownover.»

«Ehi, ma io non le ho mai detto il mio...»

Le sue labbra sulle mie interruppero il resto della frase. Mi diede uno, due, tre baci a stampo, molto lentamente.

«...cognome.» mormorai, quando si fu allontanato.

«Ciao.» sussurrò, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.

«Ciao.»

«Un bel primo incontro. Normale. Senza auto rotte, per ora. E senza ore trascorse dal meccanico a cercare di farti capire che dovresti avere più cura della tua macchina. Direi che stiamo facendo degli enormi passi avanti.»

«Direi di sì, discorso della macchina a parte.» non potei evitare di fissargli le labbra.

Come se mi avesse letto nella mente, passò un dito sulle mie, e scosse la testa. «Credi che prima che torni a darti del lei, posso averne ancora? Solo un po'.»

Feci spallucce. «Se proprio deve.»

Bisbigliò «Piccola stronza.» e poi finalmente mi baciò.

Trascorremmo il pomeriggio in uno dei parchi più belli dell'intero Vermont. Stowe era stracolmo di posti all'aria aperta magnifici, ed era proprio tra uno di quelli che io ed Erik ci eravamo incontrati per la prima volta, dieci anni prima.

Erik organizzò un pomeriggio formidabile da trascorrere insieme, nascosti ai piedi di una piccola cascata che non aveva niente a che vedere con quella più grande, imponente e immensa che attirava ogni anno migliaia di turisti.

Solo noi del posto eravamo a conoscenza dei segreti di quei luoghi, sebbene andarci non fosse una cosa così comune.

Ma con Erik, niente rientrava nei canoni di "comune", ed era proprio per questo che non smetteva mai di sorprendermi.

Così, lì, seduti su un prato a pochi metri dalla piccola cascata, io ed Erik ci scoprimmo, forse per la prima volta.

Parlammo senza veli negli occhi, senza trattenere alcuna parola o soffocare alcun sentimento. Parlammo di cose serie, problemi, il suo rapporto con Tyler, e quello tortuoso con suo padre che perdurava da anni. Lo stress a causa del nuovo studio, che lo assorbiva notte e giorno, e la paura di perdere il signor Willemor da un momento all'altro, a causa della sua grave malattia al fegato.

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